Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1786 del 26/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 26/01/2011, (ud. 09/12/2010, dep. 26/01/2011), n.1786

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.P.F., elettivamente domiciliata in Roma, via Ippolito

Nievo, n. 61, presso lo studio dell’Avvocato MARZOCCO Ennio, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Domenico De Angelis,

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in Roma, viale Europa n. 175,

presso la propria Direzione Affari Legali, rappresentata e difesa

dall’avv. Ursino Anna Maria, giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1/2006 della Corte d’appello di Campobasso,

depositata in data 11.1.06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

9.12.10 dal Consigliere Dott. Giovanni Mammone;

uditi gli avvocati Picciano per delega Mazzocco e Miceli per delega

Ursino;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L.P.F., premesso di essere stata assunta da Poste Italiane s.p.a. con contratto a termine per il periodo 5.12.98-31.1.99 e che alla scadenza il contratto era stato prorogato sino al 30.8.99 per “esigenze contingenti ed imprevedibili connesse alla complessa fase di riorganizzazione aziendale attualmente in svolgimento”, ritenendo la proroga disposta in violazione della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 2, comma 1, chiedeva al giudice del lavoro di Larino di dichiarare che il rapporto di lavoro a termine si era trasformato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Rigettata la domanda e proposto appello dalla richiedente, la Corte d’appello di Campobasso, con sentenza depositata in data 11.1.06, rigettava l’impugnazione ritenendo corretta la proroga, in quanto giustificata dalla circostanza che la riorganizzazione dell’Azienda alla scadenza del contratto non era conclusa, a causa di difficoltà insorte durante l’esecuzione del programma di ristrutturazione che ne avevano impedito il completamento, dal che erano derivate nelle articolazioni locali esigenze tali da richiedere l’assunzione di personale a termine.

Proponeva ricorso per cassazione L.P.. Rispondeva Poste Italiane con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è fondato.

Preliminarmente deve rigettarsi l’eccezione con cui Poste Italiane deduce l’inammissibilità del ricorso perchè contenente il quesito ex art. 366 bis c.p.c., nonostante la sentenza sia stata depositata prima del 2.3.06, data fissata dal D.Lgs. 2 aprile 2006, n. 40 (art. 27, comma 2) per l’entrata in vigore della nuova norma che prevede la formulazione del quesito.

L’interpretazione degli arri processuali, infatti, spetta al giudice a prescindere dalla tecnica di formulazione del ricorso prescelta dalla parte; pertanto, ove quest’ultima abbia concluso la discussione del motivo di ricorso con la formulazione di un quesito di diritto ratione temporis non richiesto, l’attività interpretativa del giudice potrà liberamente estendersi a tutto il contenuto del ricorso per trame la questione di diritto sollevata (v. tra le altre Cass. 24.7.06 n. 16876).

Tanto premesso, deve rilevarsi che con l’unico motivo parte ricorrente denunzia violazione della L. n. 230 del 1962, art. 2, comma 1, e dell’art. 8 del CCNL per il personale dipendente di Poste Italiane, nonchè carenza di motivazione.

Detta norma di legge, sostiene la ricorrente, espressamente subordina la proroga alla sopravvenienza di esigenze, diverse da quelle in forza delle quali era stata disposta l’assunzione a termine, tali da giustificare il mantenimento del lavoratore del contesto lavorativo.

Nel caso di specie, invece, era emerso che L.P. per tutto il periodo di occupazione (prima e dopo la proroga) era sempre stata addetta alle stesse mansioni di addetta al recapito della corrispondenza o alle operazioni connesse, come risultante dalle dichiarazioni rese dal direttore di filiale e dal contenuto dell’atto scritto con cui veniva disposta la proroga, ove testualmente era precisato che “la sede di lavoro e le mansioni restano immutate poichè la proroga si riferisce alla stessa attività lavorativa per la quale è stato stipulato il contratto precedente”.

Al riguardo deve premettersi che, pur essendo il contratto a termine in esame stipulato in forza dell’art. 8 del CCNL 1994 e pur trovando esso legittimazione nella contrattazione collettiva prevista dalla L. n. 56 del 1987, art. 23, la disciplina della proroga va ricercata nella L. n. 230 del 1962, art. 2, comma 1, – applicabile ratione temporis – non essendo al riguardo richiamata dalle parti alcuna norma di origine pattizia regolatrice dell’istituto.

Deve, inoltre, rilevarsi che costituisce principio costantemente affermato da questa Corte (cfr. Cass. 23.11.06 n. 24886 e Cass. 16.5.05 n. 10140) che ai sensi della L. n. 230 del 1962, art. 2, le circostanze idonee a legittimare la proroga del contratto di lavoro a tempo determinato (il cui onere probatorio grava sul datore di lavoro) devono essere ontologicamente diverse da quelle che hanno giustificato l’originaria apposizione del termine e devono rivestire i caratteri della contingenza e della imprevedibilità, tenendo presente, con riguardo a quest’ultima (da accertarsi alla stregua del criterio della diligenza media osservabile dall’imprenditore), che deve ritenersi prevedibile qualsiasi situazione di cui l’imprenditore possa rappresentarsi l’ulteriore sviluppo secondo l’id quod plerumque accidit.

Alla luce di questo principio, pertanto, il giudice di merito avrebbe dovuto valutare le risultanze dell’istruttoria documentale e testimoniale. A questo compito, invece, il giudice si è sottratto svolgendo una diffusa, quanto generica, disamina dei problemi nascenti dalla ristrutturazione dell’azienda, ignorando i dati di fatto acquisiti in sede probatoria e, soprattutto, non affrontando in maniera soddisfacente il punto essenziale e rilevante della diversità (o meno) delle circostanze che avevano giustificato la proroga del contratto a tempo determinato.

Il ricorso va dunque accolto e l’impugnata sentenza va cassata, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale procederà a nuovo esame facendo applicazione del principio di diritto sopra indicato.

Allo stesso giudice va rimessa la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’appello di Campobasso in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2011

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