Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17877 del 27/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 27/08/2020, (ud. 04/06/2020, dep. 27/08/2020), n.17877

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4820-2019 proposto da:

D.U., R.D., D. ALESSANDRO, elettivamente

domiciliati in ROMA, CORSO D’ITALIA 102, presso lo studio

dell’avvocato NICOLETTA GERVASI, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE,DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA (OMISSIS),

in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4543/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO

CIGNA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con citazione 19 maggio 2010 D.U. e R.D., in proprio e quali genitori esercenti la potestà sul figlio minore D.A., convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) per sentirlo condannare al risarcimento del danno subito in conseguenza del fatto accaduto il 3-10-2008 presso l’Istituto “(OMISSIS)”, allorchè, durante l’ora di storia, il minore era stato spinto da un compagno di banco, riportando la frattura di due denti incisivi. Si costituì il MIUR e chiese il rigetto della domanda.

Con sentenza 14458/2013 del 2-7-2013 l’adito Tribunale rigettò la domanda.

Con sentenza 4553/2018 del 4-7-2018 la Corte d’Appello di Roma ha rigettato il gravame proposto da D.U. e R.D.; in particolare la Corte territoriale, ribadita la correttezza dell’inquadramento della fattispecie in questione nell’ambito dell’art. 2048 c.c., comma 2, ha evidenziato che, in base a detta norma, l’insegnante non è responsabile se prova il caso fortuito, e cioè “se prova di non avere potuto impedire il fatto”; nella,specie era stato dimostrato che l’insegnante aveva prestato la dovuta diligenza sull’alunno e che la condotta di quest’ultimo era stata imprevedibile, inevitabile ed improvvisa, tanto da non dar modo a chi era tenuto a vigilare di poterne impedire gli effetti dannosi; nello specifico, infatti, l’insegnante era presente in aula al momento del fatto e non poteva prevedere alcun pericolo nella condotta dell’alunno, che stava facendo ritorno al suo posto dopo essere stato chiamato alla cattedra; l’insegnante, quindi, non aveva potuto impedire che “la spinta da questi arrecata al suo compagno di banco ne provocasse la caduta e le lesioni riportate”.

Avverso detta sentenza D.U., R.D. ed D.A. propongono ricorso per Cassazione affidato ad un unico motivo ed illustrato anche da successiva memoria.

Resiste con controricorso il MIUR.

Il relatore ha proposto la trattazione della controversia ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.; detta proposta, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata, è stata ritualmente notificata alle parti.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con l’unico motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 2047 e 2048 c.c., sostengono che, contrariamente a quanto affermato dal Giudice del merito, il MIUR non aveva fornito alcuna prova nè del corretto esercizio della vigilanza da parte dell’insegnate nè dell’imprevedibilità e repentinità dell’azione dannosa.

Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve in una critica, di per sè non consentita in sede di legittimità, all’accertamento in fatto compiuto dalla Corte in ordine alla sussistenza del caso fortuito, e cioè, nella specie, alla “prova di noti avere potuto impedire il fatto”; la censura, infatti, involge la ricostruzione del fatto operata dal Giudice del merito, in ordine alla quale è precluso a questa S.C. ogni sindacato, a maggior ragione dopo la novella dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che ha ridotto al minimo costituzionale il controllo in sede di legittimità sulla motivazione (Cassa S.U. 8053, 8054 e 19881 del 2014), rimanendo comunque gli apprezzamenti di fatto -se scevri (come lo sono nella specie, per quanto sopra precisato) da quei soli ed evidenti vizi logici o giuridici ammessi dalle richiamate pronunzie delle Sezioni Unite – istituzionalmente riservati al giudice del merito (v., tra le tante, Cass. S.U. 20412/2015).

Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato dichiarato inammissibile, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.200,00, oltre alle spese prenotate a debito; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2020

 

 

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