Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17875 del 30/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 30/07/2010, (ud. 08/07/2010, dep. 30/07/2010), n.17875

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro

tempore, e Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliati in Roma, via dei Portoghesi 12.

presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e

difende per legge;

– ricorrenti –

contro

G.C., elettivamente domiciliato in Roma, piazza della

Libertà 20, presso l’avv. prof. Angelo Maietta, rappresentato e

difeso dall’avv. Imbimbo Massimo, giusta delega in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania (Napoli – Sez. staccata di Salerno), Sez. n. 2, n. 39/2/05,

del 10 febbraio 2004, depositata l’8 aprile 2005, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio

dell’8 luglio 2010 dal Relatore Cons. Dr. Raffaele Botta;

Lette le conclusioni scritte del P.G. che ha chiesto il rigetto del

ricorso per manifesta infondatezza;

Letto il ricorso e il controricorso.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Che debba essere preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del ricorso principale del Ministero dell’Economia e delle Finanze: nel caso di specie, al giudizio di appello ha partecipato l’Ufficio periferico di Avellino dell’Agenzia delle Entrate (successore a titolo particolare del Ministero) e il contraddittorio è stato accettato dal contribuente senza sollevare alcuna eccezione sulla mancata partecipazione del dante causa, che così risulta, come costantemente ha rilevato la giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, v. Cass. n. 3557/2005), estromesso implicitamente dal giudizio, con la conseguenza che la legittimazione a proporre il controricorso (così come il ricorso per cassazione) spettava alla sola Agenzia. Sul punto va disposta la compensazione delle spese stante il consolidamento del principio affermalo in epoca successiva alla proposizione del ricorso;

Considerato che il ricorso è fondato su un unico motivo con il quale sotto il profilo della violazione di legge si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che lo scostamento tra i dati dichiarati e quelli calcolati con i cd. parametri costituisca una presunzione legale (e non una presunzione semplice) che determina una inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, onere che quest’ultimo non avrebbe assolto;

Ritenuto che il ricorso, il quale sotto molti profili tende inammissibilmente ad ottenere il riesame del merito, sia manifestamente infondato sulla base del principio espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui: ®La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito” (Cass. S.U. n. 26635 del 2009). La sentenza impugnata è fondata su un accertamento di fatto, congruamente motivato, in ordine alle condizioni alla luce delle quali non poteva essere ritenuto adeguato il maggior reddito accertato.

Pertanto il ricorso deve essere rigettato. La formazione del principio enunciato in epoca successiva alla proposizione del ricorso giustifica la compensazione delle spese.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 8 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2010

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