Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17865 del 09/09/2016


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Cassazione civile sez. lav., 09/09/2016, (ud. 05/05/2016, dep. 09/09/2016), n.17865

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10698/2015 proposto da:

Z.L.B.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CARLO ALBERTO 18, presso lo studio dell’avvocato CARMELO

COMEGNA, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CROMODORA WHEELS S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

LIVIO ANDRONICO 24, presso lo studio dell’avvocato MARIA TERESA

LOIACONO ROMAGNOLI, rappresentata e difesa dall’avvocato CLAUDIO LA

GIOIA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 417/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 20/03/2015 R.G.N. 691/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2016 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito l’Avvocato COMEGNA CARMELO;

udito l’Avvocato LA GIOIA CLAUDIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Brescia, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, rigettava le domande proposte da Z.L.B.S. nei confronti della Cromodora Wheels s.p.a. volte ad ottenere la declaratoria di illegittimità dei contratti di somministrazione stipulati fra le parti nel periodo 16/7/07-24/9/2012 ed impugnati stragiudizialmente in data 28/9/12.

La Corte distrettuale, per quanto di rilievo, osservava che il lavoratore era decaduto dall’impugnativa dei contratti stipulati sino al 5/12/11, vale a dire di tutti i contratti cessati anteriormente al 31/12/11, confermando la statuizione già emessa sul punto dal giudice di prima istanza. Riteneva al riguardo infondata la tesi accreditata dal lavoratore relativa alla inapplicabilità della normativa sulla decadenza di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, ai rapporti di somministrazione, in tal senso deponendo la lettera e la ratio della disposizione.

Con riferimento agli otto contratti stipulati in epoca successiva a tale data, argomentava la Corte che gli stessi risultavano sorretti da specifiche causali correlate a punte di intensa attività, congruamente dimostrate alla stregua della documentazione prodotta attinente ai volumi di vendita realizzati nell’anno 2012 (oltre che nel periodo precedente, anno 2011).

Per la cassazione della sentenza ricorre Z.L.B.S. affidandosi a tre motivi. Resiste la società intimata con controricorso poi illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, in relazione all’art. 2697 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3.

Si critica la sentenza impugnata per aver ritenuto sufficientemente specifiche le causali apposte ai contratti stipulati nell’anno 2012, benchè la clausola del contratto concluso fra il lavoratore e la Adecco Italia s.p.a. (soggetto somministratore) fosse carente di una specifica indicazione della causale e, sotto ulteriore profilo, mancasse altresì ogni riscontro probatorio in ordine alla effettiva esistenza di quelle ragioni organizzative e produttive che avevano giustificato il ricorso al contratto di somministrazione in favore della Cromodora Wheels s.p.a. (soggetto utilizzatore), giacchè la documentazione prodotta dalla società atteneva esclusivamente al periodo 2004-2009.

Si deduce al riguardo che la situazione di variabilità degli ordinativi e l’imprevedibilità dei carichi di lavoro nei reparti produttivi, era iniziata sin dal 2004 sicchè era ragionevole ritenere che siffatta situazione di variabilità degli ordinativi ed imprevedibilità dei carichi di lavoro, da fronteggiare mediante il ricorso al lavoro somministrato, non avesse natura transitoria ma stabile. Quale corollario di tale premessa, si argomenta che “il semplice richiamo a necessità derivanti da esigenze produttive od altro, si sostanzia in una mera affermazione non legittimante il ricorso alla somministrazione” sicchè “sarebbe stato onere da parte del datore di lavoro, odierno resistente, fornire prova che tale richiamo non fosse soltanto una mera espressione formale, ma che avesse carattere sostanziale, effettivamente giustificatrice del ricorso alla somministrazione”.

Il motivo è privo di pregio per plurime concorrenti ragioni.

Innanzitutto non può sottacersi che la Corte distrettuale ha dato atto del fatto che il lavoratore non avesse mai allegato l’insussistenza delle ragioni giustificatrici del ricorso alla somministrazione, essendosi limitato ad eccepire la genericità della “causale” e, quindi, a contestare la validità dei rapporti sotto un profilo meramente formale, di guisa che ogni doglianza attinente alla effettiva sussistenza dei presupposti di legge coessenziali al contratto di somministrazione appare affetta da profili di inammissibilità per novità delle relative allegazioni.

Ricondotto il thema decidendum entro i termini di una carenza di indicazione sufficientemente dettagliata della causale contrattuale, si osserva quanto segue.

Occorre premettere, ai fini di un ordinato iter motivazionale, che il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 1, stabilisce che il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso da ogni soggetto, denominato utilizzatore, che si rivolga ad altro soggetto, denominato somministratore, a ciò autorizzato ai sensi delle disposizioni di cui agli artt. 4 e 5, mentre l’arti, comma 3, prevede che un tale tipo di contratto può essere concluso a termine o a tempo indeterminato, con la specificazione, al comma 2 del citato articolo, che per tutta la durata della somministrazione i lavoratori svolgono la propria attività nell’interesse nonchè sotto la direzione dell’utilizzatore.

Quanto alle condizioni di liceità del ricorso al contratto di somministrazione a tempo determinato, che qui interessa, le stesse sono individuate dal D.Lgs. n.276 del 2003, art. 20, comma 4, nelle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferite all’ordinaria attività dell’utilizzatore. Come è stato rimarcato da autorevole dottrina, l’istituto della somministrazione presenta taluni aspetti che consentono di accostarlo, sotto il profilo funzionale, al contratto a termine, essendo entrambe le strutture negoziali riguardate dall’ordinamento come strumenti obiettivamente alternativi di acquisizione, diretta e indiretta, di prestazioni lavorative temporanee.

Il contratto di somministrazione infatti è un contratto commerciale “avente ad oggetto la fornitura professionale di manodopera” secondo la nuova definizione del contratto introdotta dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 2, comma 1, lett. a), riformulato dal D.Lgs. n. 24 del 2012, che consente all’impresa utilizzatrice di avvalersi temporaneamente in forma subordinata del lavoratore, per tutta la durata della missione, pur in assenza di un rapporto contrattuale diretto con quest’ultimo. Per altro verso, non può tralasciarsi di considerare che rimane in ogni caso ben definita la distinzione dei due istituti sul piano tecnico-giuridico, atteso che il contratto di somministrazione è un contratto commerciale tipico, collegato funzionalmente al contratto di lavoro somministrato stipulato dal lavoratore con l’agenzia di somministrazione.

In linea con i tratti identificativi del contratto di somministrazione come innanzi definiti, si collocano, quindi, le pronunce di questa Corte con le quali è stato attribuito alle ragioni di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, il significato loro proprio, di presupposti giustificativi oggettivi ed effettivamente sussistenti, distinguendo significato e ratio delle norme relative al contratto a termine ed a quello della somministrazione, non richiedendo che l’enunciazione delle ragioni risponda a quel livello di dettaglio proprio del primo tipo di contratto (vedi ex plurimis, Cass. 6 ottobre 2014 n. 21001).

Si tratta di un orientamento condivisibile, cui si intende dare continuità, perchè non oblitera affatto la natura per così dire causale della somministrazione a termine, cioè la rilevanza giuridica della ragione giustificativa del termine e non sottrae neppure l’utilizzo della somministrazione a termine al controllo giudiziale che riguarda la sua oggettività, la sua effettiva esistenza, con conseguente esclusione della possibilità di fondare la somministrazione su ragioni meramente pretestuose, simulate o evanescenti. Nell’ottica descritta, è stato ritenuto sufficiente che l’indicazione contrattuale dia conto della ragione in concreto da fronteggiare in modo sufficientemente intellegibile, ferma comunque la possibilità per l’utilizzatore di fornire la prova dell’effettiva esistenza delle ragioni giustificative indicate anche a posteriori in caso di contestazione (vedi Cass. 15 luglio 2011 n. 15610; Cass. 21 febbraio 2012 n. 2521, Cass. 6 ottobre 2014 n.21001).

Nel pervenire a tali conclusioni, questa Corte ha infatti elaborato una interpretazione sistematica del combinato disposto di cui all’art. 20, comma 4, alla cui stregua “la somministrazione a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività dell’utilizzatore”; di cui all’art. 21, in base al quale il contratto di somministrazione di manodopera deve essere stipulato in forma scritta e deve contenere, fra gli elementi necessari, “i casi e le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui all’art. 20, commi 3 e 4; di cui all’art. 27, che al comma 3, pur precisando che il giudice non può sindacare nel merito le scelte tecniche, organizzative o produttive in ragioni delle quali l’impresa ricorre al contratto di somministrazione, sancisce che il controllo giudiziale è limitato “all’accertamento della esistenza delle ragioni che (la) giustificano”.

L’opzione ermeneutica del compendio normativo descritto, adottata in conformità ai dettami ed ai criteri sanciti dall’art. 12 preleggi, è quindi volta a valorizzare una indicazione delle ragioni sottese al ricorso alla somministrazione, che sia assistita da un grado di specificazione tale da consentire di verificare se esse rientrino nella tipologia cui è legata la legittimità del contratto e da rendere pertanto possibile il riscontro della loro effettività.

In tal senso è stato precisato che l’indicazione non può essere tautologica, nè può essere generica, dovendo esplicitare, onde consentirne lo scrutinio in sede giudiziaria, il collegamento tra la previsione astratta e la situazione concreta (vedi, in tali sensi, Cass. 3 aprile 2013 n. 8021, Cass. 15 luglio 2011 n. 15610).

Su tali premesse sono state, quindi, considerate ascrivibili alle ragioni di cui all’art. 20, comma 4, le “punte di intensa attività” non fronteggiabili con il ricorso al normale organico ed anche il semplice riferimento alle stesse è stato considerato “valido requisito formale del relativo contratto, ai sensi dell’art. 21, comma 1, lett. c” (così Cass. cit. n.21001 del 2014, Cass. 3 aprile 2013 n. 8120, Cass. 21 febbraio 2012, n. 2521). A tale riguardo è stato affermato che “si tratta di causali ben note e sperimentate nella pratica contrattuale, che hanno rinvenuto espressa consacrazione in risalenti norme legali relative al contratto al termine (ed, in particolare, nel D.L. n. 876 del 1977, convertito nella L. n. 18 del 1978, che ha introdotto la disciplina del contratto a termine per punte stagionali”, poi estesa dalla L. n. 79 del 1983, art. 8 bis, a tutti i settori economici, anche diversi da quello commerciale e turistico), e conferma negli orientamenti della stessa giurisprudenza, che, sotto il vigore della precedente disciplina della materia, ne aveva patrocinato una interpretazione allargata, e cioè comprensiva anche delle punte di intensificazione dell’attività produttiva di carattere meramente gestionale (v. già Cass. n.3988/1986), sì da rispondere, in perfetta consonanza con gli orientamenti contrattuali, alle più svariate esigenze aziendali di flessibilità organizzativa delle imprese.

Ne deriva che le punte di intensa attività non fronteggiabili con il ricorso al normale organico risultano sicuramente ascrivibili nell’ambito di quelle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore, che consentono, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, il ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato e che il riferimento alle stesse ben può costituire valido requisito formale del relativo contratto, ai sensi dell’art. 21, comma 1, lett. c, della legge stessa” (vedi in motivazione Cass. cit. n. 2521 del 2012, Cass. n. 8120 del 2013, Cass. n. 21001 del 2014).

Nel solco degli enunciati principi, e con riferimento alla fattispecie qui considerata, può ritenersi che le ragioni del ricorso al lavoro in somministrazione, indicate in “necessità derivanti da esigenze di pianificazione produttiva per articoli in produzione, cui non si può far fronte con i normali assetti produttivi aziendali”, siano assistite da un grado di specificità sufficiente a soddisfare il requisito di forma del contratto di somministrazione sancito dall’art. 21, comma 1, perchè danno adeguatamente conto delle ragioni giustificative del ricorso a tale tipologia contrattuale, non essendo all’uopo necessario scendere in ulteriore dettaglio. In tal senso la pronuncia impugnata, in quanto coerente con gli orientamenti giurisprudenziali tracciati in subiecta materia, è conforme a diritto, onde resiste alla censura all’esame.

Con riferimento, poi, al profilo di doglianza attinente alla denunciata carenza probatoria relativa alla effettiva esistenza delle ragioni che giustificano la causale, va parimenti rilevato che lo stesso si espone ad un giudizio di inammissibilità, prima ancora che di infondatezza.

Va infatti rimarcato il difetto di specificità ovvero di autosufficienza che connota il motivo, non risultando riportato il tenore della documentazione versata in atti e che si assume erroneamente posta a base della decisione (perchè relativa agli ordinativi dei clienti per il periodo 2004-2009), in quanto non coerente, ratione temporis, con la statuizione di legittimità dei contratti sottoposti allo scrutinio della Corte (relativi all’anno 2012).

Peraltro, detta censura si palesa del tutto infondata, giacchè, come anticipato nello storico di lite, la Corte ha congruamente motivato in ordine alla produzione da parte societaria, della documentazione attestante il volume d’affari sviluppatosi nell’anno 2012 (e, prima ancora, nell’anno 2011), ritenuta idonea a dimostrare la notevole variabilità mensile delle vendite, modulata alla stregua della altrettanto variabile domanda di acquisto. E’ quindi pervenuta alla conclusione, coerente sul piano logico, e corretta sul versante giuridico, della effettiva sussistenza di quelle ragioni organizzative e produttive che avevano giustificato il ricorso al contratto di somministrazione da parte della società utilizzatrice.

Con il secondo mezzo di impugnazione si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32. Si critica la sentenza impugnata in relazione alla applicazione della disciplina generale sulle decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato.

Il motivo, per le modalità secondo le quali risulta formulato, si espone ad un giudizio di inammissibilità.

Ed invero, secondo il costante orientamento espresso da questa Corte (vedi ex piurimis, Cass. 8 marzo 2007 n. 5353 cui adde Cass. 25 settembre 2009 n.20652) il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere il suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di “errori di diritto” individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr. Cass. cit. n. 5353/2007).

In definitiva, nel ricorso per cassazione, il requisito della esposizione dei motivi di impugnazione – nella quale la specificazione dei motivi e l’indicazione espressa delle norme di diritto non costituiscono requisiti autonomi, avendo la seconda la funzione di chiarire il contenuto dei motivi – mira ad assicurare che il ricorso consenta, senza il sussidio di altre fonti, l’immediata e pronta individuazione delle questioni da risolvere, cosicchè devono ritenersi inammissibili quei motivi che non precisino in alcuna maniera in che cosa consista la violazione di legge che avrebbe portato alla pronuncia di merito che si sostiene errata, o che si limitino ad una affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione (vedi Cass. 6 luglio 2007 n. 15263).

Nello specifico il ricorrente ha proceduto, nella esposizione del motivo, al richiamo in via generale, ai termini di decadenza sanciti per l’impugnazione del licenziamento, distinguendo l’ipotesi in cui sussista la forma scritta da quella in cui manchi. Ha fatto, quindi, riferimento a precedenti della giurisprudenza di merito in cui si affermava che solo per i contratti a termine il legislatore aveva imposto una disposizione transitoria che imponeva “espressamente l’applicazione della disposizione in questione (art.32) ai rapporti in corso ed a quelli già esauriti, con termini da computarsi dall’entrata in vigore della stessa leggè”.

Da tanto conseguiva “che i rapporti contrattuali di somministrazione in corso o già esauriti al 31.12.2011 sono da considerarsi sottoposti unicamente agli ordinari termini di prescrizione dei diritti e ciò in quanto, diversamente opinando, si dovrebbe considerare del tutto priva di senso la disposizione transitoria dettata in tema di contratti a termine, mentre la stessa è indispensabile, nei limiti di materia in cui opera, ad introdurre una decadenza nuova e con un regime del tutto speciale che ne ancora la decadenza all’entrata in vigore della norma e non dalla scadenza contrattuale. Nel caso di specie l’ultimo contratto di somministrazione è scaduto in data 24.09.2012 (regolarmente impugnato con lettera del 28.9.12) con la conseguenza che tutti i contratti intercorsi sono sottoposti unicamente ai termini ordinari di prescrizione dei diritti”.

Dopo aver ribadito che la Corte distrettuale, anche in considerazione della proroga prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1 bis, aveva considerato decaduto il lavoratore dalla impugnazione di tutti i contratti cessati anteriormente al gennaio 2012 (rectius, dal 5/12/2011), il ricorrente ha, quindi, concluso rilevando come “la Corte bresciana in un’ottica immotivatamente premiante per Cromodora Wheels s.p.a. abbia del tutto sovvertito la portata legislativa della L. n. 183 del 2010, art. 32, dando una lettura del tutto errata del precetto normativo”.

All’esito della lettura del motivo, si impone, quindi, l’evidenza della genericità ed apoditticità dello stesso, in quanto privo della doverosa esplicazione di specifiche ragioni di diritto che si traducano in una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, e siano idonee ad inficiare l’impianto motivazionale che sorregge l’impugnata sentenza.

In altre parole, la tesi che, dalla generica esposizione del motivo, sembra accreditare il ricorrente – relativa all’inapplicabilità della decadenza L. n. 183 del 2010, ex art. 32, ai contratti di somministrazione – non risulta supportata da ragioni idonee a fondare la denunciata violazione di legge, essendo trasfusa in mere immotivate affermazioni non seguite da alcuna dimostrazione; ciò a differenza dell’argomentata decisione della Corte di merito che ha proceduto ad una esegesi della disposizione citata, ritenendola applicabile al contratto di somministrazione, in coerenza, del resto, con i principi affermati da questa Corte in subiecta materia (vedi da ultimo, Cass. 8 febbraio 2016 n. 2420).

In definitiva, assorbito il terzo motivo di censura attinente alla liquidazione del danno conseguente alla illegittimità del contratto – esclusa nella specie, alla stregua delle superiori ragioni – il ricorso è respinto.

Il governo delle spese del presente giudizio segue il principio della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata. Infine si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2016

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