Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17884 del 19/07/2017

Cassazione civile, sez. VI, 19/07/2017, (ud. 07/04/2017, dep.19/07/2017),  n. 17884

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14337-2015 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CENEDA 39-D,

presso lo studio dell’avvocato DORIANA CHIANESE, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7316/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/04/2017 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con sentenza del 30/08/2014 la Corte d’Appello di Roma, confermando la pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dal cittadino ghanese A.A..

A sostegno della decisione assunta ha affermato, innanzitutto, che la dedotta nullità del provvedimento della Commissione territoriale perchè redatto in una lingua non conosciuta dal richiedente non sussiste, dal momento che il vizio dedotto integra una violazione del diritto di difesa che non spoglia l’autorità giudiziaria dal potere di decidere nel merito sulla domanda, ma si traduce in un motivo d’appello che, se fondato, produce l’effetto di ripristinare il diritto di difesa senza alcun effetto di annullamento. Nella specie l’appellante ha svolto pienamente le sue difese sia in primo che in secondo grado.

Nel merito le dichiarazioni rese non integrano alcuna delle ipotesi di protezione internazionale, trattandosi di conflitto meramente parentale in ordine a convinzioni religiose diverse in un Paese dove non risultano sussistere persecuzioni o discriminazioni per motivi religiosi. D’altra parte, il Paese di riferimento deve essere ritenuto soltanto il Ghana e non la Libia, da cui l’appellante è venuto in Italia.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione A.A. sulla base di quattro motivi. Si costituisce con controricorso il Ministero dell’interno.

Nel primo motivo viene dedotta la violazione dell’applicazione della presunzione semplice per determinare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, non avendo considerato la Corte d’Appello che alla luce dell’art. 19 della Costituzione, dell’art. 9CEDU e degli artt. 1,4 e 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, doveva ritenersi integrata la persecuzione per motivi religiosi. In Ghana, pur non essendo formalmente sussistente un regime discriminatorio per motivi religiosi, deve essere osservata la religione animista, specie nell’area di provenienza del ricorrente. Ne consegue che egli sarebbe indotto a professare un credo religioso che in Italia sarebbe vietato.

Nel secondo motivo viene dedotta la violazione della applicazione della protezione internazionale di persona profuga di guerra in Libia e la carenza di motivazione in ordine alla sussistenza delle condizioni per il riconoscimento di un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie. La fuga dalla Libia a causa della guerra civile non è stata considerata ai fini della protezione umanitaria.

Nel terzo motivo viene dedotta la violazione delle norme relative al riconoscimento della protezione sussidiaria in relazione alla condizione di profugo di guerra, dal momento che il ricorrente era residente in Libia e da questo Paese è fuggito a causa della guerra civile in atto. In tale condizione il ricorrente aveva diritto ad una misura di protezione temporanea di durata annuale.

Nel quarto motivo viene dedotta la erronea e contraddittoria motivazione della pronuncia impugnata oltre che la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e dell’art. 11, lett. a) della Convenzione di Ginevra del 1951 nonchè della Direttiva 2004/83/CE e del D.Lgs. n. 251 del 2007 in ordine alla prova o fonte di valutazione sulla base della quale la Corte d’Appello ha fondato il proprio esame della situazione socio-politica del Ghana.

Il primo motivo deve ritenersi inammissibile perchè non colpisce la ratio decidendi della sentenza impugnata, che si fonda sulla natura esclusivamente privatistica della ragione posta a base dell’allontanamento dal Ghana, dal momento che viene descritto un conflitto per motivi religiosi esclusivamente con il proprio padre ma senza l’allegazione di privazioni della libertà religiosa provenienti dalle autorità statuali o regionali o tribali. Questo nucleo decisionale della pronuncia impugnata non risulta adeguatamente censurato con la considerazione di carattere generale secondo la quale la religione animista è prevalente in Ghana e si tratta di un credo che non sarebbe consentito nel nostro Paese. Tale correlazione non integra alcuna condizione di riconoscimento della protezione internazionale, non evidenziando: quanto al rifugio politico, alcun fumus persecutionis personale proveniente da autorità pubbliche o enti non controllati dai pubblici poteri; quanto alla protezione sussidiaria, alcun pericolo per l’incolumità psico-fisica secondo le fattispecie tipizzate nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; quanto, infine, alla protezione umanitaria, nessun profilo di vulnerabilità, risultando l’allontanamento il frutto di una scelta personale.

I rimanenti motivi possono essere trattati congiuntamente riguardando le ragioni dalla fuga dalla Libia. In proposito deve tuttavia evidenziarsi che, non sussistendo ragioni ostative per il rientro in Ghana, come valutato incensurabilmente nella pronuncia impugnata anche sotto il profilo della situazione politica generale, risultano del tutto irrilevanti le considerazioni tendenti a qualificare il ricorrente profugo di guerra dalla Libia.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con compensazione delle spese del presente giudizio attesa la particolarità della vicenda.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così è deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017

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