Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17853 del 22/07/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 17853 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: VIVALDI ROBERTA

SENTENZA

sul ricorso 2444-2008 proposto da:
FOCOLARI ALESSANDRO FCLLSN41C23H501V, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE CARSO 71, presso lo studio
dell’avvocato ARIETA GIOVANNI, che lo rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro

RIDOLFI

MARIA

RDLMRA45H60F570V,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA BORMIDA, 4, presso lo studio
dell’avvocato AMICI FRANCESCO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;

1

Data pubblicazione: 22/07/2013

- controricorrente –

avverso la sentenza n. 4430/2007 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 25/10/2007, R.G.N. 1759/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/05/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTA

udito l’Avvocato GIOVANNI ARIETA;
udito l’Avvocato FRANCESCO AMICI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine rigetto;

,

2

VIVALDI;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Maria Ridolfi convenne, davanti al tribunale di Roma,
Alessandro Focolari chiedendone la condanna al risarcimento
dei danni subiti per l’illegittima corresponsione di somme di
denaro prive di causa.
accolse la domanda

qualificando l’azione proposta quale indebito arricchimento,
ai sensi dell’art. 2041 c.c, e condannò il convenuto al
pagamento di quanto riscosso indebitamente.
Ad eguale conclusione pervenne la Corte d’Appello che, con
sentenza del 25.10.2007, rigettò l’appello proposto dal
Focolari.
Quest’ultimo ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre
motivi.
Resiste, con controricorso, Maria Ridolfi.
Entrambe le parti hanno anche presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è stato proposto per impugnare una sentenza
pubblicata una volta entrato in vigore il D. Lgs. 15 febbraio
2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile
in materia di ricorso per cassazione; con l’applicazione,
quindi, delle disposizioni dettate nello stesso decreto al
Capo I.
Secondo l’art. 366-bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del
decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena
di inammissibilità, nel modo lì descritto ed, in particolare,
3

Il tribunale, con sentenza del 14.5.2003,

nei casi previsti dall’art.

360,

n.

l),

2),

3)

e 4,

l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la
formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso
previsto dall’art. 360, primo comma, n. 5), l’illustrazione di
ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto

omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la
dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a
giustificare la decisione.
Segnatamente, nel caso previsto dall’art. 360 n. 5 c.p.c.,
l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di
inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso
in relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la renda inidonea a
giustificare la decisione; e la relativa censura deve
contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di
diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera
da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del
ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (S.U.
1.10.2007 n. 20603; Cass. 18.7.2007 n. 16002).
Il quesito, al quale si chiede che la Corte di cassazione
risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di
diritto che risolva il caso in esame, poi, deve essere
formulato, sia per il vizio di motivazione, sia per la
violazione di norme di diritto, in modo tale da collegare il
4

controverso in relazione al quale la motivazione si assume

vizio denunciato alla fattispecie concreta ( v. S.U. 11.3.2008
n. 6420 che ha statuito l’inammissibilità – a norma dell’art.
366 bis c.p.c. – del motivo di ricorso per cassazione il cui
quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere
generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo

fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta
utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non
potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo od
integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale
abrogazione del suddetto articolo).
La funzione propria del quesito di diritto – quindi

è quella

di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura
del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della
questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal
giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del
ricorrente, la regola da applicare (da ultimo Cass.7.4.2009 n.
8463; v, anche S.U. ord. 27.3.2009 n. 7433).
Inoltre, l’art. 366 bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di
formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso
stesso -, una diversa valutazione, da parte del giudice di
legittimità, a seconda che si sia in presenza dei motivi
previsti dai numeri 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360, primo comma,
c.p.c., ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa
disposizione.
5

della controversia e sulla sua riconducibilità alla

Nel primo caso ciascuna censura

– come già detto – deve,

all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di
diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va
funzionalizzata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c.,
all’enunciazione del principio di diritto, ovvero a

dicta

importanza.
Nell’ipotesi, invece, in cui venga in rilievo il motivo di cui
al n. 5 dell’art. 360 c. p.c.c. (il cui oggetto riguarda il
solo

iter

argomentativo della decisione impugnata), è

richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità
formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e
sintetica del fatto controverso ( cd. momento di sintesi) – in
relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta
insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la
decisione (v. da ultimo Cass. 25.2.2009 n. 4556; v. anche
Cass. 18.11.2011 n. 24255).
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa
applicazione dell’art. 2041 c.c., anche in relazione
all’assenza di legittimazione passiva ad agire del soggetto
contro il quale la domanda è diretta (art. 360, comma l, n. 3,
c.p.c.).
Il quesito è del seguente tenore: ” Dica l’Ecc.ma Corte di
Cassazione se l’azione di arricchimento senza causa di cui
all’art. 2041 c.c. può essere esercitata quando il soggetto
6

giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare

che si è arricchito, convenuto in giudizio con la predetta
azione, è diverso da quello con il quale chi compie la
prestazione ha un rapporto diretto (nella specie l’azione era
stata proposta nei confronti del soggetto che si era
asseritamente arricchito, dichiaratamente assumendosi la

Il motivo è inammissibile, al di là della genericità del
quesito, per avere censurato una sola ratio decidendi,
più indicata ad abundantiam,

per di

cioè la motivazione alternativa.

La Corte di merito, infatti, dapprima ha confermato le
conclusioni cui era pervenuto il primo giudice in ordine
all’insussistenza di un qualsiasi rapporto causale tra la
Ridolfi, che aveva emesso gli assegni, ed Avio Focolari,
individuando, nell’attuale ricorrente, l’effettivo percettore
degli assegni e delle relative somme (pagg. 5-6 della
sentenza).
La motivazione sull’esperibilità dell’azione di arricchimento
ad abundantiam, (

senza causa è stata adottata

v. pag. 6

sentenza), con l’evidente difetto di incidenza sulla decisione
emessa.
Per non costituire ratio decidendi della sentenza, il motivo
di ricorso per cassazione che censuri una tale argomentazione
svolta

ad abundantiam,

è inammissibile ( da ultimo Cass.

22.11.2010 n. 23635; Cass. 16.9.2010 n. 19588).
In ogni caso, la sentenza non si pone in contrasto con
principi affermati dalla Corte di legittimità, limitandosi a

7

diversità tra quest’ultimo ed il destinatario dei pagamenti)”.

rilevare che tali principi non si applicano nel caso in esame,
posto che non sussiste alcun rapporto trilaterale per essere,
invece, il rapporto diretto fra depauperato ed arricchito.
Rileva infatti, la Corte di merito che

Tra l’apparente

percettore Avio Focolari e la RIDOLFI non vi era alcun

dell’obbligazione di Alessandro FOCOLARI consiste nel
versamento di denaro effettuato in suo favore senza causa”
(pag. 6 della sent.).
Con il secondo motivo si denuncia

violazione e falsa

applicazione dell’art. 112 c.p.c., anche in relazione agli
artt. 163 e 345 c.p.c. e 2041 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3,
c.p.c.).
Il quesito è del seguente tenore:” Dica l’Ecc.ma Corte di
Cassazione se incorre nella violazione del principio della
corrispondenza tra chiesto e pronunciato il giudice che,
esorbitando dai limiti della mera qualificazione giuridica
della domanda, sostituisca la causa petendi dedotta in
giudizio con una differente causa petendi (nella specie, il
Giudice del merito ha qualificato come domanda di
arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. una domanda di
risarcimento del danno, articolata dall’attore, anche col
richiamo alla fattispecie normativa dell’art. 2043 c.c.,
contro il destinatario mediato dei pagamenti asseritamente
eseguiti senza causa)”.
Il motivo non è fondato.
8

rapporto giuridicamente apprezzabile, e il fatto costitutivo

Invero, si legge nella parte espositiva della sentenza
impugnata che l’attrice nel giudizio di primo grado
chiedeva_ il risarcimento di tutti i danni sofferti consistiti
nella indebita corresponsione al FOCOLARI della suddetta somma
e nel relativo proprio depauperamento, nonché nella

stante la indubbia configurabilità degli estremi di

una o più fattispecie penalmente rilevanti; che, comunque, il
FOCOLARI, in quanto indebitamente arricchitosi, doveva essere
tenuto ad indennizzare l’attrice dalla correlativa diminuzione
patrimoniale patita”.
Ne deriva che le domanda proposta era fondata su due
presupposti.
In base al primo, l’attrice chiedeva il risarcimento del danno
patrimoniale e morale; sulla base del secondo, invece,
l’indennizzo per le somme versate.
Non si tratta, pertanto, come sostiene il ricorrente, di
interpretazione, ma di accoglimento della domanda formulata in
via gradata, la cui proponibilità, nel giudizio di primo grado
ed via subordinata, è pienamente consentita.
D’altro canto, in via di ipotesi, anche se si fosse trattato
di una qualificazione giuridica data dal giudice del merito,
nessuna violazione dell’art. 112 c.p.c. quest’ultimo avrebbe
commesso.
Il giudice ha, infatti, il potere – dovere di qualificare
giuridicamente l’azione, e di attribuire al rapporto dedotto
in giudizio un nomen juris diverso da quello indicato dalle

9

doloris

pecunia

parti, purchè non sostituisca la domanda proposta con una
diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una
realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio tra le
parti (Cass. 3.8.2012 n. 13945; Cass. 17.11.2010 n. 23215;
Cass. 17.7.2007 n. 15925).

state proposte le domande, erano gli stessi fin dall’inizio;
e su tali fatti si era svolto il contraddittorio.
Con il terzo motivo si denuncia

violazione e falsa

applicazione dell’art. 2041 c.c., anche in relazione all’art.
112 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).0messa
motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360,
comma 1, n. 5, c.p.c.).
Il quesito posto è il seguente: ” Dica l’Ecc.ma Corte di
Cassazione se l’azione generale di arricchimento
ingiustificato ex art. 2041 c.c. avendo natura residuale e
sussidiaria, può essere sperimentata in presenza di un titolo
specifico sul quale possa essere fondato il diritto di credito
e di una conseguente azione da esperire ( nella specie il
Giudice del merito ha ritenuto ammissibile l’azione ex art.
2041 c.c., pur potendo l’attore astrattamente proporre
l’azione di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c.) “.
Il motivo non è fondato.
La Corte di merito, in ciò confermando le conclusioni cui era
pervenuto il primo giudice, con accertamento di fatto che congruamente motivato come nella specie – non è censurabile in
10

Ma, nel caso in esame, i fatti allegati, sulla cui base erano

sede di legittimità, ha ritenuto che l’effettivo destinatario
dei pagamenti fosse Alessandro Focolari, mentre tra Avio
Focolari e Maria Ridolfi non era intercorso alcun rapporto.
Ha, infatti sul punto accertato ” che la ricostruzione della
vicenda alla stregua delle risultanze processuali conduce a

tempo in contatto con la RIDOLFI a causa dell’incarico di
direttore commerciale del quotidiano di cui l’impresa curava
la distribuzione, e non Avio, del quale, al di là della
sporadica presenza presso l’azienda, non è emerso alcun
rapporto significativo con la RIDOLFI “.
Aggiungendo: ” Tale conclusione è confermata all’evidenza
dalla circostanza che, essendo stato chiuso il conto corrente
di Avio, questi girò tutti gli assegni ricevuti dalla RIDOLFI
nel periodo gennaio 1991 – giugno 1993 al proprio fratello
Alessandro, il quale li incassò o li versò sul proprio conto
corrente”.
Le conclusioni così adottate rendono, quindi, del tutto
ininfluente la censura mossa dal ricorrente per
t qualificato la domanda attorea

ex

avere

art. 2041 c.c., pur

essendovi altra tipica azione astrattamente esperibile, e cioè
quelle di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c.”.
L’azione di ripetizione di indebito oggettivo, di cui all’art.
2033 c.c., rappresenta un’azione restitutoria e non
risarcitoria

a

carattere

personale,

che

riflette

l’obbligazione intercorrente tra il solvens ed il destinatario
11

ritenere che beneficiario dei versamenti fosse Alessandro, da

del pagamento privo di

causa adquirendi

(Cass. 6.4.2011 n.

7871; Cass. 19.7.2004 n. 13357).
Postula, quindi, che tra il

solvens e l’accipiens sussista un

rapporto contrattuale o, comunque, obbligatorio, nell’ambito

Cass. 15.7.2011 n. 15669; S.U. 2.12.2010 n. 24418).
Che è ciò che la Corte di merito ha escluso nel caso in esame,
ritenendo che fra la Ridolfi ed Avio Focolari non era
intercorso alcun ” significativo rapporto”.
Conclusivamente, il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in
dispositivo, sono poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento delle spese che liquida in complessivi C 4.200,00,
di cui C 4.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.
Così deciso il 14 maggio 2013 in Roma, nella camera di
consiglio della terza sezione civile della Corte di
cassazione.

Il Con

re Estensore

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DEPOSITATO 11 CANCELLERiA

2 2 -1;

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CORTESUPREMADICASSMONE
Si attesta la registrazione presso

del quale sia intervenuto il pagamento senza titolo (v. anche

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