Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17860 del 27/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 27/08/2020, (ud. 11/06/2020, dep. 27/08/2020), n.17860

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5540-2019 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AREZZO,

38, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO TUCCI, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANDREA CASTELLI,

TULLIO CASTELLI;

– ricorrente –

contro

PULINETT SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, C.SO TRIESTE 87, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE MARIA FRANCESCO RAPISARDA, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato DAVIDE BALDUZZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1365/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 09/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

TEDESCO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

B.M., proprietario di un immobile in Lodrino (BS), adibito ad abitazione sua e della sua famiglia, chiamava in giudizio dinanzi al Tribunale di Brescia la Pulinett s.r.l. (Pulinett), deducendo di avere affidato alla convenuta l’incarico per la pulizia del già menzionato immobile al termine della sua ristrutturazione.

Lamentava che la Pulinett, a causa dell’uso di strumenti di pulizia non adeguati, aveva danneggiato irreparabilmente le vetrate dell’abitazione, rendendone quindi necessaria la sostituzione.

Chiedeva pertanto la condanna della stessa Pulinett, a titolo di risarcimento del danno, al pagamento della somma di Euro 22.415,15.

La convenuta, costituendosi, contestava tutti i presupposti fattuali della domanda: incarico, esecuzione della prestazione, origine del danno e nesso causale.

Il tribunale, eseguita l’istruzione mediante prova per testimoni e consulenza tecnica, accoglieva la domanda per importo minore rispetto a quello richiesto.

In particolare, il primo giudice riconosceva che l’attore aveva dato la prova: a) dell’incarico all’impresa per la pulizia dell’immobile dopo la sua ristrutturazione; b) dell’esecuzione della prestazione da parte della impresa; c) dell’insorgenza del danno dopo la fine dei lavori di ristrutturazione; d) della causa del danno, identificata nell’uso, da parte della impresa incaricata, di strumenti di pulizia non adeguati.

Il tribunale fondava la decisione sulla deposizione del coniuge dell’attore, che riteneva attendibile in quanto la stessa trovava riscontro in due documenti esterni: la fattura n. 69/2009 di Euro 543,00, emessa da Pulinett nei confronti di B&B s.r.l., società gestita dal B. (in relazione a tale documento il primo giudice osservava che la esistenza del rapporto in esso documentato rendeva verosimile l’esistenza di un incarico collaterale, conferito dal B. in proprio anche per la pulizia dell’appartamento); la lettera del 20 gennaio 2009, con la quale il direttore dei lavori di ristrutturazione dell’immobile, dopo la ultimazione degli stessi, aveva invitato la Pulinett a denunciare il sinistro. Impugnata la sentenza dalla parte soccombente, la Corte d’appello di Brescia riconosceva che gli elementi valorizzati dal tribunale non erano sufficienti per la prova dei fatti; quindi, in accoglimento dell’appello, rigettava la domanda.

Per la cassazione della sentenza B.M. ha proposto ricorso, sulla base di tre motivi.

La Pulinett ha resistito con controricorso.

La causa, su conforme proposta del relatore, è stata fissata per l’adunanza camerale dinanzi alla sesta sezione civile della Corte.

La ricorrente ha depositato memoria.

Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si denuncia l’omissione di pronuncia sulla eccezione di inammissibilità dell’appello per la mancanza dei requisiti previsti dall’art. 342 c.p.c.

Il motivo è infondato, in forza del principio, pacifico nella giurisprudenza di legittimità, che non è configurabile il vizio di omessa pronuncia su questione processuale (Cass. n. 25154/2018n. 1876/2018).

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello, perchè l’atto di impugnazione dell’avversario non aveva requisiti richiesti dall’art. 342 c.p.c., secondo il significato attribuito alla norma dalla giurisprudenza della Corte di cassazione. Si sottolinea come la stessa corte di merito abbia riconosciuto di avere estrapolato le censure da “un contesto discorsivo” nell’ambito dell’unico motivo d’appello.

Il motivo è infondato.

L’atto di appello deve contenere una parte volitiva, con cui si indicano le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata, e una parte argomentativa, che confuti le ragioni addotte dal primo giudice. L’appello non deve rivestire particolari forme sacramentali, nè contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione (Cass., S.U., 27199/2017).

Nella specie, secondo la sintesi operata nella sentenza impugnata, l’atto di appello della Pulinett conteneva sia la “parte volitiva”, da identificare senza incertezza nella ricostruzione del fatto operata dal primo giudice, sia la parte argomentativa, attraverso l’ampia esposizione delle ragioni per le quali si riteneva errata tale ricostruzione. Ciò posto la censura si risolve in una pura petizione di principio, perchè il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 342 c.p.c., ma non deduce in alcun modo che l’appello non aveva il significato che la corte di merito ha attribuito ad esso; anzi, a sua volta, nell’assolvere al proprio onere, imposto dall’art. 366, comma 1, n. 3, di operare nel ricorso per cassazione “l’esposizione sommaria degli atti di causa”, descrive in sintesi il contenuto dell’impugnazione avversaria in termini del tutto corrispondenti a quelli della sentenza, tanto per la parte volitiva, quanto per quella argomentativa: “la Pulinett proponeva impugnazione con unico motivo nel quale affermava la erroneità della sentenza per aver ritenuto l’instaurazione tra le parti del rapporto contrattuale nel corso del quale sarebbe stato prodotto il danno lamentato (…) In particolare nell’impugnazione si contestava la carenza di prova del rapporto, la genericità del periodo in cui si sarebbe verificato il danno, o la inconsistenza della deposizione la signora C.G., la genericità della stessa, il suo interesse in causa quale moglie dell’attore la serie di presunzione sulle quali si sarebbe fondato il ragionamento del primo giudice”) (pag. 10, 11 ricorso).

In quanto all’ulteriore rilievo mosso con il motivo in esame, cioè che la corte d’appello avrebbe enucleato le censure “in un contesto discorsivo”, esso non fa emerge alcuna anomalia della decisione. I requisiti imposti dall’art. 342 c.p.c. non richiedono infatti “forme sacramentali” (Cass. S.U., n. 27199/2017 cit.).

Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si rimprovera alla corte d’appello di non avere operato una valutazione sintetica e globale delle presunzioni, in violazione delle regole stabilite dalla giurisprudenza di legittimità in materia di ragionamento presuntivo. Precisamente gli indizi rispetto ai quali sarebbe mancata la valutazione globale sono identificati nella fattura emessa da Pulinett nei confronti di B&B s.r.l., nella lettera del 20 gennaio 2009, con la quale il direttore dei lavori di ristrutturazione, dopo la ultimazione degli stessi, aveva invitato la Pulinett a denunciare il sinistro e nella deposizione della teste C..

Il motivo è infondato.

Il principio che impone la valutazione complessiva degli indizi, invero pacifico nella giurisprudenza della Corte, vuol dire che i tre requisiti previsti dall’art. 2729 c.c., della gravità precisione e concordanza, devono essere ricercati in relazione al complesso degli indizi che devono essere come tali sottoposti a una valutazione globale e non possono essere invece riferiti artificiosamente a ciascuno di essi (Cass. n. 5787/2014). Tuttavia, il richiamo a tale principio non giova alla tesi del ricorrente. Infatti, con riferimento alla pluralità degli indizi indicati dal ricorrente, si deve infatti riconoscere, già in linea teorica, che la fattura e la lettera del direttore dei lavori si presterebbero ad essere assunti, quali elementi concorrenti con la deposizione del coniuge dell’attore, esclusivamente nella parte in cui la teste riferisce dell’incarico dato dal marito alla Pulinett per la pulizia dell’appartamento e della esecuzione della prestazione da parte della stessa Pulinett. Quegli stessi elementi sono invece neutri rispetto all’insorgenza del danno dopo la pulizia dell’appartamento e in conseguenza di questa. Tale rilievo vale non solo per la fattura, ma anche per la lettera del direttore dei lavori, che la Corte d’appello ha ritenuto irrilevante in quanto scritta su incarico del B.. Invero il principio della necessità della valutazione globale degli indizi attribuisce al giudice il potere di operare un apprezzamento preventivo finalizzato a vagliare la rilevanza di ciascun indizio e ad individuare quelli ritenuti significativi, destinati a formare oggetto della suddetta valutazione globale, scartando quelli ritenuti privi di rilievo (Cass. n. 12803/2000; n. 9108/2012; n. 5787/2014).

Consegue che, con riferimento all’insorgenza del danno dopo la ristrutturazione dell’appartamento e in conseguenza della pulizia dell’appartamento, “residua (…) la sola deposizione della teste C.G.” (pag. 12 della sentenza impugnata), che la corte d’appello, con valutazione incensurabile in questa sede (Cass. n. 16056/2016; n. 19011/2017), ha ritenuto inattendibile e, quindi, inidonea ad atteggiarsi quale prova di un fatto noto da cui desumere l’ignoto, in presenza della radicale contestazione della controparte.

Pertanto, avuto riguardo al complesso dei fatti costitutivi della domanda, non sussiste pluralità degli indizi, venendo quindi a mancare il presupposto indispensabile della valutazione globale, la cui supposta mancanza è censurata con il motivo in esame.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con addebito di spese.

Ci sono le condizioni per dare atto della ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”.

PQM

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 11 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2020

 

 

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