Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17863 del 09/09/2016

Cassazione civile sez. lav., 09/09/2016, (ud. 04/05/2016, dep. 09/09/2016), n.17863

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14695-2015 proposto da:

I.G.M., C.F. (OMISSIS), domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLA MILIA giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

AGENZIA LAORE SARDEGNA C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 30,

presso lo studio dell’avvocato ALFREDO BIAGINI, rappresentata e

difesa dagli avvocati MARIA SANTORU ed ELISABETTA CORONA, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9/2015 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI SEZ.

DIST. DI SASSARI, depositata il 11/03/2015, R.G. N. 455/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2016 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

udito l’Avvocato MARIA SANTORU;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con la sentenza in data 11.3.2015 la Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, ha dichiarato l’inammissibilità del reclamo proposto avverso la sentenza pronunziata L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 51 che aveva respinto l’opposizione avverso l’ordinanza di rigetto del ricorso, proposto da I.G.M. nei confronti della Laore Sardegna, Laore Agenzia Regionale per lo Sviluppo in Agricoltura, volto all’accertamento della nullità, illegittimità, inefficacia del licenziamento intimato da quest’ultima in data 21/23.9.2012.

2. La Corte territoriale ha ritenuto che il reclamo non era conforme alla previsione contenuta nell’art. 434 c.p.c., nel testo, applicabile “ratione temporis”, modificato dalla L. n. 134 del 2012, in quanto la parte reclamante aveva omesso la formulazione dei motivi di impugnazione, si era limitata ad affermare che la decisione impugnata si fondava sul rigetto dell’eccezione di inutilizzabilità dei tabulati prodotti in copia, a prospettare le argomentazioni già svolte nel giudizio di primo grado in ordine alla dedotta inutilizzabilità di detti tabulati, e a dolersi genericamente, con mero richiamo delle argomentazioni svolte nella comparsa conclusionale, della erronea valutazione da parte del primo giudice delle prove raccolte, della erronea applicazione dei principi in tema di onere della prova e di non contestazione dei fatti dedotti.

3. Ha, inoltre, affermato che, anche in relazione alla dedotta sproporzione della sanzione risolutiva ed alla diversità di trattamento ed alla tardività della irrogazione della sanzione, la reclamante non si era confrontata con la motivazione del provvedimento reclamato e con la giurisprudenza ivi richiamata, ma si era limitata ad allegare la erroneità della decisione ed a riproprre le argomentazioni svolte nel ricorso introduttivo del giudizio.

4. La Corte territoriale ha, conclusivamente, ritenuto che la mera riproposizione degli argomenti già proposti al giudice di prime cure non rispettava i requisiti individuati dall’art. 434 c.p.c., nel testo, applicabile “ratione temporis”.

5. Avverso detta sentenza I.G.M. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, al quale ha resistito con controricorso l’Agenzia Laore di Sardegna.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

6. Con il primo motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza e del procedimento, celebrato davanti alla Corte di Appello di Cagliari per avere questa ritenuto applicabile l’art. 434 c.p.c..

7. Sostiene che la L. n. 92 del 2012, art. 1, commi da 58 a 61 non prescrive per l’atto di impugnazione particolari requisiti di forma, a differenza di quanto previsto dall’art. 1, comma 51, in relazione all’atto introduttivo del giudizio di opposizione; che l’art. 1, comma 60 Legge citata esclude che il procedimento possa svolgersi nelle forme della cd udienza filtro e che possa concludersi con un’ordinanza o sentenza di inammissibilità.

8. Deduce che se la Corte di Appello non fosse incorsa nel vizio denunziato, sarebbe pervenuta ad una decisione favorevole ad essa ricorrente, in quanto avrebbe valutato le censure formulate nei confronti della sentenza impugnata e accertato che le medesime erano fondate.

9. Sostiene, inoltre, che la sentenza della Corte territoriale avrebbe dovuto essere depositata completa di motivazione nel termine di dieci giorni dalla udienza di discussione e lamenta che la Corte territoriale aveva letto il dispositivo alla pubblica udienza ed aveva depositato la motivazione oltre detto termine (il 13.3.2015).

10. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione ed errata applicazione di norme di diritto, sostenendo che, pur a volere ritenere applicabile l’art. 434 c.p.c., le prescrizioni di detta disposizione erano state osservate, avendo essa reclamante censurato le statuizioni contenute nella sentenza di primo grado ed indicato, in relazione a ciascuna delle argomentazioni motivazionali esposte nella sentenza impugnata, le contrarie ragioni di fatto e di diritto.

11. I due motivi di ricorso, da scrutinarsi congiuntamente, sono infondati nella parte in cui censurano la correttezza della statuizione che ha ritenuto applicabile al procedimento speciale descritto nell’art. 1 commi 58 e sgg. la disposizione contenuta nell’art. 434 c.p.c.; sono inammissibili nella parte in cui deducono la conformità a detta disposizione dell’atto di reclamo.

12. Questa Corte ha ripetutamente affermato che i requisiti del reclamo, di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58devono essere modulati in sostanziale conformità con quelli del ricorso in appello, disciplinato dall’art. 434 c.p.c. (Cass. 7571/2016, 7718/2016, 22142/2015, 23021/2014), nel testo novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. c) bis, conv. nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis (il reclamo è stato proposto il 21.12.2014).

13. A siffatto indirizzo va data continuità, in quanto la dotazione normativa del procedimento speciale, per quanto riguarda le fasi del reclamo e del giudizio di cassazione, rende necessaria l’integrazione della disciplina in via di interpretazione.

14. Nell’art. 1, comma 58 manca, infatti, a differenza di quanto previsto dal 51, per il giudizio di opposizione, che richiama espressamente l’art. 414 c.p.c., ogni indicazione in ordine al contenuto ed ai requisiti del reclamo proposto avverso la sentenza che definisce il giudizio di opposizione.

15. Al di là del termine “reclamo”, utilizzato dal legislatore per ribadire il carattere accelerato dello speciale procedimento regolato dall’art. 1, commi da 48 a 68, il giudizio che si apre con la impugnazione della sentenza pronunziata ai sensi dell’art. 1, comma 57 è, nella sostanza, un appello, con la conseguenza che, per tutti i profili non regolati dalla scarne disposizioni specifiche, trova applicazione la disciplina dell’appello nel rito del lavoro, che realizza il ragionevole equilibrio tra celerità ed affidabilità (art. 111 Cost.) e, tra ì riti modello del D.Lgs. n. 150 del 2011, è quello più vicino per materia.

16. La circostanza che la fase del reclamo, al pari di quelle precedenti (commi 49 e 57), è caratterizzata da un giudizio destinato a svolgersi in maniera deformalizzata e veloce (comma 60) non esclude l’applicabilità del regime proprio degli atti introduttivi del giudizio del lavoro, e in particolare dell’atto di appello, atteso che il divieto di “nova” (comma 59) riproduce, in sostanza, la regolamentazione dell’appello del processo del lavoro, nella interpretazione datane dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, e, dunque, nei limiti della devoluzione.

17. La disciplina dell’atto introduttivo del reclamo dovrà pertanto essere quella propria dell’art. 434 c.p.c., norma che non presenta alcun profilo di incompatibilità con le finalità e la struttura peculiare del procedimento regolato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, commi da 48 a 68, essendo anch’essa finalizzata, come già osservato, a rendere il processo rapido ed efficace e che è in grado di integrare in maniera compiuta ed, ad un tempo, omogenea la disciplina di tutte le fasi dello speciale procedimento, secondo uno schema che, dalla fase della opposizione a quella del reclamo, realizza, attraverso una devoluzione chiara ed puntuale, i principi del giusto processo e della sua durata ragionevole (art. 111 Cost.).

18. L’art. 434 c.p.c., comma 1, nel testo introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. c) bis, conv. nella L. 7 agosto 2012, n. 134, in coerenza con il paradigma generale contestualmente introdotto nell’art. 342 c.p.c., non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma, in ossequio ad una logica di razionalizzazione delle ragioni dell’impugnazione, impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente, sotto il profilo della latitudine devolutiva, il “quantum appellatum” e di circoscrivere l’ambito del giudizio di gravame, con riferimento non solo agli specifici capi della sentenza del Tribunale, ma anche ai passaggi argomentativi che li sorreggono.

19. Sotto il profilo qualitativo, le argomentazioni che vengono formulate, devono proporre le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo Giudice ed esplicitare in che senso tali ragioni siano idonee a determinare le modifiche della statuizione censurata chieste dalla parte.

20. Quanto al valore da attribuirsi alla puntualizzazione del requisito della “specificità” dei motivi, occorre premettere che l’economia dei tempi processuali perseguita dalla novella può essere ottenuta solo esigendo il rispetto da parte dell’appellante, in un’ottica di leale collaborazione ed a pena di inammissibilità del gravame, di precisi oneri formali, che impongano e traducano uno sforzo di razionalizzazione delle ragioni dell’impugnazione.

21. Allo scopo di individuarne l’estensione, va considerato che il principio della ragionevole durata del processo, elevato a rango costituzionale a seguito della riformulazione dell’art. 111 Cost., ad opera della Legge costituzionale n. 2 del 1999, costituisce il parametro per adottare un’interpretazione delle norme processuali funzionalizzata ad un’accelerazione dei tempi della decisione, conducendo a privilegiare opzioni contrarie ad ogni inutile appesantimento del giudizio, in sintonia con l’obiettivo perseguito anche a livello sovranazionale dall’art. 6 della CEDU di assicurare una decisione di merito in tempi ragionevoli (così Cass. n. 13825 del 2008, Cass. S.U. n. 5700 del 2014, Cass. S.U. n. 9558 del 2014, Cass. n. 17698 del 2014).

22. Va, inoltre, osservato che non essendo prevista, a livello costituzionale, la pluralità di gradi di giudizio (fatto salvo il ricorso per cassazione per violazione di legge contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale), il legislatore nazionale gode di una certa discrezionalità nel prevedere limiti all’accesso alle impugnazioni.

23. Occorre, però considerare anche che, come evidenziato da questa Corte (Cass. SSUU 5700/2014e 9558/2014), non può prescindersi dai principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte EDU in via di interpretazione dell’art. 6, p. 1 della CEDU, di cui il giudice italiano deve fare applicazione, a norma dell’art. 117 Cost. (Corte Cost. sentt. n. 368 e 369 del 2007; Cass. 5720/2012).

24. La Corte CEDU, pur sottolineando che ad essa non compete un sindacato sulla interpretazione e sull’applicazione della regola emessa a livello nazionale, ammette poi le limitazioni all’accesso ad un giudice solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (v., ex plurimis, Omar c. Francia, 29 luglio 1998; Bellet c. Francia, 4 dicembre 1995), affermando, in particolare, che ritenere l’irricevibilità di un ricorso non articolato con la specificità richiesta configura un eccessivo formalismo (tra le altre, Walchi c. Francia, 26.7.2007; Dobric contro Serbia 21.6.2011); ovvero ponendo in rilievo l’esigenza che le limitazioni al diritto di accesso ad un giudice siano stabilite in modo chiaro e prevedibile, e, dunque, alla stregua di una giurisprudenza non ondivaga o non specifica (Faltejsek c. Rep. Ceca, 15.8.2008).

25. La stessa Corte EDU ha precisato che il vincolo del rispetto del diritto ad un processo equo, imposto dall’art. 6, comma 1 della CEDU, si applica anche ai provvedimenti di autorizzazione all’impugnazione (Corte EDU, Hansen c. Norvegia, 2.102014; Dobric c. Serbia, 21.7.2011, citata).

26. Il quadro costituzionale e sovranazionale orienta, quindi, verso canoni interpretativi capaci di assicurare il compito correttivo del giudizio d’appello, finalizzato a garantire la conformità della decisione di primo grado alla legge ed alle risultanze processuali, ma sanzionando le pratiche che, comportando un abuso del processo, determinino un’ingiustificata dilatazione dei suoi tempi ed un ingiustificato aggravio del lavoro del giudice.

27. Sulla base di tali argomentazioni, occorre concludere che gli oneri che vengono imposti alla parte devono essere interpretati in coerenza con la funzione loro ascritta e devono, pertanto, consentire di individuare agevolmente, sotto il profilo della latitudine devolutiva, il “quantum appellatum” e di circoscrivere quindi l’ambito del giudizio di gravame, con riferimento non solo agli specifici capi della sentenza del Tribunale, ma anche ai passaggi argomentativi che li sorreggono; sotto il profilo qualitativo, le argomentazioni che vengono formulate devono proporre lo sviluppo di un percorso logico alternativo a quello adottato dal primo Giudice e devono chiarire in che senso tale sviluppo logico alternativo sia idoneo a determinare le modifiche della statuizione censurata chieste dalla parte (Cass. 2143/2015).

28. Tali essendo i requisiti contenutistici del ricorso, deve ancora precisarsi che con la reiterata locuzione “indicazione”, il legislatore non ha previsto che le deduzioni della parte appellante debbano assumere una determinata forma o ricalcare la decisione appellata con diverso contenuto, nè ha adottato una logica di riproposizione del noto (ed oggi superato) requisito del “quesito di diritto”: il legislatore ha solo statuito che i contenuti critici proposti debbano essere articolati in modo chiaro ed esauriente, oltre che pertinente.

29. Quanto detto non esclude che il ricorso in appello possa riproporre anche le argomentazioni già svolte in primo grado, purchè esse siano comunque funzionali a supportare le censure proposte nei confronti di specifici passaggi argomentativi della sentenza appellata.

30. Occorre, a questo punto, rilevare che con il secondo motivo di ricorso, con il quale si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., comma 1, si denuncia, al di là della rubrica che fa riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, un vizio che attiene alla corretta applicazione delle norme da cui è disciplinato il processo che ha condotto alla decisione dei giudici di merito, vizio che è pertanto ricompreso nella previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

31. Poichè in tali casi il vizio della sentenza impugnata discende direttamente dal modo in cui il processo si è svolto, ossia dai fatti processuali che quel vizio possono aver procurato, si spiega il consolidato orientamento di legittimità secondo il quale, in caso di denuncia di “errores in procedendo” del giudice di merito, la Corte di cassazione è anche giudice del fatto, inteso come fatto processuale (Cass. 24481/2014, 14098/2009, 11039/2006, 15859/2002, 6526/2002).

32. Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 8077 del 2012, a composizione di un contrasto di giurisprudenza, hanno definitivamente chiarito che, ove i vizi del processo si sostanzino nel compimento di un’attività deviante rispetto alla regola processuale rigorosamente prescritta dal legislatore, così come avviene nel caso, ricorrente nella fattispecie in esame, che si tratti di stabilire se sia stato o meno rispettato il modello legale di introduzione del giudizio, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere-dovere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda.

33. Affinchè questa Corte possa riscontrare mediante l’esame diretto degli atti l’intero fatto processuale, è necessario, comunque, che la parte ricorrente indichi gli elementi caratterizzanti il fatto processuale di cui si chiede il riesame, nel rispetto delle disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (ex plurimis, Cass. 16167/ 2015, 16534/2015, 24481/2014, 8008/ 2014, 896/2014, Cass. Sez. Un. n. 8077 del 2012, cit.).

34. Ed, infatti, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla Corte di Cassazione nel caso di deduzione di un “error in procedendo”, non esonera la parte dal riportare, in seno al ricorso per cassazione, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare nei suoi termini esatti, e non genericamente, il vizio processuale, in modo da consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale (Cass. 2143/2015, 4928/2013, 23420/2011, 20405/2006).

35. Il ricorso in esame non rispetta i richiamati canoni di specificità, considerato che non vengono riportati i contenuti degli atti del giudizio di merito occorrenti ai fini della comprensione della vicenda processuale (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3) e dei denunciati vizi di ordine processuale.

36. Non sono stati, infatti, riportati nel ricorso, seppur nelle parti salienti, e nemmeno descritti i passaggi della sentenza gravata di reclamo (la ricorrente si limita a riferire che la sentenza aveva rigettato tutte le domande proposta da essa lavoratrice, pg. 4 n. 15 e pg 21); del pari, non è riportato il contenuto dell’atto di reclamo (la ricorrente si limita, a pg. 4 n. 16, a citare il reclamo con la precisazione “che qui si ha per riportato integralmente”) e a sostenere di avere censurato in ogni sua parte la sentenza reclamata e di avere esposto le motivazioni per cui non era condivisibile (pg. 21 e 22 del ricorso).

37. Detti atti non risultano allegati e nemmeno ne è indicata la sede di collocazione in atti. E’, dunque, precluso a questa Corte di comprendere la portata della doglianza e di accedere all’esame diretto degli atti imposto dalla censura così come formulata.

38. Analoghe considerazioni vanno svolte con riferimento al profilo di doglianza con il quale si addebita alla Corte territoriale la deviazione rispetto alle regole contenute nella L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 60, per essere stata la decisione adottata con la formula prevista dall’art. 429 c.p.c., comma 1.

39. Dalla sentenza non emerge la deviazione denunziata e, d’altra parte, gli atti processuali a conforto della censura non risultano nè richiamati nel ricorso nè a questo allegato e nemmeno ne è indicata la specifica sede di collocazione processuale.

40. Infine, la dedotta violazione del termine di 10 giorni per il deposito della sentenza non determina nullità del provvedimento (Cass. SSUU 11655/2008).

41. Le spese seguono la soccombenza.

42. La ricorrente, per essere stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato non è tenuta al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater. (Cass. 18523/2014; Cord. 1778/2016).

PQM

LA CORTE

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese dei giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre Euro 100,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese forfettarie generali, oltre IVA e CPA.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2016

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