Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17886 del 27/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 27/08/2020, (ud. 04/06/2020, dep. 27/08/2020), n.17886

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28021-2018 proposto da:

A.A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MATTEO MORINI;

– ricorrente –

contro

CASINO’ DI SANREMO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CILIBERTI, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 251/2018 del TRIBUNALE di IMPERIA, depositata

il 12/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO

MARIA CIRILLO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.A.G. convenne in giudizio la Casinò di Sanremo s.p.a., davanti al Giudice di pace di Sanremo, chiedendo il risarcimento dei danni da lui subiti a seguito di una caduta avvenuta sulle scale site all’interno della struttura del Casinò municipale.

Si costituì in giudizio la società convenuta, chiedendo il rigetto della domanda.

Il Giudice di pace rigettò la domanda sia in riferimento all’art. 2043 che all’art. 2051 c.c., e compensò le spese di giudizio.

2. La pronuncia è stata appellata dall’attore soccombente e il Tribunale di Imperia, con sentenza del 12 aprile 2018, ha rigettato il gravame, ha confermato la sentenza di primo grado ed ha compensato anche le spese del giudizio di appello.

Ha osservato il Tribunale che la caduta si era verificata, nella specie, mentre l’appellante stava scendendo da un’ampia scala dotata di mancorrente su entrambi i lati e di strisce antisdrucciolo; al centro della quale, però, vi era una evidente macchia rossa, non ben definita ma comunque avvistabile a distanza di un paio di metri. La caduta, quindi, era stata determinata sì da cause estrinseche create da terzi, ma tali per cui essa sarebbe stata evitabile, da parte dell’infortunato, ove egli si fosse mosso con maggiore cautela.

3. Contro la sentenza del Tribunale di Imperia propone ricorso A.A.G. con atto affidato a due motivi.

Resiste la Casinò di Sanremo s.p.a. con controricorso

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e non sono state depositate memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5), violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., nonchè mancata ed erronea valutazione delle risultanze istruttorie.

Sostiene il ricorrente che il Tribunale avrebbe applicato in modo non corretto l’art. 2051 cit., in particolare non considerando che dall’espletata istruttoria era emerso che la macchia sulle scale non era visibile e non spiegando le ragioni per le quali l’infortunato avrebbe dovuto immaginare la presenza di tale insidia. Pur essendo stato dimostrato, in termini di causalità materiale, il legame tra la macchia sulle scale e la caduta, il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto di individuare gli estremi del caso fortuito.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5), violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., sostenendo che il Tribunale avrebbe errato nell’affermare di non poter applicare tale norma, posto che l’attività istruttoria aveva dimostrato che la macchia esistente sulle scale costituiva un’insidia non visibile.

3. I due motivi, benchè contenenti censure diverse in diritto, possono essere trattati congiuntamente, essendo unitario il ragionamento che il Tribunale ha compiuto; ed entrambi sono, quando non inammissibili, comunque privi di fondamento.

La giurisprudenza di questa Corte, sottoponendo a revisione i principi sull’obbligo di obbligo di custodia, ha stabilito, con le ordinanze 1 febbraio 2018, nn. 2480, 2481, 2482 e 2483, che in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227 c.c., comma 1, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost.. Ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.

La sentenza impugnata, sia pure con una motivazione non in tutto chiara, ha comunque spiegato che la scala dove si è verificata la caduta non era in sè pericolosa, se non per la presenza di una macchia rossa la quale, comunque, era stata notata dal teste C., affetto da un grave deficit visivo, il quale si trovava a due metri di distanza dall’attore; e da tanto ha tratto la conclusione per cui la caduta era da ricondurre ad una mancanza di attenzione della vittima, tale da integrare il caso fortuito.

Consegue da tale ricostruzione che le prospettate violazioni di legge, tanto in ordine all’art. 2043, quanto in ordine all’art. 2051 c.c., sono prive di fondamento, perchè il fattore di pericolo non poteva costituire un’insidia e perchè un comportamento normalmente avveduto da parte del danneggiato avrebbe evitato ogni conseguenza dannosa. Le censure, d’altra parte, ritengono di individuare le presunte violazioni di legge in una diversa lettura degli atti di causa, sollecitando in tal modo un diverso e non consentito esame del merito.

4. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono, inoltre, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.800, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 4 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2020

 

 

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