Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1785 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 28/01/2021, (ud. 05/11/2020, dep. 28/01/2021), n.1785

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21103-2019 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DEI COLLI

PORTUENSI 536, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA LUISA

REVELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato SARA MARIA MUZIO;

– ricorrente –

contro

D.O.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 461/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata l’01/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

SCALLA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. B.G. ricorre con tre motivi per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata con cui la Corte di appello di Milano, in parziale accoglimento dell’impugnazione dalla prima proposta avverso la sentenza del Tribunale di Sondrio del 21 marzo 2017 – che aveva dichiarato la separazione personale tra la ricorrente ed il coniuge, D.O., con addebito alla prima e rigetto delle domande di natura economica – ha modificato la disciplina delle spese di lite di primo grado, che ha parzialmente compensato nella misura di un terzo, nel resto confermando le statuizioni di primo grado.

2. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 156 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La Corte di appello aveva addebitato la separazione alla ricorrente per essersi costei allontanata dalla casa coniugale e tanto aveva fatto in violazione del principio affermato da questa Corte di cassazione con la sentenza n. 25966 del 2016 secondo il quale, si deduce in ricorso, il coniuge che richieda pronuncia di addebito della separazione ha l’onere di provare il rapporto di causalità tra la violazione imputata e l’intollerabilità della convivenza, gravando invece sull’altra parte la prova della giusta causa.

Il motivo è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, poichè il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame della proposta censura non offre elementi per mutarne l’orientamento.

Per costante indirizzo di legittimità, il volontario abbandono del domicilio familiare da parte di uno dei coniugi, costituendo violazione del dovere di convivenza, è di per sè sufficiente a giustificare l’addebito della separazione personale, a meno che non risulti provato che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge o sia intervenuto in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile ed in conseguenza di tale fatto (da ultimo: Cass. 15/01/2020 n. 648).

Nel giudizio di separazione personale la distribuzione dell’onere della prova vuole che la parte che promuove domanda di addebito deve provare l’allontanamento dal domicilio coniugale dell’altra che, a sua volta, per evitare l’addebito deve provare che l’allontanamento sia conseguenza della già intervenuta intollerabilità della prosecuzione della convivenza. Per la pronuncia di addebito nella separazione è necessaria infatti non solo la violazione degli obblighi tra i coniugi nascenti dal matrimonio, ai sensi dell’art. 143 c.c., ma pure quella di uno stretto rapporto di causalità tra tale violazione e l’elemento della intollerabilità della convivenza (Cass. 9074 del 2011; Cass. 2059 del 2012).

La sentenza richiamata in ricorso, la n. 25966 del 15/12/2016, non vale ad affermare un diverso principio.

Piuttosto, in quella occasione questa Corte di cassazione ha invece sostenuto che l’allontanamento del coniuge dalla casa coniugale, se non assistito da una giusta causa, costituisce violazione dell’obbligo di convivenza e che in tal caso il richiedente non è tenuto neppure a provare il rapporto di causalità tra la violazione e l’intollerabilità della convivenza e che è invece l’altra parte a dover provare la giusta causa dell’allontanamento (dovuta ad un comportamento negativo dell’altro coniuge o ad un accordo tra i coniugi destinati a dar vita ad una separazione di fatto in attesa di successiva formalizzazione).

3. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente fa valere l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1.

La Corte territoriale aveva omesso di valutare se il comportamento ascritto, rispetto al quale era mancato l’accertamento della irreversibilità, potesse essere qualificato come abbandono e tanto avendo la ricorrente comunque mantenuto un rapporto con i figli, a cui aveva lasciato il nuovo recapito telefonico una volta lasciata la casa coniugale.

Il motivo è inammissibile perchè manca di segnalare a questa Corte di cassazione, della dedotta circostanza in fatto (ovverosia l’avere mantenuto la ricorrente un rapporto, attraverso contatti telefonici, con i propri figli), la decisività ai fini di una diversa determinazione di merito in punto di addebitabilità della separazione.

4. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contestando la regolamentazione delle spese di lite che erano state compensate per un terzo in primo grado e per un quarto in secondo grado.

Il motivo è manifestamente fondato.

Ed infatti nel provvedimento impugnato due sono i principi di diritto consolidati che risultano essere stati violati.

Il primo, secondo cui in materia di liquidazione delle spese giudiziali, il giudice dell’impugnazione, allorchè riformi in tutto o in parte il provvedimento impugnato, è tenuto a provvedere, anche d’ufficio, ad un nuovo regolamento di dette spese alla stregua dell’esito complessivo della lite (ex multis, Cass. 17 settembre 2019, n. 23123; Cass. 29 ottobre 2019, n. 27606; Cass. 24405 del 2020).

Il secondo, saldo nelle affermazioni di questa Corte, secondo cui, in caso di accoglimento parziale della domanda, il giudice può, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ma questa non può essere condannata neppure parzialmente a rifondere le spese della controparte, nonostante l’esistenza di una soccombenza reciproca per la parte di domanda rigettata o per le altre domande respinte, poichè tale condanna è consentita dall’ordinamento solo per l’ipotesi eccezionale di accoglimento della domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa (Cass. 24 ottobre 2018, n. 26918; Cass. 24405 del 2020, fra le altre).

5. Conclusivamente va dichiarata l’inammissibilità del primo e secondo motivo ed in accoglimento del terzo la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Milano, in altra composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

PQM

Dichiara inammissibili il primo e secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia davanti alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

 

 

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