Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1789 del 26/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 26/01/2011, (ud. 15/12/2010, dep. 26/01/2011), n.1789

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MEDAGLIE D’ORO 169, presso lo studio dell’avvocato MANNIAS ITALA,

rappresentato e difeso dall’avvocato DI GIOVANNI UMBERTO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

ESSO ITALIANA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA VENEZIA, 11 presso

lo studio dell’avvocato ZANCHINI GIAN PAOLO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ROMANO PIETRO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 863/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 27/04/2006 R.G.N. 1332/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2010 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l’Avvocato DI GIOVANNI UMBERTO;

udito l’Avvocato ROMANO PIETRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato; che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza dell’11 luglio 2003, il Tribunale di Siracusa respingeva la domanda, proposta da T.A. nei confronti della Esso Italiana s.r.l., diretta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa (per aver tentato di appropriarsi di uno scatolone contenente un monitor per personal computer, custodito all’interno di un magazzino e rinvenuto dietro al cofano della vettura in dotazione del ricorrente, fuori dall’orario e dal luogo di svolgimento delle sue mansioni di operaio addetto alla movimentazione dei prodotti) comunicatogli con lettera del 19 ottobre 2001.

Osservava il Tribunale come le risultanze istruttorie, anche della fase cautelare (ove parimenti il ricorso del T. era stato respinto), evidenziavano che il ricorrente era stato sorpreso in luogo estraneo alle sue mansioni, in zona non illuminata ed in ore serali, e che dietro la sua vettura, in prossimità del cofano posteriore, vi era merce di proprietà dell’impresa; che il ricorrente aveva fornito contrastanti risposte sulla sua presenza in loco (necessità di espletare bisogni fisiologici, ricerca di un pezzo di lamierino, avvicinamento allo scatolone che aveva attirato la sua attenzione, effettuare dei controlli); che era dunque provato l’addebito contestato (la sottrazione non era andata a buon fine solo per l’arrivo del personale di vigilanza) e che lo stesso, rientrante nella previsione dell’art. 42 del c.c.n.l., integrava comunque una giusta causa di risoluzione del rapporto, considerata la lesione concreta dell’elemento fiduciario e l’atteggiamento del lavoratore, che metteva in dubbio la correttezza dei futuri adempimenti.

Proponeva appello avverso tale pronuncia il T. con ricorso del 25 febbraio 2003, cui resisteva la Esso Italiana s.r.l..

All’udienza del 3 novembre 2005 la Corte di appello di Catania respingeva il gravame.

Osservava essenzialmente la Corte che dal complesso dell’istruttoria espletata era emerso che nel corso di una prima ispezione routinaria da parte del personale di vigilanza non era stato notato nulla attorno ed all’interno dell’autovettura Pick up in uso al T.;

che nel corso di una seconda ispezione il vigilante C. vide un uomo, il T., muoversi dietro una gru e venirgli incontro;

notò a quel punto lo scatolone dietro il Pick up. Che la prova richiesta dal T. (diretta a confermare che egli si trovava sul posto per cercare un pezzo di lamierino) risultava in contrasto con la circostanza che tale singolare ricerca avvenisse in ore serali, in zona pressochè priva di illuminazione. Evidenziava inoltre la contraddittorietà delle rammentate versioni circa la sua presenza in loco fornite nell’immediatezza del fatto, ritenendo così corretta la valutazione del Tribunale circa la responsabilità del ricorrente.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il T..

Ha resistito la Esso Italiana s.r.l. Entrambe le parti hanno presentato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. -Il T. denuncia, con primo motivo, la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2697 c.c. e della L. n. 604 del 1966, art. 5, per non avere la Corte territoriale adeguatamente valutato le risultanze probatorie in modo globale, id est basandosi su tutti gli elementi di prova raccolti, di cui riportava i verbali.

Formulava quindi il seguente quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte di Cassazione se la Corte di Appello di Catania ha correttamente applicato le disposizioni di cui all’art. 115 e 116 c.p.c. nella valutazione di tutti gli elementi emersi dall’istruttoria e se ha correttamente applicato l’art. 2697 c.c. e la L. n. 604 del 1966, art. 5, in ordine all’assolvimento dell’onere della prova gravante sul datore di lavoro o non ha viceversa errato nell’applicazione delle anzidette norme”.

Il motivo è inammissibile.

Deve infatti richiamarsi il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui “Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. E’, pertanto, inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S. C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge, Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 19769 del 17/07/2008.

D’altro canto deve evidenziarsi, Cass. sez. un. n. 20360 del 28/09/2007, che “Il principio di diritto deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame. Ne consegue che è inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo inconferente rispetto alla illustrazione dei motivi d’impugnazione;

ovvero sia formulato in modo implicito, sì da dovere essere ricavato per via di interpretazione dal giudice; od ancora sia formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto; od, infine, sia formulato in modo del tutto generico”.

Nella specie il quesito formulato dal ricorrente, oltre ad essere in contrasto con i principi enunciati in materia da questa Corte, finisce per chiedere al giudice di legittimità un inammissibile riesame di tutte le circostanze di fatto emerse dall’istruttoria.

2. – Con secondo motivo il T. denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità del procedimento per non avere il giudice di appello ammesso tutte le prove richieste, ed in particolare “il capitolo n. 2 assolutamente rilevante in ordine alla presenza del ricorrente nel luogo della contestazione”.

Formulava al riguardo il seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte di Cassazione se il giudice di merito possa denegare le prove a discolpa, ritualmente richieste dal lavoratore nel giudizio di impugnativa del licenziamento e fondare, invece, la decisione solo sulle deposizioni rese da informatori nella antecedente fase cautelare del procedimento, non vincolati dalle regole del contraddittorio e dai vincoli di capitoli di prova articolati o articolandi dal datore di lavoro e dalla correlativa possibilità/diritto di articolazione di capitoli di prova contraria o diretto/contraria e di ammissione di testi da parte del lavoratore”. Il motivo è infondato.

Deve innanzitutto premettersi che non vi è alcun obbligo del giudice di merito di dare ingresso a tutte le prove richieste dalle parti.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, non sussiste l’obbligo del giudice del merito di disporre i mezzi di prova richiesti dalle parti tutte le volte che i medesimi non superino il preventivo vaglio di rilevanza e concludenza a lui istituzionalmente riservato, Cass. n. 388 del 19/01/1988, Cass. n. 528 del 26/01/1982, Cass. n. 988 del 10/04/1970, posto che la norma dell’art. 115 c.p.c., che fa obbligo al giudice di decidere iuxta alligata et probata, non impone di ammettere le prove ritenute dal giudice stesso superflue, ma vieta soltanto di attingere fuori dal processo la conoscenza dei fatti da accertare e di prescindere del tutto dalle prove acquisite nel processo medesimo. E ciò vale evidentemente anche nel processo del lavoro, Cass. n. 3143 del 12/05/1986.

Con la conseguenza che il giudice di merito non è neppure tenuto a respingere espressamente e motivatamente le richieste di tutti i mezzi istruttori avanzate dalle parti qualora nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali, insindacabili in sede di legittimità, ritenga sufficientemente istruito il processo. Al riguardo la superfluità dei mezzi non ammessi può implicitamente dedursi dal complesso delle argomentazioni contenute nella sentenza, Cass. n. 14611 del 12/07/2005, Cass. n. 15502 del 02/07/2009.

Occorre poi osservare che nel vigente sistema processuale, ogni emergenza istruttoria ritualmente raccolta è legittimamente utilizzabile dal giudice (Cass. 10 ottobre 2008 n. 25028, Cass. 19 aprile 2000 n. 5126, età); che in base al principio del libero convincimento del giudice la Corte territoriale ha, correttamente ed in modo logico e congruamente motivato, ritenuto che dal complesso delle risultanze istruttorie, ivi comprese le deposizioni dei cd.

informatori raccolte nella precedente fase cautelare, risultava confermata la responsabilità del T. sia per la contraddittorietà delle giustificazioni che egli fornì nell’immediatezza dei fatti, sia per l’accertata presenza dello scatolone contenente materiale aziendale in prossimità della sua auto, ove il T. colà pacificamente, in tarda sera ed al buio, singolarmente si trovava.

Parimenti corretta risulta la decisione del giudice di merito laddove ha escluso la richiesta prova testimoniale relativa alla presenza del T. in loco solo al fine di cercare un lamierino, per un verso non escludendo tale circostanza la singolare presenza in loco del T., ove è stata accertata la collocazione dello scatolone vicino alla sua autovettura, d’altro canto contenendo il capitolo di prova elementi valutativi (“vero che il T. intendeva ricercare un pezzo di lamierino…”), pag. 27 del ricorso, in ogni caso perchè logicamente ritenuta inverosimile, stante la zona scarsamente o punto illuminata e palesemente in contrasto con le circostanze riferite dallo stesso T. nell’immediatezza dei fatti. La ricostruzione e l’apprezzamento dei fatti compiuta dal giudice di merito, risulta immune da vizi logici e giuridici, è sufficientemente motivata, ed è dunque idonea a formare il convincimento del giudice in modo incensurabile in sede di legittimità.

3. -Con terzo motivo il T. denuncia la nullità del procedimento per violazione del diritto alla prova ex artt. 115 e 414 c.p.c., n. 5, lamentando in sostanza nuovamente la mancata ammissione della prova inerente il motivo per cui egli si trovava quella sera nel luogo ove venne rinvenuto lo scatolone contenente materiale aziendale accanto alla sua auto.

Formulava al riguardo il seguente quesito di diritto: “dica la S. C. di Cassazione se il giudice di merito, in materia di licenziamento disciplinare, possa denegare una prova testimoniale richiesta dal lavoratore a sua discolpa circa la ragione della sua presenza in un luogo nel quale, secondo la contestazione del datore di lavoro, il lavoratore si sarebbe trovato per commettere un illecito ai danni del datore medesimo e causa della sanzione espulsiva”. Il motivo è infondato per le considerazioni sopra svolte in ordine alla seconda censura.

4. – Con quarto motivo il ricorrente denuncia sempre la nullità del procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 244 c.p.c. e della L. n. 300 del 1970, art. 7, per avere illegittimamente ammesso la testimonianza del responsabile del personale in ordine a pretese dichiarazioni che egli si sarebbe fatto rilasciare dal T. nell’immediatezza dei fatti, in assenza di tutele difensive, prima della stessa contestazione disciplinare.

Formulava al riguardo il seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte di Cassazione se il giudice di merito in un giudizio di impugnativa di licenziamento per motivi disciplinari possa sentire come testimone il responsabile del personale dell’azienda, circa le presunte dichiarazioni del dipendente incolpato, dallo stesso asseritamene raccolte senza verbalizzazione alcuna, in sede di interrogatorio disposto senza le garanzie apprestate dalla L. n. 300 del 1970, art. 7, dopo i fatti oggetto della (successiva) contestazione disciplinare e tali da corroborare, in sede giudiziaria, la sanzione espulsiva, pur non avendo mai il datore di lavoro contestato detta circostanza al lavoratore”.

Il motivo è infondato.

Deve infatti dapprima considerarsi che nulla impedisce che il datore di lavoro si giovi di dichiarazioni rese in giudizio, sotto il vincolo della deposizione testimoniale, da altro suo dipendente, ivi compreso il responsabile del personale, Cass. 21 agosto 2004 n. 16529. E’peraltro evidente che la deposizione ben possa inerire anche fatti e dichiarazioni avvenute nell’immediatezza dei fatti ed ancor prima della contestazione disciplinare, rilevando soltanto che la contestazione al dipendente sia avvenuta nel rispetto della L. n. 300 del 1970, art. 7. Il convincimento del giudice di merito si è peraltro basato anche su altre deposizioni e risultanze istruttorie, ivi legittimamente comprese le sommarie informazioni rese in sede cautelare, Cass. n. 1386 del 20/01/2009.

5. -Con quinto motivo il T. denuncia la sentenza di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, per non avere, ancora, adeguatamente accertato se il ricorrente potesse trovarsi in loco per cercare un lamierino. Il motivo risulta assorbito.

Può qui solo aggiungersi che la Corte territoriale, cui spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento (Cass. sez. un. 27 dicembre 1997 n. 13045, da ultimo Cass. 2 febbraio 2007 n. 2272), ha congruamente e correttamente escluso che tale circostanza potesse rilevare nella specie, sicchè ne ha logicamente escluso la decisività.

Questa Corte ha già osservato che “La valutazione delle risultanze probatorie rientra nei compiti istituzionali del giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso e di disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi processualmente acquisiti considerati nel loro complesso”, Cass. n. 5434 del 07/04/2003. Come sopra notato, la ragione per cui il T. si trovasse singolarmente (per l’ora tarda, il luogo estraneo alla sua prestazione lavorativa, la scarsa o nulla visibilità, e tanto più, nell’esposta tesi, per cercare un lamierino nell’oscurità pressochè assoluta) in loco, non risulta decisiva per il giudizio.

Risulta decisivo che il T. si trovasse nel luogo e nel tempo in cui è stato ampiamente accertato che sia stato repentinamente collocato uno scatolone contenente materiale aziendale accanto alla sua auto.

6. – Con sesto motivo il T. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 2106 c.c. ed errata interpretazione ed applicazione del CCNL. Lamentava che il licenziamento per giusta causa costituisce una extrema ratio, laddove qualsiasi altra sanzione risulti insufficiente a tutelare l’interesse del datore di lavoro. Che nella specie doveva tenersi conto dell’assenza di provvedimenti disciplinari, delle sue mansioni, formulando il seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte di Cassazione se la previsione in sede di contrattazione collettiva di specifiche inadempienze del lavoratore subordinato, quali giusta causa di licenziamento esima il Giudice dalla necessità di valutare in concreto la reale gravità del comportamento del lavoratore e nella valutazione di gravità del fatto il giudice deve avere riguardo all’entità del danno subito dal datore di lavoro, ai precedenti disciplinari del dipendente, alla posizione del lavoratore all’interno dell’azienda e alla rilevanza esterna del dipendente, talchè possa dichiararsi illegittimo il licenziamento di un dipendente, senza precedenti disciplinari e privo di responsabilità di custodia di materiale aziendale, benchè accusato di avere tentato di sottrarre del materiale senza riuscirvi.

Anche tale motivo risulta infondato.

Ed invero, pur essendo pacifico che il giudice di merito debba valutare in concreto la gravità del comportamento addebitato, non può escludersi il rilievo della disciplina collettiva che sanzioni espressamente col licenziamento un comportamento obiettivamente e soggettivamente grave, Cass. n. 14586 del 22/06/2009. Per il resto deve escludersi che l’assenza di precedenti disciplinari o la modestia degli oggetti sottratti, salvi peculiari casi di eccezionale lievità (Cass. n. 2336 del 15/02/2003), nella specie da escludere trattandosi di un monitor per PC, possano rendere illegittima la sanzione per un primo e grave fatto compiuto dal medesimo dipendente.

Questa Corte ha anzi osservato che “La valutazione del fatto del dipendente, al fine di stabilire se esso integri o no una giusta causa di licenziamento, deve essere compiuta alla stregua della “ratio” dell’art. 2119 cod. civ., e cioè tenendo conto dell’incidenza del fatto sul particolare rapporto fiduciario che lega il datore di lavoro ed il lavoratore, delle esigenze poste dall’organizzazione produttiva e delle finalità delle regole di disciplina postulate da detta organizzazione; con la conseguenza che un fatto costituente reato contro il patrimonio, ancorchè determinativo di un danno (patrimoniale) di speciale tenuità alla stregua della legge penale, può essere considerato di notevole gravità nel diverso ambito del rapporto di lavoro, tenuto conto della natura del fatto medesimo (in ragione delle esigenze di organizzazione e della relativa disciplina), della sua sintomaticità (in relazione all’impossibilità per l’azienda di apprestare sicure difese idonee ad impedire furti o comunque manomissioni di materiali aziendali) e delle finalità (volte anche a prevenire danni patrimoniali gravi) della regola violata”, Cass. n. 2174 del 25/02/2000. Rileva pertanto la idoneità della condotta tenuta dal lavoratore a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento della prestazione lavorativa, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti, Cass. n. 5434 del 07/04/2003.

Ed invero, in tema di licenziamento individuale per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo ai sensi dell’art. 2119 c.c. o della L. n. 604 del 1966, art. 3, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso – istituzionalmente rimesso al giudice di merito- si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto ed a tutte le circostanze del caso, specie con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è posta in essere, ai suoi modi, ai suoi effetti ed all’intensità dell’elemento psicologico dell’agente, Cass. 29.10.10 n. 22170, Cass. 29/03/2010, n. 7518, Cass. n. 14586 del 22/06/2009, Cass. 10.12.07, n. 26743, Cass. 25.5.95 n. 5742, Cass. 22.3.94 n. 2715, etc. Nella specie la Corte territoriale ha correttamente ritenuto, nella valutazione di fatto ad essa demandata ed incensurabile in Cassazione se, come nella specie, logicamente e congruamente motivata, sussistere la responsabilità del T. sia avuto riguardo alla provata condotta materiale del medesimo ed alla obiettiva gravità della stessa anche con riferimento al valore dell’oggetto tentato di trafugare, sia con riferimento alle gravemente discordanti dichiarazioni fornite dal T. nell’immediatezza dei fatti “assumendo dunque un atteggiamento privo di segni di ravvedimento, idoneo a porre in dubbio la futura correttezza del suo adempimento”, sia infine con riferimento alle mansioni svolte dal T., operaio addetto al magazzino con mansioni anche di custodia e comunque di maneggio di materiale aziendale. Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese di causa seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 32,00 per spese, Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2011

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