Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17839 del 03/07/2019

Cassazione civile sez. I, 03/07/2019, (ud. 21/06/2019, dep. 03/07/2019), n.17839

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28396/2018 r.g. proposto da:

E.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Daniele

Accebbi, presso il cui studio elettivamente domicilia in Vicenza,

alla Piazzetta A. Palladio n. 11;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO di PALERMO, depositata il

26/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/06/201 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. E.A. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo n. 1377/2018, reiettiva del gravame da lui proposto contro la decisione del Tribunale della stessa città che – al pari di quanto già fatto dalla Commissione territoriale – aveva respinto la sua domanda di protezione internazionale o di riconoscimento di quella umanitaria. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte, tenuto conto della narrazione del richiedente e della concreta situazione socio-politica del suo Paese di provenienza (Nigeria, Edo State), ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione invocata.

2. I formulati motivi di ricorso prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione delle norme che disciplinano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale ed umanitaria: del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e), artt. 5, 7 e 14 (per lo status di rifugiato e di persona avente diritto alla protezione sussidiaria), del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1, lett. c-ter (per la protezione umanitaria)”. Si assume, sostanzialmente, che “il Giudice a quo, – che non ha fatto il benchè minimo cenno alla normativa regolante il complesso sistema di protezione internazionale vigente nel nostro Paese, ivi compreso l’ampio e rigoroso potere/dovere di cooperazione istruttoria ufficiosa di cui nel nostro ordinamento sono investite le Autorità deputate a vagliare le relative domande – negando sfacciatamente l’evidenza dei rapporti internazionali (a tal riguardo vi è da dire che, in sentenza, non ne è citato nemmeno uno, neanche per stralcio, e che, proprio per tale ragione, il giudicante ha avuto l’ardire di definire la regione di provenienza del migrante come sicura), il vissuto del richiedente (sì come dallo stesso puntualmente narrato fin dall’audizione davanti alla C.T., in linea con la tragica situazione descritta nei suddetti rapporti), nonchè lo stesso potere/dovere di cooperazione supra dedotto, abbia pretestuosamente disconosciuto all’odierno ricorrente, che ne aveva e ne ha buon diritto, qualsivoglia forma di tutela…”, e che “se la Corte di appello si fosse premurata come sarebbe stato suo dovere fare – di consultare le fonti internazionali ufficiali, certamente avrebbe riscontrato una situazione totalmente opposta da quella dedotta a meri fini negazionistici…”;

II) “Violazione, anche quale vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. a) – e), in punto di onus probandi, cooperazione istruttoria in capo al Giudice e criteri normativi di valutazione degli elementi di prova e delle dichiarazioni rese dai richiedenti nel procedimento di protezione internazionale”. Si rappresenta che “il Giudice a quo non abbia in alcun modo esercitato, pur essendovi tenuto per legge, i poteri istruttori officiosi riconosciutigli al fine di valutare congruamente e compiutamente la situazione soggettiva del richiedente la protezione, calandola nel contesto sociopolitico e giuridico-ordinamentale del Paese di provenienza: ed invero, il primo, oltre a non motivare, se non sulla base di apodittiche illazioni, le ragioni del rigetto, si è focalizzato sulla mera regione di provenienza dell’ E., peraltro definendola sicura senza riferimento alcuno ai rapporti internazionali ufficiali”;

III) “Violazione del principio del non refoulement di cui all’art. 3 CEDU e art. 33 Convenzione di Ginevra”, criticandosi la sentenza impugnata per avere, a dire dell’odierno ricorrente, “banalizzato e disapplicato il contenuto della legge nazionale e delle direttive comunitarie che disciplinano la normativa relativa ai soggetti richiedenti la protezione internazionale, violando anche il principio di ragionevolezza”.

3. Le formulate doglianze sono esaminabili congiuntamente perchè accomunate dalla medesima ragione di inammissibilità.

3.1. Giova premettere che questa Corte ha, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 27686 del 2018), chiarito che: a) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto, intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente (perchè, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro) ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua (pur corretta) interpretazione (cfr. Cass. n. 8782 del 2005); b) non integra, invece, violazione di legge, nè falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretativo ed applicativo della norma di legge; c) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass., Sez. U., n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); d) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).

3.2. Le censure in esame si risolvono, invece, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui il ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di violazione di legge o di vizio motivazionale, una propria diversa valutazione, totalmente obliterando, però, da un lato, che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – come si è appena detto non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione; dall’altro, che la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza pubblicata il 26 giugno 2018), ha avuto l’effetto di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza (o di altro provvedimento decisorio) per “mancanza della motivazione”, ipotesi configurabile allorchè la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (cfr. Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017).

3.2.1. Non solo, dunque, non è più denunciabile, in sede di legittimità, la motivazione insufficiente e/o contraddittoria, ma oggetto del vizio di cui alla norma da ultimo citata è, oggi, esclusivamente l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”, e cioè: i) un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017); li) un preciso accadimento ovvero una specifica circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass., SU, n. 5745 del 2015); iii) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014); iv) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tra gli altri: a) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014).

3.2.2. Inoltre, il “fatto” il cui esame sia stato omesso deve avere carattere “decisivo”, vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia.

3.3. In applicazione dei suesposti principi, allora, non si presta ad esperibili ripensamenti la negatoria che la corte palermitana, confermando la decisione di primo grado e respingendo i motivi di gravame, ha inteso pronunciare: i) con riguardo alla richiesta di protezione sussidiaria, posto che la sussistenza, nella specie, delle condizioni per darvi accesso è stata esclusa richiamandosi le informazioni assunte dal giudice di primo grado in adempimento del dovere di cooperazione istruttoria: quest’ultimo, peraltro, aveva indicato le proprie fonti di informazione internazionale (come ragionevolmente può evincersi dalla decisione oggi impugnata), tutte sufficientemente recenti e segnalanti l’insussistenza, nel Paese di provenienza del ricorrente (Nigeria, Edo State), di situazioni astrattamente idonee a legittimare il riconoscimento del pericolo di un danno grave. Ad avviso di questo Collegio, dunque, non era necessario che di tali fonti la corte distrettuale facesse, nuovamente, specifica menzione (nemmeno rinvenendosi, peraltro, nell’odierno ricorso, l’avvenuta formulazione di un chiaro motivo di gravame denunciante una omissione in tal senso del giudice di prime cure), dovendosi le stesse evidentemente intendere ivi richiamate per relationem; ii) quanto alla richiesta di protezione umanitaria, atteso che, indipendentemente dagli effetti del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla L. 10 dicembre 2018, n. 132, si è considerato dirimente il fatto che “contro la pronuncia di rigetto della domanda, non è stata formulata alcuna argomentazione volta ad incrinarne il fondamento logico giuridico” (cfr. pagina recante il n. 2 della motivazione della sentenza impugnata), senza che il rilievo in tal modo operato abbia trovato adeguata e puntuale replica nell’illustrazione del corrispondente terzo motivo di ricorso. Il tutto non senza rimarcare, peraltro, che la sentenza impugnata nulla riporta in ordine all’avvenuta denuncia, anche in quella sede, di un’asserita violazione del principio del non refoulement.

3.3.1. A tanto deve soltanto aggiungersi che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” è stato condivisibilmente interpretato da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalla più recente Cass. n. 9842 del 2019).

3.4. In definitiva, E.A., con i motivi in esame, tenta sostanzialmente di opporre alla valutazione fattuale contenuta nella sentenza impugnata una propria alternativa interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica del vizio motivazionale o di violazione di legge, mirando ad ottenerne una rivisitazione (e differente ricostruzione), in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un ulteriore grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex multis, Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

4. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alla spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì (non risultando provata l’avvenuta ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato) della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2019

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