Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17894 del 19/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 19/07/2017, (ud. 19/05/2017, dep.19/07/2017),  n. 17894

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28745-2016 proposto da:

M.U., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI

268/A, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA CAPOROSSI,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIA PAOLINELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 639/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 25/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/05/2017 dal Consigliere Dott. CARLO DE CHIARA.

Fatto

PREMESSO

1. La Corte d’appello di Ancona ha respinto il gravame del sig. M.U., cittadino pakistano, avverso l’ordinanza con cui il Tribunale aveva respinto l’impugnazione del diniego di qualsiasi forma di protezione internazionale da parte della competente Commissione territoriale, confermando la valutazione di inattendibilità del racconto dell’interessato.

Questi aveva collocato le ragioni della fuga dal suo paese nel contesto degli scontri di carattere religioso tra musulmani sciiti e sunniti che interessano il Punjab, sua regione di provenienza, raccontando in particolare di avere ricevuto gravi minacce a causa della testimonianza da lui resa alla polizia riguardo all’assassinio prima dello zio di un suo amico – tale Z. – di religione sciita, nel corso di una manifestazione religiosa e poi dello stesso Z. in un agguato, nel quale egli stesso era stato ferito ad una gamba. Di ciò suo padre aveva sporto denuncia all’autorità.

La Corte d’appello ha ritenuto, al pari del Tribunale, che il racconto dell’interessato fosse inficiato da una insuperabile contraddizione tra la versione della morte di Z. da lui fornita alla Commissione e con il ricorso al Tribunale e la versione risultante, invece, dalla denuncia di suo padre: secondo la prima, il padre non era presente al fatto, ma era sopraggiunto, avvisato dal figlio, dopo che esso era stato consumato, mentre nella denuncia il padre dichiarava di essere stato presente all’assassinio.

Tale contraddizione non trovava – ad avviso della Corte – adeguata spiegazione nell’osservazione dell’appellante che il padre aveva inteso proteggerlo formulando la denuncia a proprio nome: la falsa dichiarazione, infatti, avrebbe potuto essere facilmente smentita dallo sviluppo delle indagini. L’inattendibilità del racconto del richiedente protezione privava di rilevanza qualsiasi indagine sul contesto sociale, culturale e politico della sua vicenda, venendo meno la possibilità di collegare il primo con la seconda; con la conseguenza che non poteva riconoscersi nè lo status di rifugiato, nè la protezione sussidiaria. Della protezione umanitaria, infine, non sussistevano i presupposti.

2. Il sig. U. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, cui non ha resistito l’amministrazione intimata.

Il Collegio ha disposto che la motivazione della presente ordinanza sia redatta in forma semplificata, non ponendosi questioni rilevanti dal punto di vista della funzione nomofilattica di questa Corte.

Diritto

CONSIDERATO

1. I due motivi di ricorso, con i quali si denunciano rispettivamente violazione di norme di diritto (art. 1 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati; D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, primi cinque commi; D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3) e vizio di motivazione, non possono trovare accoglimento.

La sentenza impugnata è basata sulla valutazione di non attendibilità del racconto del ricorrente, dalla quale consegue l’impossibilità di collegare le vicende generali del paese di provenienza con la vicenda personale del ricorrente stesso, e dunque di pervenire al riconoscimento della protezione invocata.

La prima, fondamentale, statuizione – quella relativa all’attendibilità del racconto – è una tipica valutazione di merito, che non può essere rimessa in discussione in sede di legittimità se non denunciando l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Una tale denuncia, però, viene soltanto enunciata nella rubrica del secondo motivo di ricorso, ma non articolata in concreto, mentre le doglianze di mancato rispetto dei criteri di valutazione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 13 cit., nella parte in cui non sono generiche, sono infondate perchè la Corte d’appello ha spiegato di aver basato la sua valutazione sulle contraddizioni di cui si è detto (la contraddittorietà rileva ai sensi dell’art. 3, comma 5, lett. c) cit.).

Nè viene efficacemente censurata la conseguenza che la Corte d’appello fa scaturire dall’accertata inattendibilità del racconto dell’interessato, ossia la mancanza di collegamento della sua vicenda personale con la vicenda generale del paese di provenienza, che rende inutile l’approfondimento di quest’ultima ai fini del riconoscimento di qualsiasi forma di protezione internazionale, compresa quella umanitaria.

2. Il ricorso va in conclusione respinto.

In mancanza di attività difensiva della parte intimata non occorre provvedere sulle spese processuali.

Poichè dagli atti il processo risulta esente dal contributo unificato, non trova applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017

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