Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17868 del 19/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 19/07/2017, (ud. 19/05/2017, dep.19/07/2017),  n. 17868

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE F. Antonio – Presidente –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3497-2016 proposto da:

CREDITO VALTELLINESE S.C. – C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante, CREDITO SICILIANO S.P.A. – P.I. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante elettivamente domiciliate in ROMA,

VIA SARDEGNA, 50, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO RICCI,

rappresentate e difese dall’avvocato GIANCARLO PUGLISI;

– ricorrenti –

S.R., S.S., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato VINCENZO TARANTO;

avverso la sentenza n. 526/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 25/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 19/05/2017 dal Consigliere Dott. FALABELLA MASSIMO;

dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del

provvedimento in forma semplificata, giusta Decreto 14 settembre

2016, n. 136/2016 del Primo Presidente.

Si rileva quanto segue.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1 – Con citazione notificata il 12 novembre 2001 S.S. e S.R. convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Catania, sezione distaccata di Acireale, la Banca Popolare S. Venera s.p.a. proponendo opposizione avverso il decreto ingiuntivo con cui era stato loro intimato di pagare, quali fideiussori, la somma complessiva di Lire 588.389.050, oltre interessi e spese; l’obbligazione principale aveva ad oggetto il saldo debitore di un conto corrente assistito dall’apertura di credito, il saldo di un conto anticipi e il rimborso di un mutuo chirografario; gli opponenti avevano prestato garanzia personale con riferimento all’esposizione debitoria della società Lavori Pubblici s.r.l., successivamente incorporata in Servizi d’Impresa s.r.l., poi denominata S.S. e Figli s.r.l..

Nel corso del procedimento di primo grado l’ingiungente veniva incorporata in altro istituto di credito e il giudizio, a seguito di interruzione, era riassunto nei confronti del Credito Siciliano s.p.a., che restava contumace, e della Cassa S. Giacomo s.p.a., che si costituiva e instava per il rigetto dell’opposizione.

Il Tribunale revocava il decreto ingiuntivo, rilevando che alla data del 5 gennaio 1998, in cui era stata prestata la garanzia, la società Lavori Pubblici si era già estinta, e dichiarava la carenza di interesse degli opponenti con riferimento a una domanda riconvenzionale da loro proposta in via subordinata, relativa all’accertamento della nullità delle clausole con cui erano stati pattuiti, a loro avviso, interessi ultralegali e anatocistici.

2 – Proposto gravame, la Corte di appello di Catania, con sentenza pubblicata il 25 marzo 2015, respingeva l’impugnazione.

3. – Il Credito Valtellinese s.c., subcessionario del credito azionato in via monitoria, e il Credito Siciliano s.p.a., già costituito dei precedenti gradi di giudizio, hanno proposto, attraverso la comune procuratrice Cerved Credit Management s.p.a., un ricorso per cassazione nel corpo del quale risultano rubricati quattro motivi. S.S. e S.R. resistono con controricorso: atto con il quale è stata spiegata una impugnazione incidentale condizionata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1938,1346 e 1348 c.c.. Osservano le ricorrenti che la Corte di appello aveva evidenziato che la fideiussione per obbligazioni future era stata prestata in favore di un soggetto debitore principale oramai inesistente e che pertanto la stessa era nulla per mancanza dell’oggetto del contratto di garanzia. Oppongono che la fideiussione era stata rilasciata dagli S. non solo in favore della società Lavori Pubblici, che era venuta meno, ma anche in favore di chi ad essa fosse subentrato: alla data del 5 gennaio 1998, essendosi già verificata l’incorporazione per fusione della debitrice Lavori Pubblici nella società Servizi d’Impresa, la garanzia doveva riguardare le obbligazioni del successore della società estinta.

1.1. Il secondo mezzo censura la sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 1362,1363 e 1367 c.c.. Assumono i ricorrenti che l’affermazione del giudice del gravame, secondo cui la clausola invocata dagli appellanti doveva essere interpretata nel senso che la fideiussione si sarebbe estesa al successore della società garantita soltanto nel caso vi fosse stata la possibilità giuridica di assunzione di un’obbligazione principale da parte di quest’ultima, non poteva essere condiviso, essendo in palese contrasto con i canoni interpretativi e, segnatamente, col principio di conservazione del contratto e con la regola secondo cui nell’espletamento dell’attività ermeneutica si deve tener conto anche dell’intenzione dei contraenti.

1.2. I due motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono inammissibili.

La sentenza impugnata, dopo aver spiegato che la clausola contrattuale andava letta nei termini che si sono sopra indicati, ha aggiunto che il Tribunale aveva comunque evidenziato come tutte le linee di credito vantate dalla banca non erano riferibili alla società garantita con le due lettere di fideiussione del 5 gennaio 1998: sicchè – ha evidenziato il giudice distrettuale – anche laddove si fosse escluso il vizio genetico del contratto di fideiussione, doveva affermarsi che i rapporti obbligatori fatti valere in via monitoria comunque non rientravano nella fideiussione prestata in favore della società incorporata.

Sul punto, le ricorrenti non hanno svolto censura.

Va allora fatta applicazione del principio per cui qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (per tutte: Cass. Sez. U. 29 marzo 2013, n. 7931; Cass. 4 marzo 2016, n. 4293).

2. Con il terzo motivo è dedotta violazione o falsa applicazione degli artt. 645 e 163 c.p.c.. La censura investe la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la pretesa nei confronti di S.S. non potesse fondarsi su di una fideiussione, rilasciata il (OMISSIS), non menzionata nel ricorso per ingiunzione. A tale proposito, le ricorrenti lamentano che la Corte catanese aveva errato nell’individuare una mutatio libelli nella prospettazione, da parte dell’opposta, di tale fideiussione, dal momento che esisteva una linea di continuità tra la richiesta dell’ingiunzione e il giudizio di opposizione.

2.1. La censura è carente di specificità, in quanto parte ricorrente manca di riprodurre il contenuto degli atti processuali (ricorso per ingiunzione, comparsa di risposta in primo grado), nella parte indispensabile all’apprezzamento della contestata modificazione del thema decidendum. E’ qui appena il caso di ricordare che l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone che la parte, nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale (Cass. 30 settembre 2015, n. 19410; cfr. pure Cass. 10 novembre 2011, n. 23420).

3 Non costituisce una vera e propria censura la deduzione di violazione o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., che le ricorrenti svolgono come quarto motivo di impugnazione.

Infatti le istanti si limitano a sottolineare, al riguardo, come, in ragione dell’accoglimento dei precedenti motivi, la sentenza della Corte di appello debba essere oggetto di “riforma” anche in punto di spese di giudizio: con il che è evidentemente fatto semplicemente richiamo al principio per cui la cassazione parziale ha effetto anche sulle parti della sentenza dipendenti dalla parte cassata (art. 336 c.p.c., comma 1).

4 Il ricorso principale è dunque inammissibile.

5 Tale inammissibilità esime dallo scrutinio del ricorso incidentale condizionato, il quale si fonda, peraltro, sulla riproposizione di questioni rimaste assorbite nel giudizio di merito, siccome inerenti all’insussistenza del credito garantito.

6 Le spese del giudizio di legittimità gravano sulle ricorrenti, siccome soccombenti.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto che parte ricorrente è tenuta al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 Sezione Civile, in data 19 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017

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