Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17875 del 27/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 27/08/2020, (ud. 04/06/2020, dep. 27/08/2020), n.17875

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33826-2018 proposto da:

A.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

ANGELICO 101, presso lo studio dell’avvocato GRAZIA BAURO SAIJA,

rappresentata e difesa dall’avvocato SILVESTRO ROSARIO SAJA;

– ricorrente –

contro

A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato RENZO GIANOLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3277/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 05/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO

CIGNA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

A.G. convenne dinanzi al Tribunale di Sondrio la sorella A.M. per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro 67.296,44, a titolo di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale per rottura ingiustificata delle trattative; o in alternativa per responsabilità da “contatto sociale qualificato”; a sostegno della domanda riferì di avere concluso con la sorella M. un accordo (non formalizzato per iscritto stante il legame affettivo) in base al quale quest’ultima avrebbe acquistato all’asta alcune unità immobiliari appartenenti al suo ex compagno sottoposte a procedura esecutiva, con impegno della sorella di rivendergliele dopo alcuni mesi dall’aggiudicazione; la sorella aveva provveduto all’acquisto, ma non aveva poi tenuto. fede all’impegno del successivo trasferimento.

L’adito Tribunale rigettò la domanda; in particolare il Tribunale ritenne non configurabile nella specie una responsabilità da contatto sociale qualificato, essendo necessaria, per la sussistenza di detta responsabilità, la violazione di una regola di condotta imposta dalla legge a tutela di terzi (nella specie insussistente), e non essendo invece sufficiente una mera relazione tra danneggiante e danneggiato; il Tribunale, inoltre, ritenne che l’attrice aveva inteso dedurre, più che una responsabilità precontrattuale per ingiustificato recesso dalle trattative, un inadempimento del contratto verbale intercorso tra le sorelle, avente ad oggetto sia l’impegno di M. ad aggiudicarsi l’asta dei beni immobili sia il successivo trasferimento a titolo oneroso in favore di G.; tale accordo orale, qualificabile come contratto preliminare o come contratto di opzione, era comunque da ritenersi nullo per mancanza di forma:

Con sentenza 3277/18 del 5 luglio 2018 la Corte d’Appello di Milano ha rigettato il gravame proposto da A.G.; in particolare la Corte territoriale ha, in primo luogo, ritenuto inammissibile, in quanto dedotta per la prima volta in appello, la prospettata violazione di un obbligo di protezione di M. nei confronti dei nipoti; violazione comunque valutata non sussistente, atteso che, ai sensi dell’art. 315 bis c.c., sono solo i genitori a dovere provvedere ai bisogni dei figli; la Corte, poi, ha evidenziato che l’attrice, pur avendo chiesto di accertare la responsabilità precontrattuale per l’ingiustificato rifiuto della sorella alla conclusione del contratto, aveva tuttavia dedotto, nella narrativa della citazione, l’esistenza non di semplici trattative, bensì di un vero e proprio accordo, non onorato dalla sorella; accordo correttamente qualificato dal primo Giudice come contratto preliminare di compravendita (in quanto contenente l’impegno di M. di acquistare all’asta e poi rivendere gli immobili alla sorella), nullo per difetto di forma scritta ex artt. 1350 e 1351 c.c..

Avverso detta sentenza A.G. propone ricorso per Cassazione, affidato a due motivi.

A.M. resiste con controricorso, illustrato anche da successiva memoria.

Il relatore ha proposto la trattazione della controversia ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.; detta proposta, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata, è stata ritualmente notificata alle parti.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo la ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione di norme di diritto, si duole che la Corte territoriale abbia “inquadrato la domanda come contratto preliminare di vendita, ribadendo la necessità della forma scritta per potere accogliere la domanda”; al riguardo sostiene l’insussistenza di un contratto preliminare di compravendita, e quindi l’erroneità dell’inquadramento della fattispecie nell’art. 1351 c.c.; erroneamente, inoltre, la Corte, così come prima anche il Tribunale, aveva considerato quello derivante dalla parentela come un obbligo di protezione, e non invece come un obbligo da “contatto sociale qualificato tra le germane”; il contatto sociale qualificato, anche a prescindere dalla conclusione di un contratto, era infatti ravvisabile anche per i terzi, in presenza di violazioni di obblighi di protezione derivanti direttamente dalla legge; di conseguenza A.M., non rispettando l’accordo (non scritto) intercorso con la sorella, aveva “peccato di protezione nei confronti dei nipoti”.

Il motivo è inammissibile.

Come già precisato da questa S.C., è vero che, in tema di ricorso per cassazione, l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate non costituisce requisito autonomo ed imprescindibile del ricorso, essendo la stessa solo funzionale a chiarirne il contenuto e a identificare i limiti della censura formulata; l’omessa indicazione, tuttavia, può comportare l’inammissibilità della singola doglianza, qualora gli argomenti addotti dal ricorrente non consentano di individuare le norme e i principi di diritto asseritamente trasgrediti, precludendo la delimitazione delle questioni sollevate (Cass. 21819/2017; conf. Cass. 25044/2013 e Cass. S.U. 17555/2013).

Nella specie la norma di legge violata non solo non è stata precisamente indicata nè nella “rubrica” nè nel corpo del motivo, ma la stessa non è neanche individuabile nel contenuto della doglianza attraverso i su riportati argomenti addotti, sicchè è preclusa a questa S.C. la delimitazione e, conseguentemente, l’esame delle questioni sollevate.

Il motivo, peraltro, è inammissibile anche in quanto non in linea con la statuizione impugnata.

Va, invero, ribadito che “la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al “decisum” della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio” (Cass. 7074/2017; Cass. S.U. 16598/2016; Cass. 359/2005; Cass. 21490/2015).

Nella specie l’impugnata sentenza, in relazione alla violazione di obblighi di protezione verso i nipoti, ha, in primo luogo, ritenuto nuova la domanda e, su tale punto, non è stata proposta alcuna specifica censura; le doglianze di cui sopra, pertanto, non avendo nessuna attinenza con detto “decisum”, sono, anche per questa ragione, inammissibili.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame di un fatto decisivo e conseguente carenza di motivazione, si duole che la Corte territoriale si sia uniformata alla decisione di primo grado, rinviando genericamente “per relationem” alla decisione del Tribunale, senza indicare le ragioni del suo convincimento ed ignorando “il presupposto di fondo”, e cioè l’accordo non scritto tra le sorelle, che aveva dato vita al “contatto sociale qualificato” tra le due.

Il motivo è inammissibile, in quanto non in linea con la nuova formulazione. dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis, che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico – denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario (fatto da intendersi come un “preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni”), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto-di tutte le risultanze probatorie.; conf. Cass. S.U. 8053 e 8054 del 2014; v. anche Cass. 21152/2014 e Cass. 17761/2016, che ha precisato che per “fatto” deve intendersi non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo,. modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (conf. Cass.: 29883/2017); nel caso di specie la ricorrente non ha indicato alcun “fatto storico” (nel senso su precisato) omesso, ma si è limitata, come detto inammissibilmente, a ribadire che l’accordo non scritto intervenuto tra le sorelle aveva dato origine ad un contatto sociale qualificato.

Nè la sentenza può ritenersi carente di motivazione.

Costituisce, invero, consolidato principio di questa Corte che la mancanza di motivazione, quale causa di nullità per mancanza di un requisito indispensabile della sentenza, si configura “nei casi di radicale carenza di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendi” (cosiddetta motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili (Cass. sez. unite 8053 e 8054/2014).; nella specie la Corte, coma appare evidente dalla su esposta sintesi della decisione impugnata, ha espresso le ragioni della adottata decisione con argomentazioni logicamente conciliabili, non perplesse ed obiettivamente comprensibili.

Ne deriva che, ancorchè siano errate le ragioni addotte dal decidente a sostegno della scelta operata in dispositivo, laddove è stato ritenuto non giustiziabile con esecuzione in forma specifica l’impegno di ritrasferimento di un bene immobile fiduciariamente assunto in forma verbale (cfr. Cass. civ. sez. un. 6 marzo 2020, n. 6459), la sentenza impugnata resiste alle critiche svolte in ricorso che va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 7.800,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2020

 

 

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