Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17844 del 26/08/2020

Cassazione civile sez. II, 26/08/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 26/08/2020), n.17844

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19623-2019 proposto da:

M.I., elettivamente domiciliato in Brescia, via Vittorio

Emanuele II n. 109 presso lo studio dell’avv.to MASSIMO GILARDONI

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

PROCURA GENERALE CORTE CASSAZIONE;

– intimata –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato il

10/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/02/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Brescia, con decreto pubblicato il 10 maggio 2019, respingeva il ricorso proposto da M.I., cittadino del Senegal, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. Il Tribunale respingeva la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), poichè il racconto del richiedente non era attendibile a causa della sua incongruenza ed implausibilità.

In ogni caso, il richiedente aveva lasciato il villaggio di origine si era ricostruito una vita in altri luoghi senza più ricevere minacce e aggressioni da parte degli asseriti agenti persecutori, peraltro rappresentate dai suoi familiari. Parimenti non era fondato il timore di essere arruolato dai ribelli. Ciò contrastava con le formazioni disposizione del tribunale circa l’attività di reclutamento di assassinio della popolazione civile della Casamance da parte dei ribelli di tale regione. Oltre ad essere smentito dalle fonti, il racconto del richiedente era estremamente generico e vago in ordine alla temuta minaccia dei ribelli, tanto da far ritenere non genuino l’asserito pericolo di danno grave allegato. Il richiedente non era stato in grado di circostanziare le aggressioni dei ribelli alla propria famiglia e al proprio villaggio.

Parimenti, non erano integrati i presupposti per l’accoglimento della domanda di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c). Infatti, sulla base delle fonti internazionali il Senegal non poteva ritenersi un paese soggetto ad una violenza generalizzata o nel quale potesse ritenersi in atto un conflitto armato.

Doveva, infine, respingersi la domanda di rilascio di un permesso per motivi umanitari non emergendo alcuna situazione di vulnerabilità infatti anche a prescindere dall’inattendibilità del ricorrente doveva osservarsi che mancavano i presupposti per il riconoscimento di tale protezione tanto quelli soggettivi che quelli oggettivi. Il richiedente godeva di buona salute e aveva una capacità lavorativa, La volontà di inserimento nel contesto sociale del paese ospitante non poteva essere elemento da solo idoneo a giustificare il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, non delineando di per se stesso una situazione di non vulnerabilità o la necessità di tutela dei diritti umani fondamentali. La situazione dello stato di provenienza del richiedente non presentava criticità tali sotto il profilo del rispetto dei diritti fondamentali della persona da determinare a una vera e propria emergenza umanitaria generalizzata.

3. M.I. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Preliminarmente il ricorrente chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, n. 37, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., comi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che il procedimento definito con decreto non sia reclamabile.

In sostanza il ricorrente ritiene che sia costituzionalmente illegittimo non aver previsto un secondo grado di merito, previsto nella quasi totalità delle controversie civili. Peraltro, nella richiesta di protezione internazionale l’accertamento del fatto costituisce il punto critico essenziale del procedimento tanto che la direttiva n. 32/2013UE pone a carico del giudice uno specifico onere di collaborazione nella ricerca di riscontri in merito alle dichiarazioni del ricorrente. Invece nel procedimento in cassazione non è ammesso l’esame del fatto.

1.1 Le argomentazioni svolte dal rimettente circa l’eccezione di costituzionalità in riferimento agli artt. 3,24 e 111 Cost., del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis nella parte in cui non ha previsto la possibilità di proporre reclamo avverso il decreto del Tribunale sono del tutto prive di fondamento.

Questa Corte in materia di protezione internazionale ha già affermato che: “E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile in quanto è necessario soddisfare esigenze di celerità, non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione” Sez. 1, Ord. n. 27700 del 2018.

In tale occasione si è osservato che il principio del doppio grado che come si è detto è privo di copertura costituzionale (ex plurimis Corte Cost. 22 giugno 1963, n. 110; Corte Cost. 23 aprile 1965, n. 36; Corte Cost. 4 luglio 1977, n. 125; Corte Cost. 15 aprile 1981, n. 62; Corte Cost. 21 4 luglio 1983, n. 224; Corte Cost. 7 marzo 1984, n. 52; Corte Cost. 29 marzo 1984, n. 78; Corte Cost. 22 novembre 1985, n. 299; Corte Cost. 18 luglio 1986, n. 200; Corte Cost. 31 dicembre 1986, n. 301; Corte Cost. 26 gennaio 1988, n. 80; Corte Cost. 31 marzo 1988, n. 395; Corte Cost. 14 dicembre 1989, n. 543; Corte Cost. 3 ottobre 1990, n. 433; Corte Cost. 23 dicembre 1994, n. 438) non opera, in una pluralità di ipotesi, già nel procedimento di cognizione ordinaria, e ciò non soltanto nel caso delle controversie destinate a svolgersi in unico grado, ma anche in quelle di regola sottoposte a tale principio, come nel caso della nullità della sentenza di primo grado, nelle numerosissime ipotesi estranee alla previsione degli artt. 353 e 354 c.p.c., in cui il giudice di appello deve, per la prima volta in tale sede, decidere il merito della controversia; nel caso della (fondata) denuncia in appello del vizio di omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado; nel caso della domanda correttamente non esaminata dal primo giudice perchè dichiarata assorbita; nel caso del ricorso per cassazione per saltum, e in altre numerose ipotesi. A maggior ragione il legislatore può sopprimere l’impugnazione in appello al fine di soddisfare specifiche esigenze, massime quella della celerità (basti considerare, a mero titolo di esempio, le diverse ipotesi in cui l’appello è escluso nel giudizio fallimentare), esigenza quest’ultima intuitivamente decisiva per i fini del riconoscimento della protezione internazionale. Con specifico riguardo alla protezione internazionale, poi, se per un verso non può mancare di considerarsi il rilievo primario del diritto in contesa, deve per altro verso sottolinearsi, ai fini della verifica della compatibilità costituzionale della eliminazione del giudizio di appello, che il ricorso in esame è preceduto da una fase amministrativa, destinata a svolgersi dinanzi ad un personale dotato di apposita preparazione, nell’ambito del quale l’istante è posto in condizioni di illustrare pienamente le proprie ragioni attraverso il colloquio destinato a svolgersi dinanzi alle Commissioni territoriali, di guisa che la soppressione dell’appello si giustifica anche per il fatto che il giudice è chiamato ad intervenire in un contesto in cui è stato già acquisito l’elemento istruttorio centrale – per l’appunto il detto colloquio – per i fini dello scrutinio della fondatezza della domanda di protezione, il che concorre a far ritenere superfluo il giudizio di appello.

Ne consegue che l’opzione del legislatore processuale secondo la quale le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti della Commissione territoriale di rigetto o di revoca dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria o umanitaria devono svolgersi in un unico grado di merito con facoltà per l’interessato di impugnare il provvedimento davanti alla Corte di cassazione è pienamente legittima ed è giustificata da evidenti esigenze di speditezza e semplificazione che giustificano anche l’adozione del rito camerale.

Deve, infine, richiamarsi il principio costantemente affermato dalla Corte Costituzionale secondo cui in tema di disciplina del processo e di conformazione degli istituti processuali il legislatore dispone di un’ampia discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute (ex plurimis: sentenze n. 17 del 2011; n. 229 e n. 50 del 2010; n. 221 del 2008; ordinanze n. 43 del 2010, n. 134 del 2009, n. 67 del 2007);

La ragionevolezza della soluzione adottata dal legislatore evidenzia la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità non sussistendo in alcun modo quel livello di manifesta irragionevolezza od arbitrarietà che unicamente consente di rimettere alla Corte Costituzionale la questione relativa all’esercizio della discrezionalità legislativa in tema di disciplina di istituti processuali (ex plurimis, ordinanze n. 138 del 2012, n. 141 del 2011).

1.2 Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

A parere del ricorrente, nel caso di specie, sussisterebbe la minaccia grave e individuale alla vita alla persona derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno e internazionale. Il tribunale, invece, senza attivare il potere istruttorio ufficioso e basandosi solo sulla credibilità del richiedente avrebbe rigettato la domanda ingiustificatamente.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, avuto riguardo alle condizioni legittimante rilascio del permesso umanitario.

La Corte d’Appello non avrebbe compiuto il dovuto accertamento sulla condizione di vulnerabilità e non avrebbe operato correttamente il bilanciamento tra il grado di inserimento sociale raggiunto dal richiedente e la sua condizione di provenienza, avuto riguardo al diritto di condurre una vita dignitosa.

2.1 I due motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). Il Tribunale ha esaminato, richiamando varie fonti di conoscenza, la situazione generale del paese di provenienza del ricorrente, precisando che, in base alle fonti, deve escludersi una situazione di violenza indiscriminata in conflitto armato.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del Senegal, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile (Cass. n. 14283/2019, a meno che la non credibilità investa il fatto stesso della provenienza da un dato Paese). Invece l’esercizio di poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva, in relazione alle fattispecie previste dal citato art. 14, lett. a) e b), si impone solo se le allegazioni di costui al riguardo siano specifiche e credibili, il che non è nella specie, per quanto già detto.

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

La pronuncia impugnata, dunque, risulta del tutto conforme ai principi di diritto espressi da questa Corte, atteso che quanto al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, esso può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa.

4. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100 più spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2020

 

 

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