Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17878 del 19/07/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. VI, 19/07/2017, (ud. 22/06/2017, dep.19/07/2017),  n. 17878

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3637/2013 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, UNIVERSITA’ E RICERCA – C.F. (OMISSIS),

UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER LE MARCHE, AMBITO TERRITORIALE DI

ASCOLI PICENO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

F.M.;

– intimata –

per la cassazione delle sentenze n. 441/2012, non definitiva,

pubblicata il 18/04/2012 e su cui è intervenuta apposita riserva di

impugnativa, e n. 985/2012, definitiva, pubblicata il 16/10/2012,

della Corte di Appello di Ancona;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 22/06/2017 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

F.M., assunta alle dipendenze del Ministero della Istruzione, Università e Ricerca con contratti a tempo determinato succedutisi nel tempo, ha chiesto al Tribunale di Ascoli Piceno la dichiarazione di illegittimità dei termini apposti ai contratti di lavoro, con la conseguente conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato e la condanna del Ministero al risarcimento del danno;

il Tribunale ha accolto parzialmente la domanda, escludendo la conversione e condannando il Ministero convenuto al pagamento, in favore della lavoratrice di dieci mensilità della retribuzione mensile di fatto;

la sentenza è stata appellata, in via principale, dal Ministero e, in via incidentale, dalla lavoratrice, e la Corte d’appello di Ancona ha accolto in parte gli appelli, condannando il Ministero al pagamento, in favore della ricorrente, di una somma da liquidarsi nel prosieguo del giudizio, pari alla differenza tra la retribuzione effettivamente percepita dalla lavoratrice e quella spettante al dipendente assunto con contratto a tempo indeterminato; ha invece escluso il diritto alla conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato in tempo indeterminato;

con successiva sentenza la Corte ha quantificato le somme spettanti alla lavoratrice;

la Corte territoriale ha ritenuto che la domanda della lavoratrice, nei limiti riconosciuti, fosse fondata alla luce del principio di non discriminazione tra lavoratori di cui all’art. 4 dell’Accordo Quadro attuato con Direttiva 1999/70/CE (oltre che con il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 6) il quale consente un trattamento differenziato tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato sulla base di ragioni oggettive, che non possono essere ravvisate nella mera circostanza che un impiego sia qualificato di ruolo in base all’ordinamento interno e presenti alcuni aspetti caratterizzanti il pubblico impiego;

per la cassazione di entrambe le sentenze ha proposto ricorso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca sulla base di un motivo;

la parte intimata non svolge attività difensiva;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio non partecipata;

il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. Con l’unico articolato motivo il MIUR denuncia la violazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 6; D.L. n. 70 del 2011, art. 9, comma 18, come convertito dalla L. n. 106 del 2011; L. 11 luglio 1980, n. 312, art. 53; L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 4 e della direttiva 99-70-CE.

2.1. Deduce, in sintesi, la insussistenza di una normativa che riconosca ai lavoratori a tempo determinato gli scatti collegati con l’anzianità di servizio previsti per i lavoratori a tempo indeterminato e ciò sulla base a) del disposto del D.P.R. n. 399 del 1998, art. 3 e della L. 11 luglio 1980, n. 312, art. 53, a norma dei quali deve escludersi il diritto per il periodo pre-ruolo di supplenza a scatti retributivi e la ricostruzione di carriera può essere chiesta solo dal personale di ruolo ad avvenuto superamento del periodo di prova, con effetti decorrenti dalla conferma ih ruolo; b) del C.C.N.L. del comparto scuola 4/8/1995, il quale (art. 53) nulla prevede in merito agli scatti di anzianità per i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato, ai quali spetta solo il trattamento economico iniziale previsto per il corrispondente personale con contratto di lavoro a tempo indeterminato.

2.2. Sostiene che alle supplenze, stipulate per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo, non si applica la disciplina generale dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001, bensì la normativa di settore, ed in particolare la L. n. 124 del 1999, art. 4; che non è comparabile la posizione dei supplenti, che sottoscrivono ogni anno un nuovo contratto del tutto autonomo rispetto al precedente, con quella dei dipendenti di ruolo, assunti a seguito di concorso. Richiama il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, nella parte in cui attribuisce alla contrattazione collettiva il potere di disciplinare la materia dei contratti a tempo determinato stipulati dalle Pubbliche Amministrazioni, e aggiunge che l’Accordo quadro fa salve deroghe dovute a ragioni oggettive, così attribuendo rilievo alle esigenze di specifici settori che giustificano il ricorso alla tipologia contrattuale e le differenziazioni fra lavoratori a tempo determinato ed indeterminato.

3. Il motivo è infondato.

Come già osservato da questa Corte (Cass. n. 22258/2016; Cass. n. 27387/2016; Cass. n. 165/2017; Cass. n. 290/2017, alle cui motivazioni ci si riporta integralmente in quanto del tutto condivise), l’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo determinato “condizioni di impiego” che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato “comparabile”, sussiste a prescindere dalla legittimità del termine apposto al contratto, giacchè detto obbligo è attuazione, nell’ambito della disciplina del rapporto a termine, del principio della parità di trattamento e del divieto di discriminazione che costituiscono “norme di diritto sociale dell’Unione di particolare importanza, di cui ogni lavoratore deve usufruire in quanto prescrizioni minime di tutela” (Corte di Giustizia 9.7.2015, causa C-177/14, Regojo Dans, punto 32).

3.1. La clausola 4 dell’Accordo quadro è stata più volte oggetto di esame da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha affrontato tutte le questioni rilevanti nel presente giudizio rilevandone il carattere incondizionato idoneo alla disapplicazione di qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte di Giustizia 15.4.2008, causa C- 268/06, Impact; 13.9.2007, causa C- 307/05, Del Cerro Alonso; 8.9.2011, causa C-177/10 Rosado Santana) ed affermando la esclusione di ogni interpretazione restrittiva, non potendo la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’art. 137 n. 5 del Trattato (oggi art. 153, n. 5), “impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorchè proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del Cerro Alonso, cit., punto 42).

3.2. La CGUE ha evidenziato che le maggiorazioni retributive che derivano dalla anzianità di servizio del lavoratore costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva (Corte di Giustizia 9.7.2015, in causa C177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata).

3.3. A tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, nè rileva la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perchè la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e C305/11, Valenza; 7.3.2013, causa C393/11, Bertazzi).

3.4. In questa sede il Ministero, pur affermando l’esistenza di condizioni oggettive a suo dire idonee a giustificare la diversità di trattamento, ha fatto leva su circostanze che prescindono dalle caratteristiche intrinseche delle mansioni e delle funzioni esercitate, le quali sole potrebbero legittimare la disparità.

4. Pertanto, essendo da condividere la proposta del relatore, il ricorso va rigettato con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5. Nessun provvedimento sulle spese deve adottarsi, a causa del mancato svolgimento di attività difensiva da parte della intimata.

Non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, atteso che le stesse, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass. 1778/2016).

PQM

 

rigetta il ricorso; nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA