Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17871 del 03/07/2019

Cassazione civile sez. II, 03/07/2019, (ud. 10/01/2019, dep. 03/07/2019), n.17871

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6341-2015 proposto da:

G.C., P.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA POMPEO UGONIO, 3, presso lo studio dell’avvocato

ALESSANDRO ODDI, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato PIETRO MARTINO;

– ricorrenti –

contro

GI.GI., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO

REDAELLI DE ZINIS;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1068/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 15/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/01/2019 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Brescia, con sentenza n. 1068/2014 del 15.09.2014, rigettava l’appello proposto da G.C. e P.G. avverso la sentenza del Tribunale di Brescia Sezione Distaccata di Salò n. 6/2008, che aveva accolto la domanda di neagatoria servitutis proposta da Gi.Gi..

1.1 La corte territoriale riteneva che il Gi. avesse fornito la prova della proprietà, mentre il G. e la P. non avevano dedotto e dimostrato di essere titolari di servitù di passo pedonale o carraio, a titolo contrattuale o acquistata per usucapione o destinazione del padre di famiglia.

1.2 La corte territoriale statuiva l’inesistenza della lamentata interclusione dei fondi del G. e della P., in quanto dalla CTU, esperita in primo grado al fine di accertare la sussistenza o meno dell’interciusione dei fondi, era emersa la possibilità di accesso diretto alla pubblica via.

1.3 La corte territoriale, stante l’assoluta temerarietà dell’appello, condannava gli appellanti, in aggiunta alle spese di lite, al pagamento della somma di Euro 2,000.00 a titolo di risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c.

2. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso G.C. e P.G. sulla base di due motivi, di cui il secondo prevede una autonoma doglianza.

2.1 Ha resistito con controricorso Gi.Gi., chiedendo la condanna ex art. 96 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1062 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, per non avere la corte territoriale ritenuto la sussistenza della servitù per destinazione del padre di famiglia, nonostante il Gi. per molti anni avesse tollerato il passaggio degli automezzi da parte dei conduttori dei ricorrenti, in tal modo accettando tacitamente la costituzione della servitù, soprattutto in quanto non vi era alcun accesso dalla via pubblica.

1.1 Il motivo è ammissibile.

1.2 Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo introdotto dalla L. n. 134 del 2012, il vizio denunciabile è limitato all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione fra le parti, essendo stata così sostituita la precedente formulazione (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio).

La volontà del legislatore è stata quella di ridurre al minimo costituzionale il sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità nei soli casi di omissione di motivazione, motivazione apparente, manifesta e irriducibile contraddittorietà, motivazione perplessa o incomprensibile (Cass. Sez. Unite 07/04/2014 n. 8053).

1.3 Nella specie, il ricorrente non censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ma il vizio di motivazione sulla carenza di prova della costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia. Trattasi di vizio non censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, avendo la corte territoriale escluso l’apparenza della servitù, stante la mancata individuazione di quale sarebbe stato il tracciato originariamente costituito dall’unico proprietario che sarebbe stato di collegamento dei due fondi in contestazione.

1.4 Non sussiste nemmeno la prospettata violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, che è ravvisabile nella deduzione di un’erronea ricognizione della fattispecie astratta di una norma di legge, mentre, se l’erronea ricognizione riguarda la fattispecie concreta, il gravame inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass., Sez. 5, sentenza n. 8315 del 4 aprile 2013). Nella specie, invece, il ricorso, peraltro in modo apodittico e confuso, si limita ad un’alternativa ricostruzione dei fatti.

1.5 Quanto alla doglianza relativa all’erronea valutazione da parte del giudice di merito dell’interclusione, il ricorso è privo di specificità perchè omette perfino di trascrivere, quanto meno per le parti di rilievo, la perizia di parte che richiama a pag. 13 e di cui non offre neppure elementi idonei al reperimento nel fascicolo.

La corte territoriale, con apprezzamento in fatto, ha escluso l’interclusione, in quanto dalla CTU esperita in primo grado emergeva che tanto l’immobile di P.G., tanto quello di G.C. avevano accesso diretto dalla (OMISSIS).

2. Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la corte territoriale omesso di valutare che l’accesso della proprietà di G.C. alla pubblica via sarebbe intercluso a causa della presenza di un cancello che si affaccerebbe sul fosso, documentato dalle fotografie e dalle mappe catastali.

2.1 Il motivo di ricorso è inammissibile.

2.2 La costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia, infatti, presuppone l’originaria appartenenza di due o più fondi ad un unico proprietario il quale abbia posto gli stessi, l’uno rispetto all’altro, in una situazione di subordinazione o di servizio idonea a concretare il contenuto di una servitù prediale e che, all’atto della loro separazione, sia mancata una manifestazione di volontà contraria al perdurare della relazione di sottoposizione di un fondo nei confronti dell’altro.

2.3 Nella specie, i ricorrenti si limitano a contestare il mancato esame dei presupposti necessari per la costituzione di una servitù ex art. 1062 c.c., criticando in modo generico le risultanze della CTU, su cui si è basata la sentenza della corte territoriale.

2.4 Del tutto fuori luogo è il richiamo all’interclusione ed alla tolleranza, che sono irrilevanti ai fini della costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia.

3. Nell’ambito del secondo motivo, i ricorrenti si dolgono della condanna ex art. 96 c.p.c., per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

3.1 Il motivo è inammissibile, avendo il giudice d’appello adeguatamente motivato il relazione alla temerarietà delle argomentazioni difensive proposte a sostegno dell’impugnazione.

4. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile con condanna dei ricorrenti alle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in dispositivo.

5. I ricorrenti vanno, altresì, condannati per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., considerando la temerarietà del’impugnazione, basata su elementi meramente fattuali e svolti in modo confuso e, in talune parti, incomprensibile.

5.1 Ritiene il collegio che la condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3 sia volta a salvaguardare finalità pubblicistiche, correlate all’esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonchè a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall’art. 88 c.p.c. Attraverso tale strumento processuale, si evita l’abuso di chi agisce o resiste in giudizio per fini diversi da quelli ai quali il possesso è preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte.

5.2 Ne consegue che la condanna al pagamento della somma equitativamente determinata non richiede nè la domanda di parte nè la prova del danno, essendo tuttavia necessario l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell’infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza), venendo in considerazione, a titolo esemplificativo, la pretestuosità dell’iniziativa giudiziaria per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame ovvero la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione (Cass. civ. Sez. Unite Sent. 1/09/2018, n. 22405). Si stima congrua la somma di Euro 2.000 (duemila).

5.3 Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condanna i ricorrenti alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, iva e cap come per legge.

Condanna i ricorrenti al risarcimento dei danni in favore dei contro ricorrenti ex art. 96 c.p.c., comma 3, che liquida in Euro 2.000,00 all’attualità, oltre interessi dalla decisione al saldo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Suprema Corte di Cassazione, il 10 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2019

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