Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17887 del 23/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 23/06/2021, (ud. 02/03/2021, dep. 23/06/2021), n.17887

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12971-2014 proposto da:

HOTEL LA GINESTRA DI R.L. & C. SAS, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA 4, presso lo studio

dell’avvocato MARIO SANTARONI, rappresentata e difesa dall’avvocato

GIUSEPPE DI MEGLIO;

– ricorrente –

COMUNE DI FORIO D’ISCHIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

BANCO DI S. SPIRITO, 42, presso lo studio dell’avvocato GNOSIS

FORENSE SRL, rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE DI FIORE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 167/2013 della COMM. TRIB. REG. CAMPANIA,

depositata il 08/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/03/2021 dal Consigliere Dott. MARINA CIRESE.

 

Fatto

RITENUTO

che:

con ricorso notificato in data 15 luglio 2008 l’Hotel La Ginestra s.a.s. impugnava la cartella di pagamento con cui il Comune di Forio d’Ischia le aveva intimato il pagamento della Tia per gli anni 2005 – 2006 in relazione a due immobili di cui uno adibito ad abitazione e l’altro ad albergo lamentando la mancata notifica dell’avviso di accertamento, l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo, l’errata determinazione della superficie tassabile e della tariffa applicabile nonchè del periodo di occupazione.

La CTP di Napoli con sentenza n. 341/28/11 rigettava il ricorso ritenendo che le fatture emesse nell’occasione dal Comune di Forio d’Ischia potessero ritenersi equivalenti all’atto amministrativo e ritenendo infondate le altre eccezioni sollevate.

Proposto appello da parte della contribuente, la CTR della Campania con sentenza in data 8.5.2013 rigettava l’appello confermando la sentenza di primo grado.

Avverso detta pronuncia la società contribuente proponeva ricorso per cassazione affidato ad un articolato motivo cui resisteva con controricorso il Comune di Forio d’Ischia.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con l’unico motivo di ricorso parte ricorrente deduceva “la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2 e 19, del D.P.R. n. 638 del 1972, art. 77, dell’art. 20 comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5”.

Lamentava che il ruolo emesso dall’ente impositore in quanto atto non preceduto da alcun atto amministrativo presenta gravi carenze in violazione della L. n. 212 del 2000. Deduceva inoltre la “violazione e falsa applicazione di legge ai sensi degli artt. 141,170 e 330 c.p.c., in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53” nonchè “errori nel procedimento per violazione e falsa applicazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 (omessa o insufficiente motivazione).

Quindi parte ricorrente nella esposizione della censura come sopra rubricata deduceva la carenza di motivazione dell’atto, l’errata determinazione della superficie tassabile, l’errata determinazione del periodo di utilizzo.

All’esito dello svolgimento dei vari profili di censura parte ricorrente sottoponeva altresì alla Corte una serie di quesiti di diritto. (non è più applicabile l’art. 366 bis c.p.c. – sentenza pubblicata dopo il 4 luglio 2009).

Il ricorso è inammissibile.

Va premesso che in materia di ricorso per cassazione, l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (vedi Cass. Sez. 2, n. 26790 del 2018).

Nella specie il motivo di ricorso cumula una serie di censure limitandosi ad indicare le norme asseritamente violate e richiamandosi all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, senza individuare non solo nella rubrica ma anche nella illustrazione del motivo gli specifici profili di doglianza avuto riguardo ai parametri previsti ex lege.

In ogni caso, anche ove si volesse ritenere ammissibile il motivo per come formulato cercando di enucleare specifici profili di doglianza, con riguardo alla prima censura di carenza di motivazione, in quanto la CTR avrebbe motivato genericamente circa la mancanza dell’atto impugnato degli elementi necessari a giustificare la richiesta di pagamento, la stessa è comunque inammissibile. Ed invero, a parte la formulazione che non rispetta i canoni normativi, il motivo non riporta l’eccezione sulla quale la CTR non si sarebbe adeguatamente pronunciata, nè tantomeno l’atto impugnato.

Le restanti censure, che riguardano, invece, l’errata determinazione della superficie tassabile ed il periodo di utilizzo, si traducono in realtà in una richiesta di nuova valutazione dei fatti e delle prove, preclusa in sede di legittimità.

Inoltre va rilevato che l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, e contenente la previsione della formulazione del quesito di diritto, come condizione di ammissibilità del ricorso per cassazione, si applica “ratione temporis” ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 (data di entrata in vigore del menzionato decreto), e fino al 4 luglio 2009, data dalla quale opera la successiva abrogazione della norma, disposta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47.

Nella specie la sentenza impugnata è stata pubblicata in data successiva al 4 luglio 2009 e pertanto il ricorso non andava corredato dalla formulazione dei quesiti di diritto.

In conclusione il ricorso è inammissibile.

La regolamentazione delle spese di lite, disciplinata come da dispositivo, segue la soccombenza.

Ricorrono le condizioni per l’applicazione al ricorrente del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 4000,00 oltre accessori di legge ed esborsi liquidati in Euro 200,00.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale effettuata da remoto, il 2 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2021

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