Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17880 del 09/09/2016


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Cassazione civile sez. un., 09/09/2016, (ud. 21/06/2016, dep. 09/09/2016), n.17880

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente aggiunto –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. BIELLI Stefano – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso (iscritto al n.r.g. 8888/14) proposto da:

– S.p.a. LINEA ENERGIA;

– ricorrente –

contro

Regione Lombardia;

– controricorrente –

avverso sentenza del TSAP n. 206 del 2013; depositata il 10 dicembre

2013; con dispositivo notificato il 18 febbraio 2014;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21

giugno 2016 dal Consigliere Relatore Dott. Bruno Bianchini;

Uditi L’AVV. Giovanni Battista Conte per la ricorrente e l’avv.

Mazzullo, con delega dell’avv. Marco Cederle, per la Regione

controricorrente;

Udito il PM in persona del sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – La Linea Energia s.p.a., concessionaria di grande derivazione d’acqua a scopo idroelettrico per un impianto sito nel territorio del comune di Esine (Brescia), ricevette il 28 dicembre 2009 una nota della Regione Lombardia con la quale si comunicava che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2008 – che aveva dichiarato l’illegittimità della L. n. 266 del 2005, art. 1, commi 483 e ss., -, era stata ripristinata la data di scadenza della concessione del 31 dicembre 2010, già prevista dal D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79, art. 12, facendo venir meno la previsione di una proroga decennale; la nota faceva riferimento anche all’esercizio delle facoltà previste dal R.D. n. 1775 del 1933, art. 25. Con la nota in questione la Regione Lombardia aveva quindi comunicato che a partire dal 1 gennaio 2010 la società non avrebbe avuto più titolo a derivare ed utilizzare le acque pubbliche per la produzione di forza motrice nell’impianto di (OMISSIS).

2 – In risposta la società ribadì di volersi avvalere della proroga automatica della durata della concessione, à sensi dell’art. 1, commi da 483 a 492 Legge finanziaria per il 2006 (L. n. 266 del 2005) in ragione degli onerosi interventi di ammodernamento effettuati, già oggetto di apposita autocertificazione.

3 – Il ricorso proposto dalla società avverso tale atto fu respinto dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche con sentenza n. 128 del 2011, depositata il 7 dicembre 2011; l’impugnazione contro tale decisione fu rigettata dalle Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n.7376 del 2013: entrambe le pronunce furono motivate in base all’assunto che la società non avrebbe ritualmente dimostrato di aver eseguito i potenziamenti ed i miglioramenti – che, secondo l’assunto della ricorrente, avrebbero ex se originato il diritto alla proroga – prima della pubblicazione della sentenza n. 1 del 2008 della Corte Costituzionale, con la conseguenza che agli effetti caducatori di essa non sarebbe stato opponibile un già maturato “diritto quesito” della società.

4 – La Linea Energia propose allora ulteriore ricorso innanzi, questa volta, al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, diretto ad ottenere l’accertamento del proprio diritto alla proroga del rapporto concessorio sino al 31 dicembre 2020, giusta quanto disposto dall’art. 1, commi da 483 a 492 citata Legge Finanziaria per il 2006; anche tale impugnazione fu respinta dal TRAP con sentenza n. 2308 del 2013, argomentandosi che il diritto oggetto di accertamento avrebbe presupposto la già verificata scadenza della concessione, mentre nella fattispecie essa avrebbe perso di efficacia alla sua scadenza naturale fissata al 31 dicembre 2008; negò poi il TRAP che si potesse considerare sorto il diritto alla proroga al momento della pronuncia n. 1/2008 della Corte delle Leggi.

5 – Anche tale pronuncia formò oggetto di appello innanzi al TSAP.

Nel frattempo il legislatore statale, al fine di consentire il rispetto del termine per l’indizione delle gare per la scelta dei nuovi concessionari – giusta quanto previsto dal D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 12 – e per garantire un equo indennizzo agli operatori economici per gli investimenti effettuati ai sensi del ricordato art 1, comma 485 Legge Finanziaria per l’anno 2006, promulgò il D.L. n. 78 del 2010 – convertito nella L. n. 122 del 2010 – che con l’art. 15, comma 6 ter, prorogò per cinque anni le concessioni di grande derivazione d’acqua per uso idroelettrico e con il successivo comma 6 quater delimitò l’ambito di applicazione della predetta proroga sino all’adozione di diverse disposizioni legislative da parte delle Regioni: in applicazione di tale ultima disposizione, la Regione Lombardia promulgò la L.R. n. 19 del 2010 che con l’art. 14 introdusse nella L.R. n. 26 del 2003, l’art. 53 bis prevedente: la prosecuzione temporanea, da parte del concessionario uscente, dell’esercizio degli impianti di grande derivazione per uso idroelettrico, per il tempo necessario al completamento delle procedure di assegnazione e comunque per un periodo non superiore a cinque anni; le condizioni tecniche ed economiche che il concessionario uscente avrebbe dovuto osservare in detto periodo di prosecuzione temporanea; il pagamento, sempre da parte del predetto concessionario uscente, di un “canone aggiuntivo” – rispetto ai canoni e sovra canoni ordinari – secondo importi e modalità che la Giunta avrebbe stabilito; l’obbligo per il concessionario di realizzare, a proprio carico, gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, fatta salva l’applicazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 26.

7 – In ambito regionale, in sede di prima applicazione di tali disposizioni a 10 concessioni di grande derivazione per uso idroelettrico, tra le quali quella di Desio, la Regione Lombardia, con Delib. n. 9/1205 del 2010, stabilì la prosecuzione temporanea delle derivazioni e degli impianti a decorrere dal 1 gennaio 2011 nelle more del completamento delle procedure di assegnazione di cui all’art. 53 bis sopra citato e comunque non oltre il 1 gennaio 2016.

8 – La spa Linea Energia ha impugnato innanzi al TSAP sia detta delibera sia gli atti “antecedenti, conseguenti o comunque connessi” assumendo: che per effetto di tale delibera, non sarebbe stata garantita ad essa ricorrente la prosecuzione della concessione per un periodo di tempo determinato (in ipotesi: neppure quello di cinque anni), dal momento che la Regione si sarebbe riservata la facoltà di stabilire, di volta in volta, a suo arbitrio, la durata della prosecuzione; che detta delibera avrebbe altresì leso il diritto della ricorrente alla proroga del rapporto concessorio sino alla data del 31 dicembre 2020, quale esito necessario dell’applicazione della L. n. 266 del 2005, art. 1, commi da 483 a 492.

9 – La società ricorrente, in detta sede, ha sostenuto che l’art. 53 bis non avrebbe potuto essere applicato ai concessionari che, come la deducente, avessero già sostenuto oneri economici per investimenti, nella prospettiva della proroga contemplata dal già sopra richiamato L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 485, (poi dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 1 del 2008) in quanto il diritto alla proroga si sarebbe già “consolidato” prima della sentenza della Corte delle Leggi.

10 – In subordine, ove si fosse ritenuto applicabile la L.R. n. 26 del 2003, art. 53 bis allora detta disposizione sarebbe stata in contrasto con la Carta delle leggi, in quanto avrebbe attribuito alla Giunta Regionale il potere discrezionale di non consentire la prosecuzione della concessione di derivazione.

11 – In via di ulteriore subordine la ricorrente ha lamentato che, anche se si potesse superare l’incidente di costituzionalità, l’atto impugnato sarebbe comunque illegittimo per violazione di regole procedimentali.

12 – In ogni caso l’art. 53 bis sarebbe incostituzionale laddove prevede, a carico del concessionario uscente, l’obbligo di un canone aggiuntivo da considerarsi imposizione tributaria, non previsto dalla legislazione statale e scollegato dalla capacità contributiva.

13 – La citata disposizione sarebbe infine illegittima nella parte in cui (comma 5) porrebbe ad esclusivo carico del concessionario uscente (entro il termine di prosecuzione temporanea dell’esercizio della concessione) interventi di manutenzione straordinaria anche se non ammortizzabili, in contrasto dunque con il R.D. n. 1775 del 1933, art. 26 che invece pone a carico dell’amministrazione concedente l’onere eccedente l’ordinaria manutenzione se e in quanto non ammortizzabile nell’ultimo periodo.

14 – Con memoria, parte ricorrente ha dedotto la sopravvenuta “inattualità” della delibera impugnata per la sopravvenienza sia delle sentenze della Corte Costituzionale 205 e 339 del 2011 sia in forza delle novità legislative introdotte con il D.L. n. 83 del 2012, convertito con la L. n. 134 del 2012.

15 – Il TSAP, pronunciando nel contraddittorio della Regione Lombardia, ha innanzi tutto escluso che la ricorrente avesse acquisito, à sensi dell’art. 1, comma 485, Legge finanziaria per l’anno 2006, un diritto “quesito” alla proroga della concessione, come tale insensibile alla naturale retroattività che caratterizza le sentenze di accoglimento pronunciate dalla Corte Costituzionale: ciò in quanto un rapporto non può dirsi esaurito sol perchè la relativa fattispecie costitutiva si è perfezionata nel vigore della norma dichiarata incostituzionale, pena lo stravolgimento applicativo della retroattività delle sentenze della Corte delle leggi che trova precipua manifestazione proprio allorchè la norma poi dichiarata incostituzionale abbia prodotto i propri effetti: da ciò il TSAP ha tratto la conseguenza dell’applicabilità alla fattispecie del D.L. n. 78 del 2010, art. 15 e dell’art 53 bis succitato.

16 – L’adito Tribunale Superiore ha altresì escluso tutti i profili di illegittimità costituzionale che avevano ad oggetto il richiamato L.R. 26 del 2003, art. 53 bis da un lato evidenziando che la discrezionalità della Giunta nell’identificazione dei soggetti aventi diritto a proroga sarebbe stata in linea con il principio, statuito proprio dalla Corte delle leggi, anche con la sentenza n. 205/2011, della illegittimità della proroga automatica ed incondizionata delle concessioni rilasciate in precedenza, anche in ragione della fisiologica temporaneità delle concessioni medesime e della necessità, riaffermata anche in sede eurounitaria, della necessaria apertura alla concorrenza in favore di tutti gli operatori del settore; il TSAP, dalla riaffermazione di tali principi, ha tratto la conclusione che era infondata la configurabilità della stessa situazione giuridica azionata, vale a dire la sussistenza di un diritto alla proroga.

17 – Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso la Linea Energia sulla base di tre motivi di annullamento, illustrati da successiva memoria; ha resistito con controricorso la Regione Lombardia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 53 bis convertito con modificazioni nella L. n 134 del 2012; la violazione e la falsa applicazione degli artt. 117 e 136 Cost.; la violazione e la falsa applicazione degli artt. 10, 12 e 15 preleggi; la violazione e la falsa applicazione dell’art 100 c.p.c.; l’erroneità della sentenza per assenza e/o erroneità della motivazione su un punto decisivo della controversia.

1.a – Sostiene la ricorrente che il ricorso dovrebbe essere dichiarato improcedibile per difetto di interesse in ragione della sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità di norme connesse a quelle, in applicazione delle quali la citata normativa regionale è stata emessa, nonchè della sopravvenienza della L. n. 134 del 2012.

1.a.1 – Quanto a quest’ultimo aspetto, assume in particolare che il D.L. n. 83 del 2012, art. 37 – convertito, come detto, nella L. n. 134 del 2012, nel prevedere che per tutte le concessioni scadute o in scadenza entro il 31 dicembre 2017 e per le quali la gara per la scelta del concessionario subentrante non sia stata avviata con il prescritto anticipo di cinque anni rispetto alla scadenza (fattispecie in cui la ricorrente assume versare), le gare per le nuove concessioni non possono iniziare prima dell’adozione del decreto ministeriale che ne determini i parametri e che la nuova concessione inizi a dispiegare effetti decorsi cinque anni dalla scadenza del titolo precedente e comunque non oltre il 31 dicembre 2017, presupporrebbe che il concessionario uscente abbia il diritto di esercitare la derivazione fino al subentro del vincitore della gara (giusta il D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 12, comma 8 bis come modificato dal ricordato decreto legge): tale interpretazione sarebbe confermata, secondo la società ricorrente, anche dal richiamato D.L. n. 83 del 2012, art. 37, comma 5 che, allo scopo dichiarato di garantire la continuità gestionale, impone al concessionario uscente di trasferire a quello subentrante il ramo di azienda relativo all’esercizio della concessione: sostiene sul punto parte ricorrente che tale scopo sarebbe frustrato se si introducesse una soluzione di continuità tra la fine della gestione del primo e l’inizio di quella del secondo.

1.a.2 L’interpretazione presuppone che la L. n. 83 del 2012 non abbia disciplinato la sorte del rapporto concessorio scaduto, limitandosi a fornire regole per la regolazione dei nuovi rapporti (prevedendo, come visto, la necessaria subordinazione della indizione delle nuove gare all’emanazione del decreto ministeriale determinativo dei nuovi criteri); dal momento che non sono state fornite regole applicative per i rapporti ancora in corso, si sostiene che la sopravvenienza di tale legge necessariamente si applicherebbe anche agli stessi.

1.a.2 La tesi non è sostenibile se deve dirsi accertato che il rapporto non poteva essere prorogato alla sua naturale scadenza per effetto della dichiarazione di incostituzionalità della norma che prevedeva appunto la proroga medesima; appare peraltro evidente che lo jus superveniens ha introdotto una nuova regolamentazione, come tale, da formare possibile oggetto di diversa ed autonoma iniziativa impugnatoria.

1.a.3 – Assume poi la parte ricorrente che la sopravvenuta sentenza n. 339 del 2011 della Corte Costituzionale – abrogativa del richiamato L.R. n. 26 del 2003, art. 53 bis per non aver previsto l’effettuazione di gare ad evidenza pubblica anche per le concessioni per l’uso di acque pubbliche – avrebbe in larga misura privato di attualità tanto l’impugnata Delib. Giunta n. 9/1205 del 2010, quanto l’intero art. 53bis, atteso che avrebbe decretato la illegittimità di tutto il meccanismo procedimentale di detta norma e con esso anche la delibera di Giunta oggetto di impugnazione, che a quel meccanismo aveva dato attuazione.

1.a.4- Neppure questo assunto può essere condiviso per l’esaurimento del rapporto concessorio al momento della declaratoria di incostituzionalità dell’art. 53 bis, come appresso verrà specificato.

1.a.5 – Parte ricorrente mette poi in rilievo che la nuova disciplina statale – pur se dichiarata “cedevole” rispetto a quella regionale – avrebbe sostanzialmente abrogato le normative regionali preesistenti e con essa confliggenti (che prevedevano appunto il potere discrezionale della Regione di consentire o meno la prosecuzione della gestione del concessionario uscente e, se del caso, di variarne le condizioni economiche, attraverso un canone aggiuntivo).

1.a.6 – Il profilo evidenziato è superato dalla dichiarata volontà regionale di voler indire nuove gare, dunque senza far mostra di alcuna discrezionalità nell’agire: la prosecuzione della vecchia concessione è ora esclusa in radice.

2 Con il secondo motivo viene dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 117 Cost. sotto il profilo della violazione del D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 12, comma 8 bis, e del R.D. n. 1775 del 1933, art. 26; la gravata decisione è censurata altresì per assenza e/o erroneità della motivazione su un punto decisivo della controversia.

2.a – Assume in proposito la ricorrente che la sentenza del TSAP avrebbe ignorato il pur dedotto contrasto con i principi fissati nell’art. 117 Cost. in cui sarebbero incorsi la L.R. Lombardia n. 26 del 2003, art. 53 bis, commi 4 e 5; mette in evidenza che l’art. 53 bis, comma 5 succitato – che attribuisce alla Giunta regionale il potere discrezionale di consentire la prosecuzione temporanea della gestione dell’impianto da parte del concessionario uscente – sarebbe in contrasto con il D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 12, comma 8 bis – il quale configura tale temporanea prosecuzione come una posizione soggettiva del concessionario, scaturente dalla legge stessa, senza intervento alcuno da parte dell’amministrazione (locale) -: ciò posto la società ricorrente assume che quanto stabilito da tale ultima norma costituisca principio fondamentale della legislazione statale in materia – e, come tale, non derogabile da norme di rango regionale.

2.b – Del pari l’art. 53 bis, comma 5 – il quale subordina la prosecuzione temporanea dell’esercizio, da parte del concessionario uscente, al rispetto delle condizioni tecniche ed economiche definite dalla Giunta regionale e prevede che durante tale prosecuzione il predetto è tenuto a versare alla Regione un canone aggiuntivo nonchè a realizzare a proprie spese i necessari interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, al fine di assicurare la piena efficienza dei beni e delle opere – sarebbe in contrasto con il principio generale stabilito dall’art. 8 bis del D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 12 – introdotto dal D.L. n. 78 del 2010, convertito nella L. n. 122 del 2010 – a mente del quale la prosecuzione della gestione da parte del concessionario uscente deve avvenire alle stesse condizioni stabilite dalle normative e dal disciplinare di concessione vigenti.

2.b.1 – Il profilo si appalesa inammissibile in quanto contenente una prospettazione nuova rispetto a quella fatta valere innanzi al TSAP, riassunta più sopra ai punti 12 e 13 della narrativa del fatto processuale, in cui l’imposizione del canone aggiuntivo veniva censurata per la sua natura di carico tributario e non già per contrasto con il principio di equivalenza degli obblighi imposti al concessionario in carica e quello cessato.

2.c – Assume poi la ricorrente che il TSAP non avrebbe neppure preso posizione sull’evidente contrasto tra il ricordato L.R. n. 26 del 2003, art. 53 bis, comma 5 – che fa obbligo al concessionario uscente di realizzare a proprio carico i necessari interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria per assicurare la piena efficienza dei beni e delle opere – e quanto previsto dal R.D. n. 1775 del 1933, art. 26 – contenente i principi generali in materia – che invece prevede che nell’ultimo quinquennio di durata delle concessioni delle utenze di grandi derivazioni per forza motrice, possa, sì, essere imposta al concessionario l’esecuzione di quanto è necessario per la piena efficienza e per il normale sviluppo degli impianti, ma, in questo caso, statuendo che l’onere eventualmente eccedente l’ordinaria manutenzione debba essere sostenuto dallo Stato in quanto non ammortizzabile nell’ultimo quinquennio – con la conseguenza che gli oneri eccedenti l’ordinaria manutenzione non devono gravare sul concessionario uscente.

2.c.1 – La delibera infine non avrebbe fatto alcuna menzione della salvezza delle disposizioni dell’art. 26 del T.U. sulle acque, pur contenuta nell’art. 53 bis, comma 5 sopra richiamato.

2.d – I suesposti profili sono del tutto infondati perchè è la stessa norma della cui applicazione si discute che faceva salvi quei principi, non senza omettere di rilevare che il “concessionario uscente” era in realtà un soggetto in prosecuzione temporanea, alla cui situazione evidentemente potevano applicarsi le norme stabilite dal citato art. 26 del T.U. Acque solo in virtù di espresso richiamo.

3 Con il terzo motivo è denunciata la violazione e la falsa applicazione dell’art. 136 Cost.; della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 485; 486; 487 e 488; dell’art. 12 preleggi; dei principi generali di diritto amministrativo, di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 1 in materia del legittimo affidamento; è anche dedotta l’erroneità dell’impugnata decisione per assenza e/o erroneità della motivazione su un punto decisivo della controversia.

3.a – Sostiene la ricorrente che del tutto erroneo sarebbe l’assunto del TSAP secondo il quale essa deducente non avrebbe maturato, al momento della dichiarazione di incostituzionalità portata dalla sentenza n. 1/2008 della Corte delle leggi, alcun “diritto quesito”, come tale resistente all’effetto abrogativo della pronuncia stessa: per arrivare a tale risultato interpretativo la società Linea Energia assume innanzi tutto che la L. n. 266 del 2005 (finanziaria per l’anno 2006), nell’art. 1, commi 485-487, aveva nella sostanza garantito a coloro che fossero già titolari di concessione di grandi derivazioni d’acqua per uso idroelettrico – in attesa del processo di liberalizzazione europea del mercato interno dell’energia elettrica – il beneficio della proroga decennale delle concessioni, a condizione della programmazione o della effettuazione di congrui interventi di ammodernamento degli impianti, rispondenti ai requisiti di cui all’art. 1, comma 487 sopra citato; detta norma “di incentivazione” avrebbe fatto assumere un vero e proprio obbligo (assimilabile a quello contrattuale e con funzione sinallagmatica rispetto all’insorgere del diritto alla proroga automatica) dell’amministrazione alla proroga decennale; dal momento che non poteva essere contestato il fatto storico che gli interventi erano stati realizzati entro il 31 dicembre 2007, la società assume di aver effettuato tutte le opere di ammodernamento, acquisendo dunque al 31 dicembre 2007, il diritto alla proroga.

3.a.1 – Il profilo è infondato, perchè è stata ragionevolmente affermata la suscettibilità del rapporto concessorio a rientrare nella disciplina – art. 1, comma 485 – dichiarata incostituzionale: ne consegue che il preteso “diritto alla proroga” va negato, per quanto sul punto rilevato dalla Corte Cost. n. 1 del 2008 che appunto ha voluto impedire l’ingresso, siccome confliggente con i principi della libera concorrenza, a qualunque automatismo di prolungamento degli effetti della concessione di derivazione; anche di recente – v. Cass. Sez. Un. Sentenza nn. 4192 e 4193 del 2016 – questa Corte ha ribadito che “una volta rimosse dall’ordinamento le disposizioni che prevedevano la prorogabilità delle concessioni di grande derivazione a determinate condizioni prima della scadenza delle concessioni stesse, deve escludersi che la proroga, pur essendo state poste in essere le condizioni previste dal legislatore, potesse operare, non ricorrendo una di quelle situazioni che preclude il dispiegarsi della naturale efficacia retroattiva delle sentenze dichiarative della illegittimità costituzionale di una disposizione di legge”.

3.a.2 – Va anche rilevato che parte controricorrente ricorda che in altre sentenze del TSAP si sarebbe posto addirittura in dubbio che per dirsi eseguite le opere di ammodernamento degli impianti – e quindi, secondo la prospettiva della società-fosse sufficiente l’autocertificazione, come di fatto avvenuto nella fattispecie.

3.b – Assume altresì la ricorrente che, pur ritenendo applicabile la retroattività (pur se apparente) della pronuncia della Corte delle leggi che aveva eliminato il referente normativo della proroga decennale, tuttavia non legittimo sarebbe stato il provvedimento che, per ciò solo, aveva ritenuto far rivivere la scadenza quinquennale della concessione, senza però adottare un provvedimento di autotutela ad hoc che si facesse carico della situazione venutasi a creare medio tempore: così operando allora la Giunta avrebbe leso il legittimo affidamento della ricorrente alla stabilità della norma abrogata.

3.b.1 – In disparte la novità della prospettazione – che rende di per sè inammissibile il profilo in esame – sta comunque la constatazione che non era invocabile nella fattispecie il principio del legittimo affidamento del privato alla legittimità dell’agire della PA – da cui sarebbe potuta nascere, al più, solo una pretesa risarcitoria – perchè l’intervento abrogativo della Corte Costituzionale sulla norma di riferimento, richiamata dal provvedimento amministrativo impugnato, si pone in termini diversi dall’esito di annullamento di un provvedimento favorevole al privato e non lascia permanere nessun ambito applicativo alla norma caducata e, dunque, non consente neppure di presumere esistente una culpa della PA nell’aver causato, con il suo agire apparentemente legittimo, un danno al privato (v. sul punto: Cass. Sez. Un. 6596 del 2011).

3.c – Il ripristino della normativa precedente a quella dichiarata incostituzionale è infine un portato ordinamentale determinato dalla necessità di non creare lacune normative: inapplicabile alla fattispecie è di conseguenza il principio secondo il quale, in caso di esercizio del potere di autotutela in annullamento, la PA deve bilanciare le esigenze caducatorie con la necessità di assicurare la continuità delle situazioni incise dal provvedimento: del resto è proprio la L.R. n. 266 del 2003, art. 53 bis, comma 1 che inquadra e disciplina le sorti del rapporto concessorio cessato, parlando di “prosecuzione temporanea di esercizio” e non già di proroga.

4 – Conclude il ricorrente, in via subordinata, per il rinvio alla Corte Costituzionale dell’eccezione incidentale di non conformità dell’art. 53 bis agli artt. artt. 3, 53 e 97 Cost., art. 117 Cost., commi 2 e 3; art. 136 della Carta delle Leggi: tali “conclusioni”, essendo sfornite di apparato argomentativo, non sono idonee a sollecitare una delibazione da parte di questa Corte.

5 – La ripartizione dell’onere delle spese segue le regole della soccombenza, secondo la liquidazione indicata in dispositivo; poichè il ricorso è stato notificato dopo il 31 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 8.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, il 21 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2016

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