Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17862 del 27/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 27/08/2020, (ud. 11/06/2020, dep. 27/08/2020), n.17862

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14225-2019 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASSIA 530,

presso lo studio dell’avvocato GIORGIO MASCI, rappresentato e difeso

dagli avvocati ALBERTO MUSCHITIELLO, NICOLANTONIO DEPALO;

– ricorrente –

contro

F.C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato CLAUDIA DE PALMA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 388/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 15/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11 /06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

TEDESCO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La presente controversia riguarda lo scioglimento della comunione fra i fratelli F.G. e F.C. relativamente a un terreno e a un immobile urbano, con box e terreno pertinenziale, in Palo del Colle, in comproprietà per 4/5 di F.G. e per 1/5 di F.C.. Il Tribunale di Bari, adito da F.G., dispose il frazionamento dell’immobile urbano, attribuendo a F.C. due vani di esso e imponendo a suo carico un conguaglio di Euro 926,00 in favore della sorella.

Il primo giudice, inoltre, liquidò a favore di F.C., che aveva proposto la relativa domanda, la somma di Euro 4.500,00 quale quota dei frutti civili derivanti dall’uso esclusivo dell’immobile da parte di F.G.. Nello stesso tempo dichiarò inammissibile, in quanto tardiva, la domanda di F.G. volta a ottenere il riconoscimento di una indennità per i miglioramenti apportati alla cosa.

Impugnata la sentenza da F.G., la Corte d’appello di Bari, dapprima, ordinò la rinnovazione della consulenza tecnica già eseguita in primo grado, per verificare la possibilità di una diversa ripartizione dell’immobile urbano, con l’attribuzione a F.G. dell’intera unità abitativa e a F.C. del box e del suolo pertinenziale. La stessa Corte d’appello, poi, nel decidere la causa, rilevò che F.G., negli scritti difensivi finali, aveva chiesto che fosse costituita una servitù di passaggio sulle porzioni destinate all’altra condividente. In relazione a tale domanda, essa, da un lato, ne rilevò l’inammissibilità perchè tardiva, dall’altro, dedusse il difetto di interesse dell’appellante rispetto alla modifica del progetto di divisione approvato dal primo giudice, una volta appurato che alla modifica non poteva accompagnarsi la costituzione della servitù.

La Corte d’appello riformò quindi la sentenza di primo grado nella parte in cui il tribunale aveva dichiarato inammissibile la domanda di F.G., di pagamento di una indennità per i miglioramenti, riconoscendo che si trattava non di domanda, ma di eccezione riconvenzionale. Essa riconobbe, sulla scorta della consulenza tecnica, in un certo importo il quantum dovuto a F.G. a tale titolo; quindi, essendo l’importo superiore al conguaglio e a quanto dovuto dal medesimo F.G. per i frutti, revocò le statuizioni della sentenza di primo grado, laddove si imponeva a suo carico il pagamento dei relativi importi a F.C..

Per la cassazione della sentenza F.G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

F.C. ha resistito con controricorso.

La causa, su conforme proposta del relatore, è stata fissata per l’adunanza camerale dinanzi alla sesta sezione civile della Corte.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Il primo motivo di ricorso è così rubricato: “violazione e falsa applicazione degli artt. 718 e 720 c.c. Erronea e contraddittoria motivazione della sentenza – violazione dell’art. 113 c.p.c. – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

La Corte d’appello, facendo corretta applicazione delle norme in materia di divisione, “avrebbe dovuto limitarsi a dichiarare la inammissibilità della richiesta di costituzione di servitù e provvedere all’attribuzione dell’intero bene a F.G.” (pag. 6 del ricorso). Il motivo è inammissibile.

Costituisce principio acquisito nella giurisprudenza della Corte che “nella divisione ereditaria non si richiede necessariamente in sede di formazione delle porzioni una assoluta omogeneità delle stesse, ben potendo nell’ambito di ciascuna categoria di beni immobili, mobili e crediti da dividere, taluni di essi essere assegnati per l’intero ad una quota ed altri, sempre per l’intero, ad altra quota, salvi i necessari conguagli, giacchè il diritto dei condividenti ad una porzione in natura di ciascuna delle categorie di beni in comunione non consiste nella realizzazione di un frazionamento quotistico delle singole entità appartenenti alla stessa categoria, ma nella proporzionale divisione dei beni compresi nelle tre categorie degli immobili, mobili e crediti dovendo evitarsi un eccessivo frazionamento dei cespiti in comunione che comporti pregiudizi al diritto preminente dei coeredi e dei condividenti in genere di ottenere in sede di divisione una porzione di valore proporzionalmente corrispondente a quello della massa ereditaria, o comunque del complesso da dividere. Pertanto, nell’ipotesi in cui nel patrimonio comune vi siano più immobili da dividere, il giudice del merito deve accertare se l’anzidetto diritto del condividente sia meglio soddisfatto attraverso il frazionamento delle singole entità immobiliari oppure attraverso l’assegnazione di interi immobili ad ogni condividente, salvo conguaglio” (Cass. n. 3288/1999; n. 15105/2000; n. 14540/2004; n. 9203/2004).

Consegue che la decisione della corte d’appello, di operare la divisione mediante frazionamento dell’immobile, di per sè, non incorre in alcuna violazione di norme o principi. Si deve aggiungere che la stessa corte di merito ha avuto cura di precisare che l’appellante non aveva indicato il pregiudizio che sarebbe derivato dal frazionamento: con riferimento a tale affermazione, il ricorrente non ha sollevato alcuna censura. Analogamente non ha costituito oggetto di censura la statuizione di inammissibilità della domanda di costituzione della servitù di passaggio.

Con il motivo in esame si censura poi la incongruenza del ragionamento proposto dalla corte d’appello, là dove si ravvisa un legame inscindibile fra la domanda volta alla costituzione della servitù (dichiarata inammissibile) e l’interesse dell’appellante alla modifica del progetto approvato in primo grado.

Al riguardo il collegio richiama e fa proprie le considerazioni fatte del relatore nella proposta, e cioè che la motivazione, su questo punto, non risulta di per sè erronea o contraddittoria, fermo restando che la censura allude a vizi della decisione che non sono più denunciabili in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo attualmente vigente (Cass. S.U., n. 8053/2014).

Si deve ancora aggiungere che la decisione assunta dalla corte di merito su questo punto riflette una certa interpretazione delle deduzioni di parte. Tale interpretazione dà luogo a un giudizio di fatto incensurabile in cassazione (Cass. n. 17109/2009; n. 2142/2014).

Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c.

La Corte d’appello ha omesso di pronunciare sul motivo con il quale l’attuale ricorrente aveva censurato il capo di sentenza del tribunale sull’ammontare dei frutti civili richiesti da F.C. per l’occupazione dell’immobile ad opera del condividente.

Il motivo è inammissibile.

Non è condivisibile quanto si legge a proposito di questo motivo nel controricorso, nel quale si pretende di fare discendere l’inammissibilità della censura per avere l’attuale ricorrente rinunciato, dinanzi alla Corte d’appello, alla relativa domanda. La rinuncia è ravvisata nel fatto che il F., in sede di conferimento dell’incarico al consulente tecnico, non aveva richiesto di estendere l’indagine anche a tale aspetto, non contemplato dai quesiti posti dal giudice. Nondimeno la censura proposta con il motivo è ugualmente inammissibile, perchè non accompagnata dall’illustrazione del carattere decisivo della omissione.

Questa Corte di legittimità ha chiarito che il vizio di omessa pronuncia non è denunciabile in astratto e in linea di principio, non potendo essere disgiunto dalla illustrazione del carattere decisivo della prospettata violazione, perchè altrimenti si dovrebbe cassare inutilmente la decisione (Cass. n. 16102/2016). In relazione a tale esigenza il ricorrente avrebbe dovuto perciò chiarire le ragioni che rendevano fondata la censura su cui il giudice di merito non ha pronunciato, nel senso che dalla sua considerazione sarebbe derivata la riduzione del quantum riconosciuto a favore della condividente per i frutti. Al contrario il ricorrente si è limitato sul punto a richiamare, da un lato, la critica all’operato del consulente tecnico d’ufficio, dall’altro, la minore quantificazione proposta dal proprio consulente tecnico di parte. In base a tali generiche deduzioni non è possibile a questa Corte esprimere alcuna valutazione sul carattere decisivo della omissione nel senso sopra indicato, conseguendone pertanto l’inammissibilità del motivo. Si deve aggiungere che, nel controricorso, si evidenzia che la richiesta di riduzione del quantum fu piuttosto giustificata dal F.G. con la pretesa applicazione della disciplina dell’equo canone, invece non applicabile ratione temporis. In proposito il ricorrente nulla ha replicato nella memoria depositata in vista dell’udienza.

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile con addebito di spese.

Ci sono le condizioni per dare atto della ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 11 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2020

 

 

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