Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17892 del 27/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 27/08/2020, (ud. 04/06/2020, dep. 27/08/2020), n.17892

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29116-2018 proposto da:

MVG IMMOBILIARE SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato BERNARDINO PASANISI;

– ricorrente –

contro

VIS S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato PALMIRO CARLO LIUZZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 217/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 02/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO

MARIA CIRILLO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La VIS s.p.a. convenne in giudizio la M.G.V. Immobiliare s.r.l. davanti al Tribunale di Taranto e – sulla premessa di aver condotto in locazione un immobile di proprietà della società Agrileasing, da questa concesso in leasing alla M.G.V. e da quest’ultima locato in suo favore -chiese che la convenuta fosse condannata a compiere le opere necessarie all’eliminazione di una serie di inconvenienti presenti nell’immobile, oltre che al rimborso parziale del canone versato, non potendosi lo stesso considerare equo alla luce di tali inconvenienti.

A sostegno della domanda espose che nell’immobile si erano verificate infiltrazioni d’acqua, crepe e cadute di calcinacci, senza che si attivassero per la riparazione nè il proprietario nè il locatore.

Si costituì in giudizio la società convenuta, chiedendo il rigetto della domanda sul rilievo che i problemi evidenziati erano da ricondurre alla mancanza di manutenzione ordinaria da parte del conduttore.

Il ricorso venne notificato anche alla proprietaria, che nel frattempo era divenuta la ICCREA Banca Impresa, la quale si costituì evidenziando di aver manifestato alla società M.G.V. la sua intenzione di avvalersi della clausola risolutiva espressa prevista nel contratto di leasing, con la contestuale richiesta di rilascio dell’immobile alla società VIS.

Il Tribunale rigettò la domanda della ICCREA Banca Impresa, diede atto che l’immobile era stato rilasciato in data 31 maggio 2015, con conseguente cessazione della materia del contendere in ordine alle richieste di riduzione del canone e di esecuzione di opere di riparazione, riconobbe la situazione di compromissione dell’immobile a causa dell’inerzia del locatore e stabili che la M.G.V. dovesse restituire alla società attrice il 20 per cento dei canoni ricevuti fino al termine del contratto, condannando la medesima al pagamento di tale somma in favore della società attrice, con rivalutazione e interessi e con il carico delle spese di lite.

2. La pronuncia è stata impugnata dalla società M.G.V. e la Corte d’appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, con sentenza del 2 luglio 2018, ha rigettato il gravame, condannando l’appellante alla rifusione delle ulteriori spese del grado.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, propone ricorso la M.G.V. Immobiliare s.r.l. con atto affidato a tre motivi.

Resiste la VIS s.p.a. con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e non sono state depositate memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1223 e 2043 c.c., oltre ad omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Osserva la società ricorrente che dalla c.t.u. svolta in sede di accertamento tecnico preventivo ed acquisita dal Tribunale era emerso che i danni lamentati dalla parte attrice consistevano soltanto in danni estetici o di immagine, senza alcun effettivo pregiudizio nel godimento del bene locato. Ne consegue che tale elemento, non tenuto presente dalla sentenza impugnata, non avrebbe mai potuto consentire una riduzione del canone nella misura del venti per cento.

1.1. Il motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata, con un accertamento in fatto motivato proprio attraverso il richiamo alla c.t.u. svolta in sede di a.t.p., è pervenuta alla conclusione secondo la quale l’edificio in questione si trovava in una situazione di “ben chiaro degrado”, tale da giustificare una riduzione del canone versato, in quanto l’immobile non rispondeva più in pieno alle condizioni di fruibilità per cui era stato locato.

Si tratta, all’evidenza, di un accertamento di merito che non può essere modificato in questa sede, mentre la censura, nonostante la sua formulazione anche in termini di violazione di legge, tende in modo evidente a sollecitare un diverso e più favorevole giudizio di merito. Inconferente è il richiamo alla giurisprudenza sul danno in re ipsa, così come nessuna omissione è ravvisabile, avendo la Corte territoriale tenuto presente la relazione del consulente tecnico.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Osserva la società ricorrente che non sono state ammesse le sue richieste istruttorie (interrogatorio formale e prova per testi) volte a dimostrare che gli asseriti vizi corrispondevano alla situazione originaria dell’immobile; tale omissione avrebbe determinato la censura di omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Anche volendo prescindere dal fatto che le contestazioni sulla mancata ammissione delle prove non sono proponibili in termini di vizio di motivazione, il Collegio osserva che la Corte di merito si è pronunciata sul punto e, con una valutazione non suscettibile di riesame in questa sede, ha ritenuto che le prove articolate dalla società M.G.V. fossero palesemente irrilevanti e comunque inammissibili, in quanto integravano giudizi ed erano poi prive dei necessari riferimenti temporali. Il ricorso non spiega in alcun modo per quale ragione tali richieste sarebbero, invece, da ritenere decisive.

3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), nullità della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c..

Secondo la società ricorrente, infatti, la domanda originaria era stata avanzata dalla società VIS ai sensi dell’art. 1578 c.c., per cui i giudici di merito non avrebbero potuto accoglierla sotto il diverso profilo del risarcimento del danno per diminuita utilizzabilità dell’immobile. Si sarebbe quindi determinata una pronuncia che va oltre i limiti di quanto richiesto.

3.1. Il motivo non è fondato.

La sentenza impugnata ha interpretato la domanda proposta dalla società conduttrice ed è pervenuta alla conclusione che mai essa era stata proposta ai sensi dell’art. 1578 c.c. (Vizi della cosa locata), posto che tale domanda aveva ad oggetto le riparazioni necessarie allo scopo di mantenere l’immobile in condizioni di servire all’uso concordato, richiamando soltanto gli artt. 1576 e 1577 c.c.. Da nessun elemento emerge – nè il motivo in esame dà indicazioni precise sul punto – come la domanda avesse ad oggetto l’esistenza di vizi della cosa, quanto, piuttosto, soltanto la necessità di un ripristino di efficienza a carico del locatore.

4. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono, inoltre, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 5.600, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 4 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2020

 

 

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