Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17884 del 12/08/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 17884 Anno 2014
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: MATERA LINA

SENTENZA

sul ricorso 29932-2008 proposto da:
QUINTINO GIANFREDA GNFQTN49S11C865Z,

elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 111, presso lo
studio

dell’avvocato

rappresentate e

ANDREA

MARIA

difese dall’avvocato

AZZARO,
GIANPIERO

SAMORI’;
– ricorrente contro

DE MARCO MARIA DMRMRA19B56E815J,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA TERENZIO 21 SCALA C INT. 2,
presso lo studio dell’avvocato NANNI FRANCESCA ROMANA,

Data pubblicazione: 12/08/2014

rappresentata

e

difesa

dall’avvocato MARCUCCIO

MARCELLO;

controrícorrente

avverso la sentenza n. 490/2008 della CORTE D’APPELLO
di LECCE, depositata il 03/09/2008;

udienza del 29/05/2014 dal Consigliere Dott. LINA
MATERA;
udito

l’Avvocato ENRICO

PETRUCCI,

con delega

dell’Avvocato GIANPIERO SAMORI’ difensore della
ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato MARCELLO MARCUCCIO difensore della
resistente che ha chiesto l’accoglimento delle difese
esposte;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 10-3-2000 Gianfreda Quintino
conveniva dinanzi al Tribunale di Lecce, Sezione Distaccata di
Maglie, De Marco Maria, lamentando che quest’ultima era rimasta

stipulato in data 26-10-1998, con il quale gli aveva promesso in
vendita un appezzamento di terreno sito in agro di Collepasso, della
superficie totale di 30 ettari, dietro pagamento della somma di lire
50.000.000, che il Gianfreda aveva corrisposto alla firma del
preliminare stesso, con il quale aveva ottenuto l’anticipato possesso
dell’immobile. Tanto premesso, l’attore chiedeva l’emissione di
sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c.
Nel costituirsi, la De Marco contestava gli addebiti mossile e
chiedeva in via riconvenzionale l’annullamento del contratto per
errore essenziale, atteso che, mentre il preliminare aveva riguardato
un appezzamento di terreno agricolo, in data 7-2-2000 essa aveva
appreso che, dei circa 30 ettari compravenduti, non più di 18.11.51
avevano natura agricola, laddove i restanti avevano vocazione
edificatoria, ricadendo nella zona D-Insediamenti Industriali
Artigianali. In via subordinata, la convenuta chiedeva la risoluzione
del contratto preliminare, con condanna dell’attore al rilascio
dell’immobile ed al risarcimento danni.

1

inadempiente alle obbligazioni assunte con il contratto preliminare

Con sentenza in data 20-1-2005 il Tribunale pronunciava
l’annullamento del contratto stipulato dalle parti, condannando
l’attore alla restituzione dell’immobile. Il giudice, qualificato il
contratto in questione come “preliminare improprio”, comportante il

affermava che l’errore sulle caratteristiche di edificabilità del fondo
integrava un errore di fatto, ricadente sulla qualità dell’oggetto e
come tale essenziale ai sensi dell’art. 1429 n. 2 c.c. Rilevava,
inoltre, che tale errore era comune ad entrambe le parti, dovendosi,
altrimenti, escludere la buona fede dell’attore; sicché non poteva
essere richiesta la prova della “riconoscibilità” dell’errore
medesimo.
Avverso la predetta decisione proponeva appello il Gianfreda.
Con sentenza in data 3-9-2008 la Corte di Appello di Lecce
rigettava il gravame. La Corte territoriale, nel premettere che non
costituiva oggetto di contestazione né la sussistenza dell’errore sulle
caratteristiche di edificabilità di parte del terreno compravenduto né
l’essenzialità dello stesso ex art. 1429 c.c., ribadiva che,
contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, nella specie
l’errore era “comune”, in quanto le volontà delle parti erano
concordi (intendendo esse rispettivamente vendere ed acquistare un
terreno completamento agricolo) ed entrambe viziate da una falsa
rappresentazione della realtà (in quanto il terreno era solo in parte

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solo obbligo alla riproduzione del contratto in forma pubblica,

agricolo e per il resto, invece, a vocazione edificatoria). Trattandosi
di errore comune, pertanto, non trovava applicazione il principio
dell’affidamento e, quindi, ai fini dell’annullamento del contratto
non era richiesto il requisito della riconoscibilità dell’errore.

Gianfreda Quintino, sulla base di tre motivi.
De

Marco

Maria

ha

resistito

con

controricorso,

successivamente illustrato con una memoria ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e
falsa applicazione degli artt. 324, 329 comma 2 e 342 c.p.c., e la
conseguente omissione di pronuncia ex art. 112 c.p.c., in relazione
all’affermazione secondo cui la questione della sussistenza
dell’errore della De Marco sulla natura edificatoria del terreno
promesso in vendita non aveva formato oggetto di impugnazione e
risultava, quindi, coperta dal giudicato. Deduce di aver fatto
presente, a pag. 12 dell’atto di appello, che la De Marco “sin dal
1978 conosceva la natura dei terreni oggetto del compromesso”,

e di

avere sviluppato la censura a pag. 14 e 15, dichiarando di voler
produrre la documentazione ivi indicata (provvedimenti
amministrativi che avevano ricompreso il terreno della convenuta
nella zona di espansione industriale, e istanza con cui la De Marco
aveva richiesto già nel 1989 la esibizione di copia di tali

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Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso

provvedimenti), avente ” lo scopo di evidenziale come dal si.ra De
Marco, già dall’anno 1989, conoscesse la natura dei terreni facenti
parte della Masseria grande”.. Sostiene, pertanto, che l’appellante
aveva proposto un valido motivo dì impugnazione ex art. 342 c.p.c.,

sentenza di primo grado.
11 motivo è infondato.
Secondo il prevalente orientamento di questa Corte, nel
giudizio di appello, che non è un novum iudicium, la cognizione del
giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante
attraverso specifici motivi, e tale specificità esige che alle
argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano
contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento
logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni della
sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono. Ne
consegue che nell’atto di appello alla parte volitiva deve sempre
accompagnarsi una parte argomentativa, che confuti e contesti le
ragioni addotte dal primo giudice, al qual fine non è sufficiente che
l’atto di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente
impugnate, ma è altresì necessario che le ragioni su cui si fonda il
gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità, da
correlare peraltro con la motivazione della sentenza impugnata

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idoneo ad evitare il passaggio in giudicato del relativo capo della

(Cass. 17-9-2013 n. 21229; Cass. 13-4-2010 n. 8771, Cass. 18-42007 n 9244).
Nella specie, dall’esame diretto degli atti, consentito per la
natura del vizio denunciato (in procedendo), si evince che nella parte

l’odierno ricorrente si è limitato a contestare da un lato la
qualificazione di contratto preliminare “improprio” attribuita dal
Tribunale al negozio stipulato dalle parti, e dall’altro la
qualificazione dell’errore come “comune” ad entrambe le parti.
Sotto tale ultimo profilo, in particolare, il Gianfreda ha
dedotto che l’equivoco in cui era incorso il giudice di primo grado
era

“di aver ritenuto che anche l’appellante, acquirente o

promissario acquirente…fosse caduto in errore per la mera
circostanza che anche esso ignorava la natura di suolo edificatorio
di parte del terreno compravenduto\compromes,vo” (v.

pag. 7

dell’atto di appello); che, conseguentemente, non versandosi
“nell’ipotesi di errore comune, il giudice di prime cure avrebbe
dovuto accertare la sussistenza del requisito della riconoscibilità da
parte del destinatario della dichiarazione resa dalla venditrice,
ignara della natura edificatoria del terreno e, di conseguenza, frullo
di una falsa rappresentazione della realtà” (pag. 9); che “non è
stata fornita la prova che Gianfreda Quintino era a conoscenza o era
in grado di conoscere la natura edificatoria del terreno e che quindi

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motiva dell’atto di appello, articolato in due censure (A e B),

l’errore in cui era incorsa la sig.ra De Marco poteva essere rilevato,
attese le circostanze del caso concreto, da una persona di normale
diligenza …

(pag. 10); che “una lettura più attenta del contratto

annullato avrebbe certamente portato il giudice di prime cure ad

che l’appellante non ha dato alcun contributo causale alla
formazione di una volontà irregolare da parte dell’altra contraente”

(pag. 10); che l’appellante “è

stato solo il destinatario della

dichiarazione resa dalla venditrice senza avere, a sua volta, detto o
fatto alcunché per sviare la volontà della sig.ra De Marco”

(pag.

10); che, “del resto, se egli fosse stato a conoscenza della natura del
terreno, si verserebbe nell’ipotesi della mala fede, poiché egli
avrebbe taciuto una circostanza tale che, se conosciuta dall’altra
contraente, non l’avrebbe indotta a concludere il contratto. Ma ciò
non è avvenuto e comunque non vi è priva”

(pag. 11); che, “in buona

sostanza, sulla scorta della situazione dei luoghi, così come si
presentava alla vista delle persone, nonché per la presenza del
colono su parte de/fondo, il deducente non aveva alcuna ragione di
dubitare o di sospettare che la dichiarazione della venditrice fosse il
frutto di una falsa rappresentazione

(pag. 11).

I passaggi sopra riportati dimostrano chiaramente come
l’appellante non ha affatto posto in discussione la sussistenza
dell’errore sulle caratteristiche di edificabilità in capo alla

6

escludere l’ipotesi dell’errore comune, perché si sarebbe accorto

promittente venditrice, che anzi costituisce il presupposto stesso
delle censure volte a sostenere che tale errore non poteva ritenersi
comune all’attore.
Solo a pag. 12 l’appellante, nel chiedere in via gradata

fatto che quello della convenuta non poteva “definirsi un errore in
senso tecnico-giuridico, atteso che la sig. ra De Marco sin dal 1978
conosceva la natura dei terreni oggetti compromesso”.

Tale deduzione, peraltro, per la sua genericità, in rapporto alla
puntualità delle ammissioni reiteratamente rese nella parte
illustrativa dei motivi di gravame circa la mancata conoscenza, da
parte della venditrice, della natura edificatoria di parte del terreno,
non vale ad integrare uno specifico motivo di censura avverso la
valutazione espressa dal giudice di primo grado in ordine all’errore
di fatto in cui era incorsa la De Marco nel dichiarare nel contratto
che il terreno promesso in vendita aveva natura agricola.
Né agli effetti considerati può assumere rilevanza quanto si
legge a pag. 15 dell’atto di appello, circa l’intenzione dell’appellante
di produrre documentazione (copia della delibera del C.C. del
Comune di Collepasso n. 2325 del 7-8-1978, avente ad oggetto
l’approvazione del piano particolareggiato per le aree destinate ad
insediamenti produttivi; delibera della Giunta Regionale n. 7113 del
19-11-1979, avente ad oggetto approvazione del piano insediamenti

7

l’annullabilità parziale del contratto preliminare, ha accennato al

produttivi zona D Industriale delibera C.C. n. 76 del 31-7-1978;
istanza rilascio copia del 15-6-1989 a firma di Silvio Giorgio
Ferramosca, procuratore generale di De Marco Maria) avente “lo
scopo di evidenziare come la sig.ra De Marco, già dall’anno 1989,

Grande”.

Simile affermazione, priva dell’indicazione di concreti
riferimenti contenuti nei documenti in questione ai fondi oggetto di
causa, non soddisfa il requisito di specificità dei motivi di gravame,
non indicando in alcun modo le ragioni per le quali doveva ritenersi
errato il rilievo, contenuto a pag. 6 della sentenza di primo grado,
secondo cui “la documentazione, peraltro tardivamente prodotta
dall’attore nell’udienza di precisazione delle conclusioni non è
idonea ad escludere la sussistenza dell’errore di «fatto in cui è
incorsa la convenuta” .

Legittimamente, pertanto, la Corte di Appello ha escluso che
costituisse oggetto di gravame la sussistenza dell’errore della
promittente venditrice sulle caratteristiche di edificabilità di parte
del terreno compravenduto.
2) Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e
falsa applicazione degli artt. 1428 e 1431 c.c., nonché l’omessa e
insufficiente motivazione della sentenza impugnata, nella parte in
cui ha affermato che la semplice ignoranza del Gianfreda in ordine

8

conoscesse la natura dei terreni facenti parte della Masseria

alla natura del terreno promesso in vendita valesse comunque ad
integrare una situazione di errore comune, tale da rendere superfluo
il requisito della riconoscibilità. Deduce che l’attore, imprenditore
agricolo, intendeva acquistare il fondo in questione per adibirlo a

interrogato sulla natura del terreno, essendo per lui necessario e
sufficiente che lo stesso risultasse idoneo all’esercizio dell’impresa
agricola. Di conseguenza, poichè per il Gianfreda la vocazione
edificiatoria del terreno costituiva un elemento neutro, su cui non
poggiava il suo affidamento negoziale, la sua volontà era immune da
vizi del volere.
Il motivo è privo di fondamento, partendo dall’erroneo
presupposto secondo cui l’errore essenziale sul bene oggetto del
contratto dipende da circostanze puramente soggettive del
promissario acquirente, e non dalla constatata oggettiva diversità del
bene contrattato dalle parti, quale risulta dal contratto stesso (terreno
agricolo) (per una fattispecie del tutto simile a quella oggetto del
presente giudizio v. Cass. 15-12-2011 n. 26974).
Conseguentemente,

vertendosi

in un’ipotesi di errore

bilaterale, cioè comune ad entrambe le parti, correttamente il giudice
del gravame ha ritenuto il contratto de qzio annullabile, a prescindere
dall’esistenza del requisito della riconoscibilità dell’errore stesso.

9

coltivazione; e che, pertanto, il medesimo non si era affatto

Secondo un principio più volte affermato dalla giurisprudenza,
infatti, nell’ipotesi di errore bilaterale, che ricorre quando esso sia
comune a entrambe le parti, il contratto è annullabile a prescindere
dall’esistenza del requisito della riconoscibilità, poiché in tal caso

contraenti dato causa all’invalidità del negozio (Cass. 15-12-2011 n.
26974; Cass. 12-11-1979 n. 5829; Cass. 20-7-1962 n. 1970).

le

3) Con il terzo motivo corrente si duole della violazione
dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte di Appello omesso di
pronunciare sulla domanda subordinata di annullamento parziale del
contratto.
Anche tale motivo deve essere disatteso.
Dalla lettura della parte narrativa dello stesso ricorso per
cassazione (v. pag. 5), si evince che la domanda di annullamento
parziale del contratto preliminare, formulata in via subordinata con
l’atto di appello, in primo grado era stata proposta dall’attore solo
“nelle difese finali”, e quindi oltre i limiti temporali fissati dal
quarto comma dell’art. 183 c.p.c. (nel testo applicabile

ratione

temporis al presente giudizio) per la proposizione di domande
diverse rispetto a quella originariamente proposta, ove le stesse
trovino giustificazione nella domanda riconvenzionale o nelle
eccezioni proposte dal convenuto.

10

non è applicabile il principio dell’affidamento, avendo ciascuno dei

Legittimamente, pertanto, la Corte territoriale ha omesso di
pronunciare sulla domanda proposta in via subordinata con l’atto di
gravame, trattandosi di domanda nuova, inammissibile in appello.
Il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice di appello,

giacché la proposizione di una domanda inammissibile non determina
l’insorgere di alcun potere-dovere del giudice adito di pronunciarsi
su di essa (tra le tante v. Cass. 14-2-2001 n. 2080; Cass. 20-3-2006
n. 6094; Cass.. 31-3-2010 n. 7951).
4) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con
conseguente condanna delticorrente al pagamento delle spese
sostenute dalla resistente nel presente grado di giudizio, liquidate
come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna

K.

ricorrente al

pagamento delle spese, che liquida in euro 2.700,00, di cui euro
200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 29 -2014
Il Consigliere estensore

Il Pres

infatti, non è configurabile in relazione ad una domanda nuova,

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