Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17839 del 26/08/2020

Cassazione civile sez. II, 26/08/2020, (ud. 22/01/2020, dep. 26/08/2020), n.17839

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20536-2019 proposto da:

B.M., rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO

BONATESTA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 47/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 07/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/01/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. B.M., cittadino del Gambia chiese alla Commissione Territoriale di Bologna, Sezione Distaccata Forlì- Cesena, il riconoscimento della domanda di protezione internazionale nella forma del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del diritto di rilascio di un permesso umanitario.

1.1. La domanda venne rigettata in sede amministrativa; il provvedimento di diniego venne confermato in primo grado ed in appello, con sentenza della Corte d’Appello di Bologna del 7.1.2019.

2.Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso B.M. sulla base di quattro motivi.

2.11 Ha resistito con controricorso il Ministero dell’interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza di primo grado per violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c. e art. 161 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto nel dispositivo dell’ordinanza di primo grado sarebbe stato indicato un nominativo diverso da quello del ricorrente.

1.1.Il motivo è inammissibile sotto diversi profili.

1.2. In primo luogo, il ricorrente censura l’ordinanza del giudice di primo grado e non la sentenza d’appello che ad essa si sostituisce.

1.3. In secondo luogo, la doglianza investe il nominativo indicato nel dispositivo ma non la corretta individuazione della parte, come risultante dall’epigrafe e dalla motivazione.

1.4. Non sussiste, pertanto, la dedotta nullità della sentenza che va ravvisata quando vi sia incertezza circa i soggetti ai quali la decisione si riferisce, e non anche se dal contesto della sentenza risulti con sufficiente chiarezza la loro identificazione, dovendosi, in tal caso, considerare l’omissione come un mero errore materiale, che può essere corretto con la procedura prevista dagli artt. 287 e 288 c.p.c. (Cassazione civile sez. II, 20/03/2015, n. 5660).

2.Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 2 e dell’art. 14, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 poichè la corte di merito avrebbe tratto l’insussistenza di una condizione di violenza generalizzata in Gambia dall’assenza di credibilità del ricorrente, senza svolgere alcuna indagine sulla situazione del Paese d’origine.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2.La domanda di protezione sussidiaria richiede la specifica allegazione, non reticente, ossia esaustiva, e credibile, nei termini prima illustrati, delle circostanze che ne legittimano l’accoglimento: condanna a morte, tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante, minaccia grave e individuale alla vita derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. Qualora il richiedente invochi l’esistenza di uno stato di diffusa e indiscriminata violenza nel Paese d’origine, l’attenuazione del principio dispositivo, cui si correla l’attivazione dei poteri officiosi integrativi del giudice del merito, opera esclusivamente sul versante della prova, non su quello dell’allegazione; ne consegue che il ricorso per cassazione deve allegare il motivo che, coltivato in appello secondo il canone della specificità della critica difensiva ex art. 342 c.p.c., sia stato in tesi erroneamente disatteso, restando altrimenti precluso l’esercizio del controllo demandato alla Suprema Corte anche in ordine alla mancata attivazione dei detti poteri istruttori officiosi (Cassazione civile sez. I, 17/05/2019, n. 13403).

2.3. Nel caso di specie, nessuna allegazione è stata offerta dal ricorrente, sicchè il motivo di ricorso è viziato di genericità.

3.Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per gravi ragioni umanitarie sarebbe stata rigettata senza valutare il grado di integrazione sociale del ricorrente e le condizioni del Paese d’origine.

3.1. Il motivo è inammissibile.

3.2.Esso difetta di specificità in quanto non viene allegato il percorso di integrazione nel paese di destinazione nè le condizioni del Paese di provenienza, presupposti necessari su cui si fonda la protezione umanitaria.

3.3. L’orientamento di questa Corte (inaugurato da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, seguita, tra varie, da Cass. 19 aprile 2019, n. 11110 e da Cass. n. 12082/19/) assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale.

3.4. Le generiche condizioni di povertà del soggetto, rapportate alla situazione di povertà del Paese di provenienza non rientrano nel numero delle circostanze che giustificano la protezione umanitaria, in assenza delle condizioni di vulnerabilità, nel caso di specie neppure specificamente allegate, contemplate dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 (Cassazione civile sez. I, 06/12/2018, n. 31670)

4.Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per avere la corte di merito revocato il gratuito patrocinio, nonostante l’insussistenza dei presupposti della mala fede e colpa grave.

4.1.Il motivo è inammissibile.

4.2.Il provvedimento di revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio resta assoggettato esclusivamente al mezzo di impugnazione suo proprio, anche se la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato viene pronunciata nel contesto del giudizio di merito. Ne consegue, che la relativa decisione non costituisce un autonomo capo della sentenza di merito, ma va considerata come se fosse stata emessa secondo la forma prescritta. Pertanto, il mezzo di impugnazione esperibile avverso la stessa resta quello suo proprio, ossia l’opposizione da proporsi al capo dell’ufficio giudiziario del magistrato che ha disposto la revoca (ex multis Cassazione civile sez. VI, 08/03/2018, n. 5535).

5.Il ricorso va pertanto rigettato.

5.1.La condanna al pagamento delle spese del giudizio in favore di un’amministrazione dello Stato deve essere limitata, riguardo alle spese vive, al rimborso delle somme prenotate a debito (Cassazione civile sez. II, 11/09/2018, n. 22014; Cass. Civ., n. 5859 del 2002).

5.2.Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte di cassazione, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2020

 

 

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