Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1788 del 28/01/2010

Cassazione civile sez. III, 28/01/2010, (ud. 19/11/2009, dep. 28/01/2010), n.1788

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 28039/2008 proposto da:

D.L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA APPIA

NUOVA 414, presso lo studio dell’avvocato ANGIO’ ANTONIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato MONTANO Ludovico, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.D., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati

ESPOSITO Gennaro, GIORDANO CIRO, giusta procura speciale a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1851/2008 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

14/05/08, depositata il 26/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/11/2009 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;

udito l’Avvocato Mercone Pasquale, (delega avvocato Montano

Ludovico), difensore del ricorrente che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. EDUARDO VITTORIO

SCARDACCIONE che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

La Corte, letti gli atti depositati:

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 14 novembre 2008 D.L. G. ha chiesto la cassazione della sentenza, notificata il 2 agosto 2008, depositata in data 26 giugno 2008 dalla Corte d’Appello di Napoli, confermativa della sentenza del Tribunale che aveva dichiarato risolto per inadempimento del conduttore il contratto di locazione relativo all’appartamento di proprietà di B.D. aveva condannato il D.L. al rilascio e al pagamento di Euro 1.521,00 per integrazione canoni sino all’aprile 2007, al pagamento del canone integrato e al rimborso delle somme per consumo d’acqua.

La B. ha resistito con controricorso.

2 – I quattro motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366 bis c.p.c..

Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360 c.p.c., per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo dì innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 111 Cost. e art. 51 c.p.c., n. 2, ma non postula l’enunciazione di alcun principio di diritto idoneo ad evidenziare le denunciate violazioni di norme di diritto, decisivo per il giudizio e nel contempo generalmente applicabile.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 414 c.p.c., n. 5, con riferimento all’asserita incompletezza del contratto allegato al ricorso e all’illegittimità della successiva produzione integrativa.

Anche al riguardo manca un quesito formulato in termini appropriati e inoltre la censura si rivela intrinsecamente generica e non rispondente al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in quanto non riproduce le parti mancanti nel contratto allegato al ricorso introduttivo rispetto a quello depositato successivamente.

Con il terzo motivo viene ipotizzata violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1456 c.c.. La censura non presenta alcun quesito di diritto a attiene piuttosto al tema del vizio di motivazione che alla denunciata violazione e falsa applicazione (che non sono sinonimi) di norme di diritto.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta violazione dell’art. 233 c.p.c., con riferimento alla mancata ammissione del giuramento decisorio deferito all’udienza di discussione, ma anche in questo caso non viene formulato alcun quesito di diritto e la censura, intrinsecamente generica, concerne un vizio motivazionale.

4.- La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti;

Non sono state presentate conclusioni scritte nè memorie; il ricorrente ha chiesto d’essere ascoltato in Camera di consiglio;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380 bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.600,00, di cui Euro 1.400,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2010

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