Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17838 del 03/07/2019

Cassazione civile sez. I, 03/07/2019, (ud. 21/06/2019, dep. 03/07/2019), n.17838

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27903/2018 r.g. proposto da:

C.C., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Ennio Cerio, presso il cui studio elettivamente domicilia in

Campobasso, alla via Mazzini n. 112;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO di CAMPOBASSO, depositata

il 16/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/06/2012 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. C.C. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Campobasso n. 52/2018, reiettiva del gravame da lui proposto contro la decisione del Tribunale della stessa città che – al pari di quanto già fatto dalla Commissione territoriale – aveva respinto la sua domanda di protezione internazionale o di riconoscimento di quella umanitaria. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte, tenuto conto della narrazione del richiedente e della concreta situazione socio-politica del suo Paese di provenienza (Costa d’Avorio), ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione invocata.

2. I formulati motivi di ricorso prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione di legge in riferimento al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 10, 13 e 27 nonchè art. 16 della direttiva Europea n. 2013/32/UE. Violazione di legge in riferimento agli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU, all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ed all’art. 46 della direttiva Europea n. 2013/32”, insistendosi per la invocata dichiarazione di nullità dell’audizione dell’odierno ricorrente innanzi alla commissione territoriale, successivamente non rinnovata dal Tribunale di Campobasso, benchè specificamente richiestone, nè dalla corte distrettuale, che aveva ritenuto un siffatto adempimento non indispensabile ai fini decisori;

II) “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e dell’art. 5 TU Immigrazione, D.Lgs. n. 286 del 1998”, censurandosi la decisione impugnata nella parte in cui aveva affermato che, “pur volendo ritenere veritiere le dichiarazioni del richiedente…, il riferito episodio è di epoca risalente, medio tempore la situazione politica interna del Paese di origine del ricorrente sostanzialmente stabilizzatasi;

che comunque, nel corso di quegli scontri, il C. era stato salvato dalle forze dell’ordine, ragione per cui ben avrebbe potuto richiedere l’intervento delle autorità locali”. Si assume che la corte distrettuale avrebbe dovuto valutare l’esistenza, o meno, di un sistema di vendette private, sostanzialmente tollerato o non efficacemente contrastato e non la mera situazione politica del Paese alla luce della guerra civile del 2011;

III) “Omesso esame di un fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere la Corte Territoriale valutato compiutamente la situazione personale dell’odierno ricorrente e la documentazione prodotta in atti”.

3. Il primo motivo è infondato.

3.1. Invero, deve immediatamente ricordarsi che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte: i) in tema di protezione internazionale, l’obbligo di tradurre gli atti del procedimento davanti alla commissione territoriale, nonchè quelli relativi alle fasi impugnatorie davanti all’autorità giudiziaria ordinaria, è previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10,commi 4 e 5, al fine di assicurare al richiedente la massima informazione e la più penetrante possibilità di allegazione. Ne consegue che la parte, ove censuri la decisione per l’omessa traduzione, non può genericamente lamentare la violazione del relativo obbligo, ma deve necessariamente indicare in modo specifico quale atto non tradotto abbia determinato un vulnus all’esercizio del diritto di difesa (cfr. Cass. n. 11101 del 2019; Cass. n. 11871 del 2014); ii) la nullità del provvedimento amministrativo di diniego della protezione internazionale, reso dalla Commissione territoriale, non assume autonoma rilevanza nel giudizio introdotto dal ricorso al tribunale avverso il predetto provvedimento poichè tale procedimento ha ad oggetto il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata, sicchè deve pervenire alla decisione sulla spettanza, o meno, del diritto stesso e non può limitarsi al mero annullamento del diniego amministrativo (cfr. Cass. n. 23472 del 2017; Cass. n. 18632 del 2014).

3.2. Posto, allora, che, nessuna conseguenza avrebbe avuto qualsivoglia eventuale nullità, per le ragioni oggi ribadite dal ricorrente, del provvedimento della commissione territoriale, è sufficiente rimarcare che, nella specie, il tribunale prima, e la corte distrettuale poi, hanno ritenuto non indispensabile ai fini decisori il rinnovo dell’audizione del C., nemmeno avendone, peraltro, la medesima corte negato l’attendibilità; inoltre, nel procedimento, in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35,comma 13, al precedente comma 10, che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza (cfr. Cass. n. 24544 del 2011, ribadita, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 3003 del 2018).

3.3. Fermo quanto precede, è sufficiente rilevare che, da un lato, Cass. 5 luglio 2018, n. 17717, nello statuire l’obbligatorietà della fissazione dell’udienza davanti al tribunale adito con ricorso avverso il diniego della protezione internazionale, in tutti i casi di indisponibilità della videoregistrazione, ebbe espressamente a lasciare aperta la questione dell’obbligatorietà, o meno, dell’audizione del richiedente da parte del giudice di merito; dall’altro, che la recente Cass. n. 5953 del 2019, le cui argomentazioni questo Collegio condivide, ha poi chiarito che nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza di comparizione non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al tribunale. Ne deriva che il giudice può respingere una domanda di protezione internazionale che risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero (cfr. in senso sostanzialmente conforme, anche Cass. n. 2817 del 2019).

3.3.1. Nella specie, la corte distrettuale ha fondato la propria decisione sulle evidenze del verbale della Commissione recante le dichiarazioni del richiedente la protezione, ritenute, benchè attendibili, comunque inidonee a giustificare l’invocata protezione internazionale o il riconoscimento di quella umanitaria. Nè il ricorrente ha oggi riferito di aver allegato, innanzi al tribunale (e poi alla corte di appello) fatti nuovi, non prospettati innanzi alla Commissione, effettivamente rilevanti ai fini del decidere.

3.4. E’ da evidenziare, inoltre, che il tema della rinnovazione dell’interrogatorio avanti al giudice del merito vada affrontato avendo riguardo alla normativa Euro-unitaria, alla luce della quale va interpretata quella nazionale che ne costituisce recepimento: deve escludersi che, in base a tale referente normativo, il tribunale sia sempre tenuto a procedere all’audizione del richiedente.

3.4.1. Secondo quanto precisato da Corte giust. UE 26 luglio 2017, C-348/16, Moussa Sacko, “la necessità che il giudice investito del ricorso ex art. 46 della direttiva 2013/32 proceda all’audizione del richiedente deve essere valutata alla luce del suo obbligo di procedere all’esame completo ed ex nunc contemplato all’art. 46, paragrafo 3, di tale direttiva, ai fini della tutela giurisdizionale effettiva dei diritti e degli interessi del richiedente. Tale giudice può decidere di non procedere all’audizione del richiedente nell’ambito del ricorso dinanzi ad esso pendente solo nel caso in cui ritenga di poter effettuare un esame siffatto in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso, se del caso, il verbale o la trascrizione del colloquio personale con il richiedente in occasione del procedimento di primo grado”, perchè in tal caso ciò si giustifica in funzione dell’interesse ad una sollecita definizione del giudizio, fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo. Laddove, invece, il giudice – prosegue la Corte – “consideri che sia necessaria un’audizione del richiedente onde poter procedere al prescritto esame completo ed ex nunc, siffatta audizione, disposta da detto giudice, costituisce una formalità cui esso non può rinunciare”. La Corte di giustizia ha, quindi, definito la questione pregiudiziale stabilendo che “La direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, e in particolare i suoi artt. 12, 14, 31 e 46, letti alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, deve essere interpretata nel senso che non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione, a condizione che, da una parte, in occasione della procedura di primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale, conformemente all’art. 14 di detta direttiva, e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio, qualora quest’ultimo sia avvenuto, sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo, in conformità dell’art. 17, paragrafo 2, della direttiva medesima, e, dall’altra parte, che il giudice adito con il ricorso possa disporre tale audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto contemplato all’art. 46, paragrafo 3, di tale direttiva”.

3.4.2. Tale approdo, come rilevato dalla stessa Corte di giustizia, è del resto coerente con la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui lo svolgimento dell’udienza non è necessario quando la causa non prospetti questioni di fatto e di diritto che non possano essere risolte sulla scorta del fascicolo e delle osservazioni scritte delle parti (cfr. Corte EDU 12 novembre 2002, Dory c. Suede, 37).

4. Il secondo ed il terzo motivo sono esaminabili congiuntamente perchè accomunati dalla medesima ragione di inammissibilità.

4.1. Giova premettere che questa Corte ha, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 27686 del 2018), chiarito che: a) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto, intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente (perchè, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro) ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua (pur corretta) interpretazione (cfr. Cass. n. 8782 del 2005); b) non integra, invece, violazione di legge, nè falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; c) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass., Sez. U., n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); d) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).

4.2. Le censure in esame si risolvono, invece, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui il ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di violazione di legge o di vizio motivazionale, una propria diversa valutazione, totalmente obliterando, però, da un lato, che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – come si è appena detto non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione; dall’altro, che la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnato una sentenza pubblicata il 13 marzo 2018), ha avuto l’effetto di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza (o di altro provvedimento decisorio) per “mancanza della motivazione”, ipotesi configurabile allorchè la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (cfr. Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017).

4.2.1. Non solo, dunque, non è più denunciabile, in sede di legittimità, la motivazione insufficiente e/o contraddittoria, ma oggetto del vizio di cui alla norma da ultimo citata è, oggi, esclusivamente l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”, e cioè: i) un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017); ii) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass., SU, n. 5745 del 2015); iii) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014); iv) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tra gli altri: a) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014).

4.2.2. Inoltre, il “fatto” il cui esame sia stato omesso deve avere carattere “decisivo”, vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia.

4.3. In applicazione dei suesposti principi, allora, non si presta ad esperibili ripensamenti la negatoria che la corte molisana, confermando la decisione di primo grado e respingendo i motivi di gravame, ha inteso pronunciare: i) quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, posto che la sussistenza, nella specie, delle condizioni per darvi accesso è stata esclusa, oltre che alla stregua delle stesse affermazioni del richiedente (quanto alle ipotesi sub a) e b) del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14) sulla base di approfondite ed appropriate referenze attinte in adempimento del dovere di cooperazione istruttoria, dalle fonti di informazione internazionale, specificamente indicate e tutte segnalanti l’insussistenza, nel Paese di provenienza del ricorrente (Costa d’Avorio) di situazioni astrattamente idonee a legittimare il riconoscimento del pericolo di un danno grave D.Lgs. suddetto, ex art. 14, lett. c); ii) con riguardo alla richiesta di protezione umanitaria, atteso che, indipendentemente dagli effetti del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113 convertito, con modificazioni, dalla L. 10 dicembre 2018, n. 132, si è considerato dirimente il difetto di qualsivoglia specifica allegazione in punto di sua vulnerabilità (insufficienti rivelandosi le sole ragioni economiche o di criminalità comune), senza che il rilievo in tal modo operato abbia trovato adeguata e puntuale replica nell’illustrazione del corrispondente terzo motivo di ricorso.

4.3.1. A tanto deve soltanto aggiungersi che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” è stato condivisibilmente interpretato da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalla più recente Cass. n. 9842 del 2019).

4.4. In definitiva, C.C., con i motivi in esame, tenta sostanzialmente di opporre alla valutazione fattuale contenuta nella sentenza impugnata una propria alternativa interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica del vizio motivazionale o di violazione di legge, mirando ad ottenerne una rivisitazione (e differente ricostruzione), in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un ulteriore grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex multis, Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

5. Il ricorso va, dunque, respinto, senza necessità di pronuncia in ordine alla spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì (non risultando provata l’avvenuta ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato) della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2019

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