Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17866 del 19/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 19/07/2017, (ud. 19/05/2017, dep.19/07/2017),  n. 17866

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4211/2015 proposto da:

LASER S.R.L. – P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ORAZIO 31, presso lo studio

dell’avvocato CALIENDO ANGELO, rappresentata e difesa unitamente e

disgiuntamente dagli avvocati ANTONIO SALOMONE e INNOCENZO

CALABRESE;

– ricorrente –

contro

ZEMA’ SERVICE S.R.L., M.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 12/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 22/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 19/05/2017 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del

provvedimento in forma semplificata, giusta decreto 14 settembre

2016, n. 136/2016 del Primo Presidente.

Si rileva quanto segue.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Zema Service s.r.l. proponeva una prima istanza di fallimento nei confronti di Laser s.n.c.; il ricorso veniva dichiarato improcedibile in data 22 maggio 2014 a seguito di fissazione di udienza camerale.

Zema Service presentava una seconda istanza di fallimento innanzi al Tribunale di Benevento, asserendo di essere creditrice nei confronti di Laser della somma di Euro 70.045,64, oltre interessi, per fornitura di materiali.

Con sentenza dell’8 ottobre 2014 il detto Tribunale dichiarava il fallimento di Laser.

2. – La pronuncia era impugnata L. Fall., ex art. 18, da Laser e la Corte di appello di Napoli, con sentenza pubblicata il 22 gennaio 2015, rigettava il reclamo.

3. – Ricorre per cassazione contro tale pronuncia la stessa società dichiarata fallita, la quale affida l’impugnazione a tre motivi. La curatela fallimentare e Zema Service, pur intimate, non hanno svolto difese nella presente sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo la sentenza è censurata per violazione e,falsa applicazione della L. Fall., art. 5. Osserva la ricorrente che, la motivazione della sentenza era contraddittoria, non riuscendosi a comprendere come la Corte di appello di Napoli fosse stata in grado di individuare l’esposizione debitoria della ricorrente, se la stessa, come rilevato dallo stesso giudice dell’impugnazione, era risultata inattiva. Rileva inoltre la ricorrente che nel caso di specie essa aveva ben rappresentato nel giudizio di appello come fosse mancata alcuna prova dell’insolvenza: rileva, in particolare, che lo stato di insolvenza dell’imprenditore richiede una specifica indagine, atta ad individuare la condizione patrimoniale di quest’ultimo, condizione consistente nell’impossibilità, da parte del nominato soggetto, di soddisfare con regolarità le proprie obbligazioni: ciò che, nel caso in esame, non era dato di riscontrare.

1.1. – Il motivo va disatteso.

Esso non ha evidentemente ad oggetto la violazione di legge citata in rubrica: il vizio di violazione di legge consiste infatti nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass. Sez. U. 5 maggio 2006, n. 10313; in senso conforme, ad es.: Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass. 4 aprile 2013, n. 8315).

D’altro canto, la ricorrente non potrebbe giovarsi di una riqualificazione della censura avendo specifico riguardo alla previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Infatti, in base alla nuova formulazione di tale norma (per come novellata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012), il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del, giudice di merito è estraneo alla suddetta previsione (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892), mentre il vizio motivazionale si identifica in anomalie radicali del provvedimento quali la “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, la “motivazione apparente”, il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054): fattispecie che nella fattispecie certo non ricorrono.

2. – Il secondo mezzo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia. Lamenta la ricorrente che la Corte di Napoli aveva impropriamente ritenuto che una declaratoria di improcedibilità della precedente istanza di fallimento non comportasse alcuna preclusione alla presentazione di un nuovo ricorso, non rivestendo la decisione autorità di cosa giudicata. Rileva l’istante che, di contro, il procedimento introdotto avanti al Tribunale di Benevento costituiva una duplicazione del precedente giudizio.

2.1. – Il motivo non ha fondamento.

La riproponibilità della domanda di fallimento, già respinta con provvedimento formalmente divenuto inoppugnabile, va infatti valutata in concreto, tenendo conto delle ragioni del rigetto o della revoca del fallimento: ne consegue che, ove il rigetto del ricorso o la revoca del fallimento siano stati determinati da ragioni meramente processuali, non si determina alcuna preclusione alla presentazione di una nuova istanza (Cass. 18 giugno 2014, n. 13909).

3. – Con il terzo motivo è dedotta un’ulteriore violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 5. Nella sentenza impugnata era spiegato che il credito della società ricorrente risultava attestato oltre che dalla fattura e dal registro Iva, anche “dalla sottoscrizione in calce la fattura – documento di consegna, per ricevuta della merce, non espressamente ed analiticamente disconosciuto dalla società reclamante”. Rileva l’istante che la fattura, peraltro oggetto di contestazione, era un atto di provenienza unilaterale e che la stessa non poteva costituire prova circa l’effettiva prestazione dell’attività.

3.1. – Il motivo non può essere accolto.

Vero è, che, come affermato in più occasioni da questa questa S.C., la fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale ed alla funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un contratto, si inquadra fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione, indirizzata all’altra parte, di fatti concernenti un rapporto già costituito, sicchè, quando tale rapporto sia contestato, non può costituire valido elemento di prova delle prestazioni eseguite ma, al più, un mero indizio (per tutte: Cass. 12 gennaio 2016, n. 299; Cass. 28 giugno 2010, n. 15383). Nondimeno, nella circostanza, la Corte di appello ha valorizzato il dato della sottoscrizione, per ricevuta, del documento di consegna da parte della società reclamante: sicchè viene in questione il libero apprezzamento, da parte del giudice del merito, di una risultanza probatoria (apprezzamento che non è evidentemente censurabile in questa sede).

Va aggiunto che l’affermazione della ricorrente secondo cui la fattura fu da essa contestata, oltre a non misurarsi con la decisione impugnata – la quale ha attribuito rilievo, come si è appena detto, al dato della sottoscrizione del documento di consegna – è priva di specificità. Infatti, il principio di autosufficienza, come è operante nel caso in cui vengano prospettate condotte di non contestazione (Cass. 9 agosto 2016, n. 16655; Cass. 23 luglio 2009, n. 17253; Cass. 18 luglio 2007, n. 15961; cfr. pure da ultimo Cass. 13 ottobre 2016, n. 20637), così trova applicazione nel caso inverso, in cui il ricorrente per cassazione si dolga del mancato apprezzamento, da parte del giudice del merito, di una propria contestazione. In tal caso, compete allo stesso istante di indicare, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quali atti processuali siano state formulate le contestazioni e precisarne, poi, il contenuto, a norma dell’art. 366 c.p.c., n. 4, in modo da conferire la necessaria specificità al motivo di ricorso relativo.

4. – L’impugnazione è pertanto rigettata.

5. – Nulla per le spese, non avendo gli intimati svolto attività processuale in questa sede.

PQM

 

La Corte:

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 19 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017

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