Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1787 del 24/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 24/01/2017, (ud. 03/11/2016, dep.24/01/2017),  n. 1787

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22151/2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro;

F.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 194/34/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di TORINO, emessa il 16/12/2014 e depositata il

12/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ENRICO MANZON.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Atteso che ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata e ritualmente comunicata la seguente relazione:

“Con sentenza in data 16 dicembre 2014 la Commissione tributaria regionale del Piemonte accoglieva parzialmente l’appello proposto da F.R. avverso la sentenza n. 143/2/12 della Commissione tributaria provinciale di Asti che aveva respinto il suo ricorso contro gli avvisi di accertamento IRPEF, IVA, IRAP ed altro 2008/2009. In particolare la CTR rilevava la congruenza delle dichiarazioni del contribuente in ordine alle esistenze iniziali 2009, con conseguente inattendibilità delle risultanze dello studio di settore sì come applicato dall’Ente impositore.

avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo due motivi.

L’intimato non si è costituito.

Con il primo motivo di ricorso – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19, 57, art. 115 c.p.c., comma 1, in relazione all’annullamento dell’avviso di accertamento per il 2009, conseguente all’accoglimento parziale dell’appello, con specifico riguardo alla ripresa afferente il reddito da lavoro dipendente.

La censura si palesa fondata.

E’ pacifico in fatto che il contribuente non abbia proposto uno specifico motivo di impugnazione dell’atto impositivo de giro con riguardo alla ripresa fiscale inerente l’omessa dichiarazione del reddito di lavoro dipendente per l’annualità in esame.

Essendo l’oggetto del processo tributario delimitato dai motivi di ricorso (nonchè dalla motivazione dell’avviso di accertamento impugnato) è quindi evidente la violazione di legge denunciata dall’Agenzia delle Entrate, così come l’error in judicando del giudice di appello.

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione dell’art. 92, comma 7 (T.U.I.R.) e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 17. In particolare rileva che la C: FR abbia fatto erronea applicazione del principio che le rimanenze finali di un esercizio costituiscono esistenze iniziali dell’esercizio successivo.

La censura si palesa fondata.

E’ infatti dalle medesime dichiarazioni del contribuente che dovevasi ritenere la piana applicabilità di tale regola normativa, poichè egli aveva dichiarato in sede di verifica appunto che i lavori di cui alla fattura n. (OMISSIS) emessa il (OMISSIS) erano afferenti all’anno 2008 per il 99% e per l’1% al 2009. E’ quindi evidente che trattavasi di rimanenze finali 2008/esistenze iniziali 2009; che conseguentemente tale dato contabile rettificato induceva la non coerenza dell’indice di normalità economica del valore aggiunto per addetto – previsto dallo studio di settore – che aveva indotto l’Ente impositore ad effettuare la correlativa ripresa fiscale.

Si ritiene pertanto la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 375 c.p.c., per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio e se ne propone l’accoglimento, con cassazione della sentenza impugnata e con decisione meritale di rigetto del ricorso del contribuente non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto”.

Il Collegio condivide la relazione depositata.

Il ricorso va dunque accolto, la sentenza impugnata va cassata e, decidendosi nel merito non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, il ricorso del contribuente va rigettato.

Le spese del presente giudizio vanno regolate secondo generale principio della soccombenza; quelle dei gradi di merito equitativamente compensate in ragione degli (Ndr: testo originale non comprensibile).

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso del contribuente; condanna l’intimato a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500 oltre spese prenotate a debito; compensa le spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 3 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2017

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