Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17887 del 27/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 27/08/2020, (ud. 04/06/2020, dep. 27/08/2020), n.17887

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28042-2018 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA EUCLIDE

2, presso lo studio dell’avvocato ANDREA SANTUCCI, rappresentata e

difesa dall’avvocato ROBERTA RAMACCI;

– ricorrente –

contro

AUTOSTRADE PER L’ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI

35, presso lo studio dell’avvocato MARCO VINCENTI, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4168/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO

MARIA CIRILLO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. F.A. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, la Autostrade per l’Italia s.p.a. chiedendo il risarcimento dei danni da lei subiti a seguito della morte del suo convivente C.L., avvenuta a seguito di un incidente lungo l’autostrada A1. Osservò l’attrice, a sostegno della domanda, che il C., alla guida di una Ford Transit, aveva perso il controllo del mezzo, era finito fuori strada, aveva impattato contro la parte retrostante del guard-rail, le cui strutture avevano agito come una lama sulla fiancata sinistra del mezzo, ed era infine precipitato in una scarpata, rimanendo ucciso. La responsabilità dell’accaduto era da ricondurre, secondo la F., all’omessa installazione di una barriera protettiva ed alla pericolosità intrinseca del guard-rail

Si costituì in giudizio la società convenuta, chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale rigettò la domanda e compensò le spese di giudizio.

2. La pronuncia è stata appellata dall’attrice soccombente e la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 18 giugno 2018, ha rigettato il gravame, ha confermato la sentenza di primo grado ed ha condannato l’appellante al pagamento delle spese del giudizio di appello.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma propone ricorso Antonietta F. con atto affidato a tre motivi.

Resiste la Autostrade per l’Italia s.p.a. con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e la ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., sul rilievo che la società Autostrade sarebbe responsabile in ordine alla regolare installazione delle barriere di protezione e che la Corte d’appello, non considerando la natura della responsabilità del custode, avrebbe invece dovuto tenere conto del fatto che non costituisce circostanza imprevedibile, lungo un’autostrada, quella che un conducente perda il controllo del mezzo.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione del D.M. 18 febbraio 1992, n. 233, che regola l’uso ed il funzionamento delle barriere autostradali; in particolare, la sentenza avrebbe dovuto accertare con maggiore approfondimento quale fosse la collocazione delle barriere esistenti e per quale motivo esse avessero quella conformazione (che, nella specie, si era rivelata molto pericolosa).

3. I due motivi, benchè contenenti censure diverse in diritto, possono essere trattati congiuntamente, essendo unitario il ragionamento che la Corte d’appello ha compiuto; ed entrambi sono, quando non inammissibili, comunque privi di fondamento.

La sentenza impugnata ha spiegato che nel tratto autostradale teatro dell’incidente non vi era alcun obbligo di installare barriere protettive, perchè la strada era pianeggiante ed il piano di campagna era più elevato rispetto a quello della strada. In particolare, la Corte d’appello ha ricostruito la dinamica dell’incidente osservando che il furgone condotto dal C. si era portato, mentre procedeva sulla corsia di sorpasso, lentamente verso destra, “uscendo oltre la corsia di emergenza nel tratto di strada in cui non vi era barriera, andando poi a finire con le ruote di destra sul piano erboso e con quelle di sinistra nel canale di scolo”; per cui l’urto era avvenuto contro la parte posteriore del guard-rail che aveva agito come una lama tagliente. L’incidente, nella ricostruzione suddetta, era stato determinato dal comportamento del conducente C. il quale era uscito di strada, in un tratto pianeggiante, probabilmente a causa di un colpo di sonno o di un malore e, anzichè fermarsi sulla banchina erbosa, aveva continuato la propria marcia fino ad arrivare all’inizio della scarpata dove cominciava la barriera. Conseguiva da tale ricostruzione, secondo la Corte d’appello, che l’urto contro la parte retrostante della barriera, certamente tagliente, era da ricondurre ad un uso anomalo ed imprevedibile della strada, che l’utente aveva continuato a percorrere per molti metri pur essendo su un tratto non praticabile.

A fronte di tale ricostruzione le due censure, pur lamentando la violazione dell’art. 2051 c.c., e del D.M. riguardante le barriere autostradali, finiscono per contestare, in effetti, la ricostruzione del comportamento della vittima (come idoneo ad integrare il caso fortuito); e non considerano che la sentenza, come si è detto, ha ricostruito lo stato dei luoghi spiegando anche le ragioni per le quali la barriera non era obbligatoria. La motivazione della Corte d’appello, d’altra parte, è in linea con una precedente sentenza di questa Corte la quale, proprio occupandosi del guard-rail stradale, ha già affermato che la condotta abnorme dell’utente della strada esclude comunque ogni rilevanza della possibile insidia, che nel caso di oggi era comunque inesistente (sentenza 8 novembre 2002, n. 15710).

Nessuna violazione di legge è ravvisabile, quindi, nell’impugnata sentenza e i due motivi in esame si risolvono in una sollecitazione ad un diverso e non consentito esame del merito.

4. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omesso esame di un fatto decisivo, censurando la mancata ammissione della c.t.u. che era stata richiesta in primo e in secondo grado.

4.1. Il motivo è inammissibile.

Premesso che la mancata ammissione di una c.t.u. non può sostenere una censura di omesso esame di un fatto decisivo, la decisione

sull’ammissione della consulenza, che non è un mezzo di prova, appartiene ad una valutazione discrezionale del giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità.

5. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono, inoltre, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 5.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 4 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2020

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