Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17872 del 30/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 30/07/2010, (ud. 08/07/2010, dep. 30/07/2010), n.17872

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in Roma, viale Bruno

Buozzi 51, presso l’avv. D’Elia Eodoardo, che lo rappresenta e

difende, giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

(Roma), Sez. n. 6, n. 74/6/04, del 16 dicembre 2004, depositata il 18

febbraio 2005, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio

dell’8 luglio 2010 dal Relatore Cons. Dr. Raffaele Botta;

Udito l’avv. Edoardo d’Elia, per la parte ricorrente;

Lette le conclusioni scritte del P.G. che ha chiesto il rigetto del

ricorso per manifesta infondatezza;

Letto il ricorso e la memoria depositata ai sensi dell’art. 378

c.p.c.;

Preso atto che l’amministrazione non si è costituita.

 

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

Che il ricorso è fondato su due motivi con i quali sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione si censura la sentenza impugnata sostanzialmente per aver negato il diritto del contribuente al contraddittorio e ritenuto non ispirato a spirito di collaborazione il comportamento del contribuente medesimo;

Ritenuto che il ricorso sia manifestamente infondato sulla base del principio espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui:

“La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi ne rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito” (Cass. S.U. n. 26635 del 2009). Nel caso di specie la sentenza impugnata ha accertato in fatto che la mancanza del contraddittorio era dovuta ad un comportamento non adeguato del contribuente e mette in luce la debolezza dell’apparato probatorio predisposto dal contribuente medesimo.

Pertanto il ricorso deve essere rigettato. Non occorre provvedere sulle spese, stante il mancato esercizio di un’utile attività difensiva della parte intimata.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 8 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2010

 

 

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