Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17836 del 26/08/2020

Cassazione civile sez. II, 26/08/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 26/08/2020), n.17836

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19836-2019 proposto da:

C.T., rappresentata e difesa dall’Avvocato Edy Guerrini del

Foro di Ravenna con studio in Solarolo (RA) via Marconi 25;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Bologna, depositata il

13/05/2019;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/01/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

-il presente giudizio trae origine dall’opposizione proposta da C.T. avanti al Tribunale di Bologna nei confronti del diniego della protezione internazionale ed umanitaria da parte della Commissione Territoriale per il riconoscimento della status di rifugiato di Bologna- sezione distaccata di Cesena;

– a sostegno della protezione il C. aveva allegato di essere cittadino nigeriano, nato in Edo State, di essere sposato e di avere quattro figli e di essere fuggito dal suo paese nel 2015 a seguito dei dissidi insorti dopo la morte del padre con la seconda moglie ed i suoi figli in ordine alla successione del padre, proprietario di due case;

– nell’ambito di tale contesa uno dei figli della seconda moglie aveva nascosto un’arma nella sua casa e lo aveva denunciato alla polizia che rinvenuta l’arma lo aveva tratto in arresto per poi tenerlo in prigione per oltre un mese sino a che usciva dietro pagamento di una cauzione, dopodichè si allontanava dal suo paese;

– l’adito tribunale bolognese ha respinto il ricorso confermando il rigetto in riferimento a tutte le forme di protezione richieste;

– la cassazione del provvedimento è chiesta sulla base di quattro motivi;

– non ha svolto attività difensiva l’intimato Ministero.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 per avere il tribunale ritenuto non credibile il racconto del richiedente con conseguente mancata attivazione dei doveri di cooperazione officiosa;

– il motivo è infondato;

– il giudice del merito ha proceduto al vaglio della credibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente in termini coerenti con i criteri normativi nell’interpretazione costantemente offerta da questa Corte;

– è, infatti, principio consolidato che la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), del D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicchè è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale (26921/2017; 19716/2018);

– ciò posto il tribunale ha esaminato la narrazione del richiedente secondo la richiamata procedimentalizzazione evidenziando (cfr. pag. 7, 8 e 9) come essa, in relazione al criterio della “coerenza” sub c) del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 comma 5 presentava incongruenze rispetto a quanto dichiarato avanti alla Commissione (in relazione ai termini della questione e successoria e all’uscita dal carcere);

– inoltre, il tribunale bolognese ha rilevato come essa non era circostanziata, in relazione al criterio sub a) del medesimo comma 5 dell’art. 3 del D.Lgs. cit., proprio sugli aspetti principali che avevano determinato la fuga dalla Nigeria e cioè la lite per la successione paterna;

– ancora, il tribunale aveva rilevato – in relazione al criterio sub b) del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 che disciplina l’onere del richiedente di fornire adeguata motivazione della mancanza di elementi giustificiativi delle dichiarazioni rese come il richiedente non aveva fornito giustificazione della mancata prova dell’arresto e della reclusione nonostante la presenza della moglie e dei figli in Nigeria astrattamente consentissero di meglio integrare le allegazioni a sostegno del racconto;

– a fronte di tutto ciò, lo scrutinio operato dal giudice di merito appare conforme a legge e la censura si risolve, in definitiva, nell’inammissibile richiesta di riesame dell’esito del giudizio di credibilità;

– con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la falsa applicazione in ordine al D.Lgs. n. 251 del 2007 (seppure formalmente indicato nella rubrica come 151/2007);

– il motivo è infondato stante l’evidente lapsus calami a causa del quale a pag. 9 del decreto impugnato il d.gs. n. 251 è stato indicato erroneamente con il n. 151, pur avenso fatto corretto riferimento all’insussistenza dei presupposti per la protezione internazionale sia con riguardo allo status di rifugiato, sia alla protezione sussisdiaria;

– con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 14 lett. c) de D.Lgs. n. 251 del 2007 per avere il tribunale erroneamente valutato gli elementi per il riconoscimento della protezione sussidiaria in relazione alle notizie sulla criminalità e violenza diffuse in Nigeria;

– il motivo è infondato;

– il tribunale ha, innanzitutto, evidenziato che il ricorrente ha allegato un pericolo proveniente da un agente persecutore privato senza tuttavia allegare la circostanza di essersi rivolto all’autorità dello Stato o ad altro organismo a ciò deputato per ottenere tutela (D.Lgs. n. 251 del 2007 ,ex artt. 5 e 6);

-il tribunale bolognese ha poi proceduto alla verifica della sussistenza dei presupposti della violenza generalizzata rilevante ai fini del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e, operando sulla scorta di report recenti ed accreditati (EASO COI, Country origin information, del novembre 2018, COI del maggio 2018, Human Rights Watch del gennaio 2018) riferiti alla specifica regione di provenienza, in questo caso l’Edo State, ha escluso la loro sussistenza;

– in tale prospettiva il precedente del Tribunale di Trieste invocato dal ricorrente senza neppure indicare l’epoca cui si riferisce la COI (Country origin information) non è idoneo ad inficiare la conclusione del tribunale bolognese;

– con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’omessa ed insufficiente motivazione del tribunale nel rigettare la domanda di rilascio del permesso per protezione umanitaria;

– il motivo è infondato;

– il tribunale anche riguardo a questa forma residuale di protezione ha proceduto a verificarne i presupposti ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 secondo i canoni ermeneutici costantemente espressi da questa Corte, richiamando espressamente la sentenza n. 4455/2018 citata anche dal ricorrente e spiegando che la situazione di vulnerabilità che giustifica il rilascio di questo tipo di permesso attiene alla grave violazione di diritti umani cui sarebbe esposto il richiedente in caso di rimpatrio nel suo territorio, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (cfr. Cass. Sez. Un. 29459/2019);

– l’esito sfavorevole di tutti i motivi, comporta il rigetto del ricorso;

– nulla va disposto in ordine alle spese di lite, stante la mancanza di attività difensiva da parte dell’intimato;

-ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda sezione civile, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2020

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