Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17866 del 03/07/2019

Cassazione civile sez. II, 03/07/2019, (ud. 29/05/2018, dep. 03/07/2019), n.17866

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6676-2014 proposto.da:

C.R., C.G., CA.RO.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 74, presso lo

studio dell’avvocato RAFFAELE PORPORA, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato SALVATORE MATTA;

– ricorrenti –

COMUNE PALERMO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARIA PIA SANSONE;

– controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 93/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 23/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/05/2018 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. C.A. con citazione notificata il 25 luglio 2000 ha convenuto il comune di Palermo innanzi al locale tribunale, proponendo opposizione avverso l’ingiunzione di pagamento emessa da quest’ultimo della somma di Lire 51.474.652 a titolo di indennità di occupazione dell’immobile sito in (OMISSIS), in quanto da ritenersi demaniale e trasferito in uso dallo stato al comune.

2. Con sentenza depositata il 3 settembre 2007 il giudice monocratico del tribunale ha annullato l’ingiunzione di pagamento condannando gli eredi dell’istante, nel frattempo deceduto, al pagamento della minor somma di Euro 16.299,24.

3. Avverso la predetta decisione hanno proposto appello gli eredi di C.A., sulla resistenza del comune.

3.1. Con sentenza depositata il 23 gennaio 2013 la corte d’appello di Palermo ha rigettato il gravame.

3.2. A sostegno della decisione la corte ha considerato:

a) che non integri un elemento di novità della domanda, in quanto tale idoneo a violare il divieto dello ius novorum in appello, il riferimento operato in seconde cure dagli appellanti a un acquisto dell’immobile in contestazione per usucapione al fine di paralizzare la pretesa avversa di indennizzo, avendo gli appellanti innanzi al tribunale meramente dedotto l’esclusione del cespite dal demanio per averlo essi acquistato a titolo derivativo; secondo la corte, trattandosi di eccezione relativa all’esistenza del diritto autodeterminato di proprietà, la causa petendi si identifica con il diritto stesso e non con il relativo titolo, il quale ultimo pertanto può essere diversamente indicato in appello;

2) che, comunque, la sentenza del tribunale di Palermo n. 18 del 2004, che in tesi ha dichiarato l’acquisto per usucapione dei beni in contestazione in capo ad C.A., sia del tutto irrilevante, riconoscendo la proprietà di una cosa a tale soggetto nei confronti di una diversa controparte; essa era stata impugnata con l’opposizione ex art. 404 c.p.c. dal comune di Palermo in giudizio all’epoca ancora pendente (p. 15 della sentenza impugnata); essa non aveva comunque valore di giudicato nei confronti del comune, in quanto carente del requisito di identità di soggetti e oggetto (p. 19), nonchè ancora impugnabile;

3) che l’immobile in questione, come accertato in giudizio, rientri tra quelli retrocessi al demanio dello stato ai sensi del regio D.L. n. 1792 del 1919, siccome chiaramente identificato nell’inventario e nel verbale del 10 febbraio del 1923; come confermato a mezzo di c.t.u., in esecuzione del R.D. 5 settembre 1926, n. 1795 esso era stato consegnato al comune di Palermo, essendo ben distinto dai confinanti terreni di proprietà della società italo-belga Les Tramways de Palerme, come evincibile altresì chiaramente dall’atto di vendita del 28 dicembre 1910 che escludeva dall’oggetto “(OMISSIS)” (pp. 16-18), essendo irrilevanti gli elementi probatori addotti da parte appellante (p. 18).

3. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso principale R., Ro. e C.G. quali eredi di C.A. e della di lui erede A.M., sulla base di quattro motivi. Ha resistito con controricorso il comune di Palermo, il quale ha altresì proposto ricorso incidentale condizionato su un motivo.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con la memoria la parte ricorrente ha reiterato la deduzione, già svolta dal difensore costituito in sede di rifiuto di ricezione della notifica del controricorso, della “nullità della sua… notificazione a questo patrocinio nella qualità”, per “mancato rispetto dell’art. 170 c.p.c.”

1.1. L’eccezione è infondata, con ammissibilità del controricorso.

1.2. Invero il controricorso risulta ritualmente notificato “nel domicilio eletto” a norma dell’art. 370 c.p.c. La relativa relata, dà atto dell’essere stato in via equipollente notificato il controricorso “ai sigg.ri C.R.,… Ro.,… (e) G…., e per essi ai loro procuratori costituiti avv.ti Salvatore Matta e Raffaele Porpora, nel domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via della Giuliana, 74, consegnandone una sola copia”.

2. Con il primo motivo si deducono “Errores in procedendo. Nullità della sentenza per omessa esposizione delle ragioni di fatto secondo i principi della chiarezza e della sinteticità dei provvedimenti del giudice, giusta la previsione di cui all’art. 132, comma 2, n. 4 prima parte, nell’ambito dell’impugnabilità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

3. Con il secondo motivo si deducono “Errores in procedendo ed in iudicando. Nullità della sentenza per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, sotto il profilo della violazione delle regole del giusto processo, nonchè per falsa applicazione di norme di diritto processuale e sostanziale, nell’ambito dell’impugnabilità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e 3”.

4. Con il terzo motivo si deducono “Errores in iudicando. Nullità della sentenza per omesso esame circa un giudicato oggetto di discussione tra le parti anche se derivante da un’iniziativa dell’autorità locale risultata consapevole della sua esistenza in fatto di possesso trasformato in proprietà per sentenza d’usucapione irretrattabile nell’ambito dell’impugnabilità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”.

5. Con il quarto motivo si deducono “Errores in procedendo ed in iudicando. Nullità della sentenza per vizio di mancata sospensione ex art. 295 c.p.c. del processo, per la decisione del quale lo stesso collegio od altro collegio della stessa corte avrebbero dovuto risolvere la controversia sulla cui definizione avrebbe inciso la decisione qui non condivisa, con l’aggravante dell’esistenza di un primo esito contrario alle tesi del collegio omettente, che avrebbe solo potuto e/o dovuto attendere il suo passaggio in giudicato, nonchè per vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in ordine alla natura demaniale dell’immobile in argomento, che era stato oggetto di discussione fra le parti, nell’ambito dell’impugnabilità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5”.

6. I motivi possono essere esaminati congiuntamente. Essi sono in ampia parte inammissibili, salvo quanto in appresso. Trattasi infatti di motivi articolati in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe dovuto essere prospettato come un autonomo motivo, il cui coacervo – salvo, come detto, quanto in appresso – non permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate (cfr. Cass. sez. un. 9100 del 06/05/2015 e n. 7009 del 17/03/2017). Le intitolazioni dei motivi, inoltre, siccome sommamente generiche (ad es. “errores in procedendo ed in iudicando”; “falsa applicazione di norme di diritto processuale e sostanziale”; “regole del giusto processo”; cumulativa invocazione di vizi per violazione di norme sostanziali e processuali e di vizi di omesso esame, senza indicazione dei fatti storici di riferimento quanto a questi ultimi) o addirittura rivelatrici di equivoci circa il portato di noti istituti giuridici (ad es. la deduzione di omessa esposizione delle ragioni di fatto della sentenza dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – v. Cass. sez. un. 8053 del 07/04/2014 e Cass. n. 23940 del 12/10/2017; la deduzione di omesso esame in riferimento al sussistere di un presunto giudicato, la cui rilevanza peraltro risulta esaminata – cfr. infra, ove comunque si affronta il tema; la nozione di pregiudizialità ai fini dell’art. 295 c.p.c. – cfr. infra, ove comunque si affronta il tema), impediscono – ad eccezione di quanto si dirà – ogni riqualificazione e sussunzione delle doglianze in idonee fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, giacchè ciò esigerebbe la sostituzione della corte nel compito riservato alla parte nell’ambito di un giudizio di impugnazione.

A ciò va aggiunto che, in particolare in riferimento al quarto motivo, si ripropongono doglianze di tipo fattuale, tendenti a sottoporre inammissibilmente al giudice di legittimità, sotto la veste di errores in indicando e in procedendo, censure di merito già esaminate dalla corte d’appello.

7. Fermo quanto precede in linea generale, due censure contenute nei motivi, opportunamente riqualificate, possono essere ritenute ammissibili ed esaminate. Esse sono però infondate.

7.1. Da un primo punto di vista, mediante passaggi contenuti sia nel primo (ove si fa questione, inoltre, come detto, della mancanza di concisione dello svolgimento in fatto della sentenza impugnata) sia nel secondo motivo di ricorso (ove si fa questione, peraltro sotto la categoria dell’omesso esame, dell’essere il casamento Giusino ubicato fuori del (OMISSIS) e oggetto di usucapione da parte di C.A.), si evidenzia un’eccezione qualificabile di giudicato. Con il terzo motivo, poi, imperniato ad un tempo su questioni di omesso esame e di violazioni di legge sostanziale e processuale, si argomenta in ordine a una presunta identità di parti tra i giudizi, così completandosi detta eccezione.

7.1.1. In particolare, si deduce che, essendo passata in giudicato sentenza del tribunale di Palermo accertativa in tesi dell’usucapione, all’epoca non ancora irrevocabile, la sentenza qui impugnata andrebbe cassata per contrasto con la res iudicata ivi contenuta.

7.1.2. Il motivo è infondato. Esso non si fa carico della questione illustrata adeguatamente nella sentenza impugnata – per cui la sentenza del tribunale n. 18/2004, invocata ai fini dell’usucapione, è stata resa tra diverse parti e, quindi, non può costituire giudicato per il comune; inoltre, l’opposizione di terzo proposta dal comune ex art. 404 c.p.c. avverso essa è stata definita, con la sentenza delle corte d’appello n. 551/20012 di conferma dell’inammissibilità pronunciata in primo grado, con pronuncia meramente processuale, basata sulla notazione del non essere esecutiva la pronuncia impugnata: ciò ha come conseguenza la riproponibilità dell’opposizione da parte del comune, in ogni caso non vincolato dalla sentenza inter alios.

7.1.3. E’ appena il caso di rilevare che l’identità di parti, invocata come detto nel ricorso, è stata tale nel giudizio di opposizione, avente diverso oggetto (di opposizione di terzo) e comunque definito solo in via processuale, e non nel giudizio di cui alla sentenza n. 18/2004, cui è stata proposta opposizione ex art. 404 c.p.c..

7.2. Da un secondo punto di vista, nell’ambito del quarto motivo – per il resto contenente deduzioni inammissibili per quanto innanzi, in particolare siccome di merito – si lamenta nullità della sentenza in relazione a un presunto vizio per mancata sospensione ex art. 295 c.p.c. del processo, in rapporto al giudizio definito con la sentenza n. 551/2012, all’epoca non ancora assistita da giudicato.

7.2.1. Richiamato quanto sopra detto circa la diversità di oggetto tra i giudizi ai fini del giudicato, si osserva che tale diversità rileva anche ai fini dell’insussistenza dei requisiti per la sospensione necessaria, come ben osservato dalla corte locale.

7.2.2. Invero, la sospensione del processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c. presuppone che tra due cause, pendenti dinanzi allo stesso giudice o a due giudici diversi, esista un nesso di pregiudizialità in senso tecnico-giuridico e non già in senso meramente logico, atteso che la ratio dell’istituto è quella di evitare il rischio di un conflitto tra giudicati (cfr. ad es. Cass. n. 5229 del 16/03/2016), conflitto da escludersi per quanto accennato.

8. Dal rigetto, che consegue da quanto innanzi, del ricorso principale consegue l’assorbimento del ricorso incidentale, espressamente condizionato, con cui il comune ha fatto valere violazione dell’art. 345 c.p.c., lamentando essere stata proposta solo in appello domanda volta a ottenere l’accertamento in via autonoma della proprietà del bene in capo al signor C., rispetto alla mera negazione dell’appartenenza del bene all’ente pubblico predicata in prime cure.

9. In definitiva, il ricorso principale va rigettato, assorbito l’incidentale condizionato, con condanna dei ricorrenti alle spese come in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1 bis.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionato, e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione a favore della parte controricorrente/ricorrente incidentale delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 5.200 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principali dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., copmma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 29 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2019

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