Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17841 del 03/07/2019

Cassazione civile sez. I, 03/07/2019, (ud. 21/06/2019, dep. 03/07/2019), n.17841

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 29538/2018 r.g. proposto da:

D.M., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avvocato

Alessandra Ballerini, con cui elettivamente domicilia in Roma, al

Viale dell’Università n. 11, presso lo studio dell’Avvocato

Emiliano Benzi;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO di GENOVA, depositata il

27/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/06/2019 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. D.M. ricorre per cassazione, affidandosi ad un motivo, avverso la sentenza della Corte di appello di Genova n. 1242/2018, reiettiva del gravame da lui proposto contro la decisione del Tribunale della stessa città che, – al pari di quanto già fatto dalla Commissione territoriale – aveva respinto la sua domanda di protezione internazionale o di riconoscimento di quella umanitaria. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte, tenuto conto della narrazione del richiedente, giudicata inverosimile e non credibile, e della concreta situazione socio-politica del suo Paese di provenienza (Senegal), ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione invocata.

2. Il formulato motivo di ricorso è rubricato “violazione dell’art. 2 Cost. e dell’art. 11 del Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1966 (ratificato con L. n. 881 del 1977); violazione dell’art. 8 CEDU in relazione, in particolare, all’art. 5, comma 6, del T.U. Immigrazione; violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32, nonchè la violazione dell’art. 19 del T.U. immigrazione. Omesso esame della domanda di protezione umanitaria”. Con esso, il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento della protezione umanitaria, assumendo che la corte distrettuale non avrebbe correttamente inquadrato l’istituto, il quale, secondo la lettura offerta dalla giurisprudenza di legittimità, concerneva un catalogo aperto di situazioni soggettive (come i motivi di salute, di età, familiari) oppure oggettive, relative al Paese di provenienza, come grave instabilità politica ed economica, violenza, insufficiente rispetto dei diritti umani, carestie, disastri naturali, povertà estrema. Si sarebbe omesso, inoltre, di considerare la situazione di oggettiva vulnerabilità dovuta all’attuale realtà politica, economica e sociale del suo Paese di origine.

3. Premettendosi che la corte genovese ha specificamente esaminato e respinto la domanda di riconoscimento di protezione umanitaria dell’odierno ricorrente, sicchè il suo lamentato “omesso esame” è palesemente destituito di fondamento, la riportata doglianza non merita accoglimento.

3.1. Giova, invero, premettere che, come ribadito, ancora recentemente, da Cass. n. 252 del 2019 (cfr. in motivazione, anche la più recente Cass. n. 9651 del 2019), la protezione umanitaria – secondo i parametri normativi stabiliti dall’art. 5, comma 6; T.U. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2 e D.Lgs.n. 251 del 2007, art. 32 – è una misura atipica e residuale, nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (cfr. Cass. n. 23604 del 2017). A tale fine, peraltro, non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, dovendo il riconoscimento di tale diritto allo straniero fondarsi su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza.

3.2. Nel caso concreto, la corte distrettuale, premessa la valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni delle odierno ricorrente (senza che, in parte qua, la sua decisione sia stata specificamente ed efficacemente impugnata secondo quanto, in proposito, precisato da Cass. n. 3340 del 2019), ha escluso l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento (anche) della invocata protezione umanitaria considerando che “… pur in presenza di uno sforzo di integrazione da parte del richiedente, non possono assumere rilievo “le buone prospettive di integrazione in Italia in mancanza del diritto di soggiornarvi”, mentre anche l’eventuale prestazione di attività lavorativa non può, di per sè ed automaticamente, giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria proprio in quanto la migrazione di carattere economico, in particolare l’ingresso in Italia per motivi di lavoro ed il rilascio del relativo permesso di soggiorno, sono regolamentati dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 3-bis e dal titolo III del medesimo T.U.: in altre parole, il permesso per motivi umanitari non può costituire lo strumento per aggirare l’applicazione di tale normativa (cfr. Cass. 26641 del 2016). In ogni caso, l’appellante non ha dedotto di essere in precarie condizioni di salute, nè di avere legami familiari in Italia” (cfr. pag. 5-6 della sentenza impugnata).

3.2.1. Oggi, invece, D.M. insiste, nel motivo di ricorso in esame, sulla specifica situazione del Senegal, descritto come in condizioni di grave ed oggettiva difficoltà economica, sicchè un suo rimpatrio ivi gli pregiudicherebbe la possibilità di esercitare i diritti fondamentali. Egli, tuttavia, non ha dedotto alcunchè quanto alla specifica lesione della sfera dei propri diritti personalissimi, limitandosi ad affermazioni affatto generiche e ad un richiamo, altrettanto laconico, al rischio di subire nuove violenze (profilo, quest’ultimo, rispetto al quale risulterebbe comunque insuperabile l’accertamento del giudice di merito, il quale ha motivatamente escluso la credibilità della narrazione del richiedente circa le asserite ragioni di pericolo da lui denunciate). Il ricorrente, inoltre, assume che, nella valutazione delle condizioni di vulnerabilità, non potrebbe mancare anche un’attenta considerazione delle sofferenze e dei traumi da lui patiti in Libia, Paese in cui era transitato prima di giungere in Italia.

3.3. Orbene, come affermato, ancora di recente, da Cass. n. 231 del 2019 (e successivamente ribadito da Cass. n. 9651 del 2019), il tema della generale violazione dei diritti umani nel Paese di provenienza costituisce senz’altro un necessario elemento da prendere in esame nella definizione della posizione del richiedente: tale elemento, però, deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale dell’istante, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 2007, art. 5, comma 6, che nel predisporre uno strumento duttile quale il permesso umanitario, demanda al giudice la verifica della sussistenza dei “seri motivi” attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso, quali, ad esempio, le ragioni che indussero lo straniero ad abbandonare il proprio Paese e le circostanze di vita che anche in ragione della sua storia personale, egli si troverebbe a dover affrontare nel medesimo Paese, con onere in capo al medesimo quantomeno di allegare i suddetti fattori di vulnerabilità. Infatti, la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. n. 19197 del 2015), altresì ricordandosi che la carenza del quadro assertivo (nella specie in ragione della sua evidente genericità) nemmeno giustifica la spendita, da parte dello stesso, dei poteri istruttori officiosi a lui assegnati nel giudizio vertente sulle diverse forme del diritto di asilo (poteri che, del resto, proprio in ragione della indeterminatezza della condizione di vulnerabilità dell’istante, non si sarebbe saputo ove indirizzare). Chiarissima è, sul punto, anche la più recente giurisprudenza di legittimità, a tenore della quale il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” va inteso nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalla più recente Cass. n. 9842 del 2019).

3.3.1. In definitiva, la corte ligure ha evidenziato, alla stregua delle acquisite informazioni, l’assenza di criticità nel Paese di provenienza del richiedente (il cui racconto, peraltro, nemmeno ha ritento attendibile) ed ha escluso sue situazioni di vulnerabilità soggettiva, e siffatte situazioni non possono tout court identificarsi in ragioni di natura economica, alle quali sostanzialmente allude il ricorrente, occorrendo, invece, che la condizione di vulnerabilità sia l’effetto della grave violazione dei diritti umani subita nel Paese di provenienza, in conformità del disposto degli artt. 2, 3 e 4 CEDU (cfr. Cass. n. 28015 del 2017 e Cass. n. 26641 del 2016, entrambe richiamate, in motivazione, nella più recenti Cass. n. 32060 del 2018 e Cass. n. 9651 del 2019).

3.3.2. Il ricorrente, infine, nemmeno ha specificamente indicato ragioni di rilevanza dell’accertamento della situazione della Libia, Paese in cui era transitato prima di giungere in Italia, non essendo questo il suo Paese di origine e, dunque, di rimpatrio del richiedente protezione internazionale (cfr. Cass. n. 9302 del 2018, in motivazione).

3.4. La censura de qua va, pertanto, disattesa, nè miglior sorte ad essa toccherebbe, eventualmente, alla stregua del testo del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, come recentemente modificato dal D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018, non recando la prospettazione dell’odierno motivo di ricorso alcun riferimento alle specifiche previsioni di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, commi 1 e 1.1, come modificato dal citato D.L. n. 113 del 2018.

4. Il ricorso, dunque, va respinto, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese del giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, altresì rilevandosi che, rinvenendosi in atti la prova dell’avvenuta ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, dagli, non può trovare applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2019

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