Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17885 del 03/07/2019

Cassazione civile sez. II, 03/07/2019, (ud. 10/04/2019, dep. 03/07/2019), n.17885

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15157/2015 proposto da:

F.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Attilio

Friggeri 106, presso lo studio dell’avvocato Michele Tamponi, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati Luigi Maria

Garbagnati, Giuseppe Locati;

– ricorrente –

contro

Comune di Milano, elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere

Marzio 3, presso lo studio dell’avvocato Raffaele Izzo, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati Antonello Mandarano,

Irma Marinelli, Ruggero Meroni, Anna Maria Pavin, Enrico

Barbagiovanni;

– controric. e ric. inc. –

avverso la sentenza n. 4450/2014 della Corte d’appello di Milano,

depositata il 10/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/04/2019 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

Fatto

RILEVATO

che:

– il presente giudizio di legittimità trae origine dal ricorso tempestivamente notificato il 4 giugno 2015 da F.M. nei confronti del Comune di Milano avverso la sentenza resa tra le parti dalla Corte d’appello milanese (indicata in epigrafe) che ha totalmente riformato la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Milano;

– il giudice di primo grado aveva accolto la domanda di usucapione proposta dall’odierno ricorrente, avente ad oggetto dei terreni posti nelle vicinanze della sua casina e che egli aveva allegato di coltivare sin dal 1978;

– nel giudizio di primo grado il Comune si era costituito eccependo la mancanza dei requisiti dell’usucapione e, in particolare, la non usucapibilità dei fondi perchè appartenenti al patrimonio indisponibile del Comune;

– all’esito dell’istruttoria articolata in prove orali e CTU il tribunale aveva ravvisato i presupposti per l’invocata usucapione e aveva rigettato la domanda riconvenzionale di condanna al rilascio formulata dal Comune;

– proposto gravame da parte del Comune, la corte d’appello precisava che la coltivazione del fondo non è sufficiente ai fini della prova degli elementi costitutivi dell’usucapione;

– aggiungeva che l’attore non aveva provato gli atti di dominio compiuti a dimostrazione dell’animus possidendi che accompagnava gli atti di gestione compiuti da chi si ritiene proprietario del bene;

– riteneva, peraltro, che il mero sfalcio dell’erba, senza una preventiva attività di stimolo della produzione (dissodamento, semina, concimazione ed irrigazione del terreno) non configurasse di per sè un’attività di coltivazione del fondo;

– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta sulla base di quattro motivi cui resiste il Comune di Milano con tempestivo controricorso e ricorso incidentale condizionato a cui resiste, a sua volta, il ricorrente con apposito controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1140,1141,1142,1158 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la pronuncia gravata escluso l’usucapione in ragione della relazione occasionale con i fondi da parte del F., per aver ritenuto insufficiente la prova della coltivazione, in assenza di atti di dominio e per avere escluso la sussistenza di una “coltivazione”in senso tecnico;

– con il secondo motivo si ripropone la medesima censura rubricata come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

– i due motivi possano essere esaminati congiuntamente perchè al di là del richiamo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, involgono la medesima questione;

– le doglianze sono infondate poichè la corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto in materia di elementi costitutivi della domanda di usucapione di un terreno così come costantemente ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità;

– è, infatti, consolidato principio quello secondo il quale ai fini della prova degli elementi costitutivi dell’usucapione – il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva – la coltivazione del fondo non è sufficiente, perchè, di per sè, non esprime, in modo inequivocabile, l’intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta “uti dominus” (cfr. da ultimo Cass. 17376/2018);

– l’interversione nel possesso non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui, e detta manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell’avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso. (Cass. 18215/2013; id. 4404/2006);

– con il terzo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 191,61 c.p.c., art. 101 c.p.c., comma 2, artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la corte asserito che, nel caso di specie, i terreni oggetto di causa costituirebbero secondo i principi dell’agronomia un “prato stabile” ricorrendo ad una circostanza non allegata dalle parti ed affermata solo in sentenza con violazione del principio del contraddittorio e senza fare ricorso alla competenza di un tecnico;

– con il quarto motivo la medesima circostanza viene censurata come causa di nullità del procedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

– anche il terzo e quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente e respinti1poichè il concetto di “prato stabile” utilizzato dalla corte per qualificare le modalità di utilizzo da parte dell’attore del terreno non costituisce un fatto autonomo e diverso da quelli allegati dalle parti e posto a fondamento della valutazione giudiziale;

– si tratta, piuttosto, di una definizione utilizzata dalla corte che non ha inciso in alcun modo sul procedimento di formazione del convincimento giudiziale, rimasto nel binario dei fatti allegati e provati dalle parti e pertanto non rilevante ai fini della corretto svolgimento del procedimento decisionale;

– atteso l’esito sfavorevole di tutti i motivi, il ricorso principale va respinto;

– il rigetto del ricorso principale assorbe l’esame del ricorso incidentale condizionato proposto dal Comune di Milano;

– atteso l’esito del ricorso principale, il ricorrente va, in applicazione del principio di soccombenza, condannato alla rifusione delle spese di lite a favore del contro ricorrente nella misura liquidate in dispositivo;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionato; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore del contro ricorrente e liquidate in Euro 4200,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2019

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