Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17833 del 08/08/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 17833 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: DORONZO ADRIANA

SENTENZA

sul ricorso 15396-2009 proposto da:
GRUPPO GORLA S.P.A. C.F.

03699960153,

in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DEL CORSO 504, presso lo
studio dell’avvocato IELPO NICOLA, che la rappresenta
e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
.1981

contro

PUGGIONI GIOVANNI PGGGNN55T031452Z, CORRAO DOMENICO,
MAGGIONI MAURIZIO, domiciliati in ROMA, PIAZZA
CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

Data pubblicazione: 08/08/2014

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato
MOSHI NYRANNE, giusta delega in atti;
– controxicorrenti nonché contro

PIETRO MAZZONI AMBIENTE S.P.A. C.F. 12880580159;

Nonché da:
PIETRO MAZZONI AMBIENTE S.P.A. C.F. 12880580159, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliatA in ROMA, L.G. FARAVELLI 22,
presso lo studio dell’avvocato MORRICO ENZO, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

PUGGIONI GIOVANNI PGGGNN55T03I452Z, CORRAO DOMENICO,
MAGGIONI MAURIZIO, domiciliati in ROMA, PIAZZA
CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato
MOSHI NYRANNE, giusta delega in atti;
– controricorrenti al ricorso incide9ta2e nonché contro

GRUPPO GORLA 5. PA. C.F. 036999601;
– intimata –

avverso la sentenza n. 878/2008 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 14/07/2008 r.g.n. 559/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

– intimata –

i

I

udienza del 04/06/2014 dal Consigliere Dott. ADRIANA
DORONZO;

4
I

udito l’Avvocato IELPO NICOLA;
-.

udito l’Avvocato MOSHI NYRANNE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso

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Relatore Doronzo
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Gruppo Goda s.p.a. c/ Puggioni +2

s

t

_
.,

Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 14 luglio 2008, la Corte d’appello di Milano accoglieva
l’appello proposto dagli odierni intimati contro la sentenza resa dal
Tribunale della stessa sede e, per l’effetto, condannava il Gruppo Gorla
s.p.a. e la Pietro Mazzoni Ambiente s.p.a., la prima fino al 2 luglio 2002
e la seconda da tale data in poi (e fino al gennaio 2003 per il Corrao, al
marzo 2003 per il Maggioni e alla data della domanda per il Puggioni),
al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti di un importo pari alla
retribuzione straordinaria diurna di un’ora alla settimana, già
comprensiva di interessi e rivalutazione fino alla data della decisione, il
tutto nei limiti della prescrizione decennale.
2. A fondamento della decisione la Corte rilevava che gli appellanti addetti con mansioni di pulitori dei locomotori e dei carri merci, sia
all’interno che all’esterno, nonché delle fosse, dei servizi igienici a terra
e degli uffici e dei pavimenti, alle dipendenze, prima, del Gruppo Gorla
S.p.A. e, poi, della Pietro Mazzoni Ambiente s.p.a. – erano dotati di
completi da lavoro, che, in quanto idonei in astratto ed ,in concreto ad
offrire adeguata protezione al corpo del lavoratore dai rifiuti organici e
inorganici con i quali venivano a contatto nelle operazioni di pulizia,
anche solo di quelle più semplici — e non contestate — come pulizia di
cose e spazi particolarmente esposti ad afflusso di persone e a polvere e
sporcizia, svolgevano la funzione di dispositivi idi protezione
individuale, a norma dell’art. 40, comma 1, d.lgs. n. 626/1094.
3. In particolare, rilevava come l’art. 377 del d.p.r. n. 547/1955 imponeva
al datore di lavoro di mettere a disposizione dei lavoratori mezzi
personali di protezione appropriati ai rischi inerenti alle lavorazioni
effettuate e di tenerli in buono stato di conservazione, mentre 1′ art. 379
d.p.r. cit., imponeva l’obbligo di fornire ai lavoratori idonei strumenti di
protezione in caso di lavorazioni o di operazioni o condizioni
ambientali di particolare pericolo; che era poi intervenuto il d.lgs. n.
626/1994 che, con l’art. 43, comma 3° e 4°, lett. a), poneva in capo al
datore di lavoro l’obbligo di fornire ai dipendenti dispositivi di
protezione individuali; che l’art. 40, comma 1, d.lgs.cit. definisce
dispositivi di protezione individuale qualsiasi attrezzatura destinata ad
essere indossata dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o
più rischi suscettibili di minacciare la sicurezza e la salute durante il
lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo;
che, ancora, tanto l’una quanto l’altra disciplina non specificavano quali
fossero le lavorazioni che richiedevano l’uso del mezzo di protezione, né
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quali fossero tali mezzi, essendo per altro non tipizzabili le situazioni
concrete di esposizione a pericolo e i relativi mezzi di protezione.
4. Ne conseguiva che gli indumenti forniti ai lavoratori addetti alle
mansioni di pulizia dovevano essere considerati dispositivi di protezione
individuale, in quanto idonei a costituire uno schermo sia pure minimo
verso agenti patogeni con i quali era facile venirein contatto nelle
operazioni di pulizia, e non costituivano solo strumento identificativo
dell’azienda. Vi era pertanto l’obbligo della datrice di lavoro di tenere gli
indumenti in stato idoneo alla funzione, e quindi di provvedere al loro
lavaggio. L’obbligo della conservazione degli strumenti di servizio,
gravante sui lavoratori ex art. 39 ceni di settore, in linea con l’art. 44 del
d.lgs. n. 626/1994, si poneva su un piano diverso rispetto all’obbligo di
pulizia delle tute, quale attività finalizzata al mantenimento degli
strumenti di servizio in stato di idoneità alla loro funzione, obbligo così
incombente sul datore di lavoro.
5. Poiché era pacifico che il lavaggio di tali indumenti era avvenuto a spese
e cura dei lavoratori, la società doveva essere condannga a risarcire il
danno derivante dal proprio inadempimento, che in via equitativa era
liquidato nella misura pari al compenso previsto per un’ora di lavoro
straordinario diurno.
6. Contro la sentenza, il Gruppo Gorla s.p.a. propone ricorso per
cassazione, fondato su nove motivi, sintetizzati in quesiti di diritto. Gli
intimati resistono con controricorso. La Pietro Mazzoni 4mbiente s.p.a.
propone altresì ricorso incidentale, sostenuto da tre motivi, cui resistono
i lavoratori con controricorso. Questi ultimi e il Gruppo Gorla hanno
depositato memorie ex art. 378 c.p.c.. La ricorrente i principale ha
depositato anche osservazioni scritte alle conclusioni qi udienza del
Pubblico Ministero.
Motivi della decisione
I motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale
1.

Con il primo motivo la Gruppo Gorla S.p.A. censura la sentenza per
omessa e contraddittoria motivazione su punti decisivi e controversi per
il giudizio, costituiti dalle mansioni assegnate ai resistenti, che
consistevano nella pulizia specialistica di locomotori e vetture già
trattate, e non già in attività di pulizia di cose e spazi, nonché dai
dispositivi di protezione individuale, costituiti da tuta in Tyvek e in PVC,
che erano forniti ai lavoratori per tutte quelle lavorazioni per le quali essi
erano necessari.
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2. Con il secondo motivo la Gorla S.p.A. censura la sentenza per la
violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2729 c.c. e dell’art. 115
c.p.c. in riferimento all’art. 360, n.3 e 4 c.p.c.. In particolare, lamenta che
il giudice d’appello ha erroneamente ritenuto rientrante nella nozione di
“fatto notorio” la circostanza che i lavoratori fossero 4posti a rischi
biologici nello svolgimento delle loro mansioni, per il solo fatto di aver
svolto attività di pulizia sui treni.
3. Con il terzo motivo la Gorla s.p.a. denuncia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 40,43 cl.lgs. n. 626/1994, art. 377-379 d.p.r.
574/1955, nonché dell’art. 39 C.C.N.L. 24/4/2001 del settore addetti alle
imprese fornitrici di servizi operanti nel settore ferroviario dei trasporti.
Formula il seguente quesito di diritto: “dica la Corte di cassazione se ai
sensi degli artt. 40-43 del d.lgs. 626/1994, nonché degli art. 377-379
d.p.r. 547/1955 e dell’ari. 39 C.C.N.L. qualsiasi indumento utilizzato dai
lavoratori per il solo fatto che venga indossato durante un’attività a
rischio di contatto con agenti patogeni costituisca un D.P.I. a
prescindere dalle caratteristiche e dalle qualità di protezigne intrinseche
dell’indumento stesso ed in particolare se costituiscano D.P.J. gli
indumenti forniti ai sensi dell’ari. 39 C.C.N.L. lettera a) o se, viceversa, è
necessario che gli indumenti possiedano le necessarie qualità tecniche
per espletare la funzione di D.P.L”.
4. Con il quarto motivo la Gorla s.p.a. censura la sentenza per violazione
dell’alt. 39 C.C.N.L. 24/4/2001, formulando il seguente quesito di diritto:
“dica la Ecc. ma Corte di cassazione se alla luce dell’art. 39 C.C.N.L. di
categoria, il lavoratore abbia diritto al risarcimento del danno od al
rimborso spese per il lavaggio di una tuta anche quando l’attività di
lavaggio e stiratura abbia riguardato semplici indumenti di lavoro privi
delle caratteristiche di un D.P.L, ancorché utilizzati in ‘ prestazioni a
rischio di agenti patogeni; ovvero se in tal caso il corrispettivo di tale
attività sia già compreso nella determinazione della retribuzione
concordata in sede di C.C.N.L., tenendo conto dell’accollo in capo al
lavoratore dell’obbligo di curare la buona conservazione degli indumenti
di lavoro originariamente forniti a mente nell’art. 39 C.C.N.L. lettera
a)”
5. Con il quinto motivo la società denuncia l’omesso esame di documenti “in
punto di differenziazione della tuta ordinaria dal D.P.I. e delle
prestazioni per le quali era sufficiente l’utilizzo della prima dalle
prestazioni per le quali era invece necessario fornire al lavoratore la
seconda”. In particolare, richiama precedenti di questa Corte per
differenziarne la fattispecie concreta in esame, giacché in quei precedenti
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il presupposto di fatto incontestato era dato dalla natura degli abiti
indossati dai lavoratori quali dispositivi individuali di protezione, nonché
dal fatto che vi erano stati accertamenti istruttori tesi a dimostrare che tali
indumenti erano specificamente destinati alla protezione della salute dei
lavoratori, in relazione a compiti ritenuti rischiosi anche lin forza di un
preventivo accordo sindacale e richiedevano attività di pulizia ulteriore
rispetto al mero lavaggio.
6. Con il sesto motivo la Gorla s.p.a. denuncia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1175, 1375 e 1227 c.c. per non avere il giudice
del merito tenuto conto che, per tutta la durata del rapporto (anche
vent’anni), i lavoratori non avevano mai chiesto la fornitura di dispositivi
di protezione né avevano mai denunciato l’esistenza di pgrticolari rischi
nell’espletamento delle loro mansioni, così violando il disposto di cui
all’art. 1227 c.c. che pone a carico del creditore l’obbligo di contenere le
conseguenze dell’inadempimento altrui e comunque di comportarsi
secondo buona fede nell’esecuzione del contratto. Una richiesta
tempestiva da parte dei lavoratori avrebbe potuto indurre la datrice di
lavoro ad adottare sistemi più economici per il lavaggio delle divise,
come da progetto redatto dal capo impianto Brunati Daniel,e, secondo cui
il singolo lavaggio sarebbe venuto a costare per l’azienda’ al più € 1,45,
somma di gran lunga inferiore a quella riconosciuta dalla corte
territoriale. Formula il seguente quesito di diritto: “dica la Ecc. ma Corte
di cassazione se, visti gli atti 1175, 1375 e 1227 c.c., i lavoratori del
gruppo Gorla S.p.A. addetti alle mansioni di cui in premessa abbiano
concorso a causare il danno e se pertanto abbiano diritto ad ottenere il
risarcimento solo della parte di danno non causato dalla loro condotta e
coincidente con i costi effettivi di lavaggio sopra descritti”.
7. Con il settimo motivo la Goda s.p.a. denuncia la violazi:one e la falsa
applicazione degli artt. 1223-1226 c.c., in punto di liquidazione
equitativa del danno, e chiede quanto segue: “dica la Ecc. ma Corte di
cassazione ai sensi degli arti. 1223-1226 c.c. se la quantificazione del
danno subito dai lavoratori di Gorla debba essere riferita al mero danno
emergente pari ai costi sostenuti dal danneggiato a causa della
inadempienza rilevata, ovvero se debba comprendere anche il lucro
cessante del quale non sia stata fornita alcuna prova neppure generica,
ed essere altresì perimetrata ad un valore, ad esempio la paga oraria per
lavoro straordinario, sproporzionata e non omogenea rispetto al costo
effettivo dell’attività anzidetta”.
8. Con l’ottavo motivo la Gorla s.p.a. censura la sentenza per difetto di
motivazione in ordine alla liquidazione equitativa del danno, non avendo
4

la Corte territoriale preso in esame i risultati del progetto redatto da
Brunati Daniele, da cui risultava il costo per ciascun lavaggio non
superiore a € 1,45.
9. Con il nono motivo la Gorla s.p.a. denuncia la violazione degli artt.
2946-2948 c.c., in riferimento all’art. 360, n. 3 c.p.c., per ,avere la Corte
del merito applicato la prescrizione decennale sull’erroneo presupposto
che si vertesse in un’ipotesi di inadempimento contrattuale. In realtà non
sussisteva alcun inadempimento, non essendo gli indurrienti in esame
dispositivi di protezione individuale. A tutto voler concedere, ai ricorrenti
originari spettava una maggiorazione della retribuzione pey aver eseguito
una prestazione non prevista dal contratto, con la conseguenza che la
prescrizione applicabile era quella quinquennale ex art. 2948, n. 4, c.c.
10. Con il primo motivo del ricorso incidentale la Pietro Mazgmi Ambiente
S.p.A. denuncia la sentenza per insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un punto decisivo della controveria, costituito
dall’aver ritenuto che delle semplici tute da lavoro, prive delle
caratteristiche tecniche tipiche dei dispositivi di sicuiezza, fossero
dispositivi di protezione individuale.
ii.Con il secondo motivo censura la sentenza per violaiione e falsa
applicazione degli artt. 40, 43 d.lgs. n. 62611994, degli artt. 377 e 379
d.p.r. n. 547/1955, e dell’alt 39 del ceni del settore gidetti imprese
fornitrici di servizi operanti nel settore ferroviario e dei tr4sporti. Chiede
che, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., la Suprema Corte dica “se gli
indumenti forniti agli odierni intimati dalla società ricorrente in base
all’art. 39 del cali aziende operanti nell’indotto ferroviario e consistenti
in pantaloni, camicia e giubbotto in tessuto misto di cotone/poliestere,
sebbene privi di requisiti di impermeabilità o resistenza, possono
costituire dispositivi di protezione ai sensi dell’art. 40 d.lgs. n. 626/1994
e sebbene non specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la
salute del lavoratore”.
12. Con il terzo motivo deduce la violazione degli arti 2697, 1175, 1226 e
1227 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., nonché insufficiente
motivazione su un punto decisivo della controversia, lamentando che la
Corte territoriale ha ritenuto sussistente un danno per i lavoratori per il
solo fatto dell’inadempimento dell’obbligo di lavaggio ascritto ad essa
ricorrente, ed abbia altresì liquidato il danno senza tener conto del tempo
lasciato trascorrere dai suddetti prima che avanzassero la loro richiesta
alla datrice di lavoro.
L’esame dei motivi del ricorso principale.

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/.Va innanzi tutto dichiarata l’inammissibilità del primo motivo del ricorso
principale, perché difetta del momento di sintesi previsto dall’art. 366 bis
c.p.c. Ed invero, secondo l’orientamento di questa Cort il quesito di
diritto previsto dall’alt 366 bis c.p.c., deve consistere in una chiara
sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vagliai del giudice di
legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta! – negativa od
affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco raccoglimento
od il rigetto del gravame, mentre la censura concernente l’omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un momento
di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva
puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di
formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr, ex
plurimis, Cass., Sez.Un., n. 20603/2007).
Il motivo in esame non rispetta questa prescrizione, essendo del tutto ed
evidentemente omessa, a sua conclusione, la formulazione di una sintesi
riassuntiva del profilo che, in base all’articolata censura, rileverebbe in
vista della domanda di cassazione.
E neppure è ravvisabile con chiarezza quale sarebbe il “fatto principale”
decisivo, inteso come fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o
estintivo, ovvero il “fatto secondario” (dedotto in funzione di prova
determinante di una circostanza principale) che sarebbe stato trascurato o
erroneamente valutato dal giudice del merito (Cass., 29 luglio 2011, n.
16655).
Per completezza di analisi, deve comunque rilevarsi cpe la dedotta
circostanza secondo cui i lavoratori erano inquadrati come ‘,operai pulitori
specialisti e che le mansioni tipiche della qualifica erano quelle indicate
nell’art. 47 del C.C.N.L., non inficia né rende illogico o
insufficientemente motivato il ragionamento della Corte territoriale, nella
parte in cui ha ritenuto incontestato che i ricorrenti erano addetti (anche)
ad operazioni di pulizia ordinaria dei terreni (pedane, gradini, sostegni,
maniglie), nonché allo spurgo delle ritirate, attività che comunque
comportavano la pulizia di cose e spazi “particolarmente esposti ad
afflusso di persone e a polvere e sporcizia”, per le quali era necessario
l’uso di un indumento di protezione che rappresentasse uno schermo
verso agenti patogeni.
2 .11 secondo, il terzo e il quarto motivo, che per la loro connessione logica si
trattano congiuntamente, sono infondati. La sentenza impugnata ha
ritenuto che fosse incontestato ed in ogni caso provato, attraverso le
allegazioni delle parti in causa contenute negli scritti difensivi, che i
ricorrenti svolgevano attività di pulizia ordinaria all’internp e all’esterno
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delle carrozze, ivi comprese le ritirate, e che pertanto venivano a contatto
con la sporcizia derivante da tale attività.
Sulla base di tale accertamento di fatto, la Corte ha, fatto corretta
applicazione della nozione giuridicamente rilevante di fatto notorio (art.
115 c.p.c.), costituito unicamente dal rilievo che l’attivit di pulizia di
cose e spazi particolarmente esposti ad afflusso di persone comporta
l’inevitabile contatto con sostanze nocive o patogene, come la polvere, la
sporcizia, residui organici. Da ciò ha tratto l’ulteriore conseguenza che
gli indumenti usati dai lavoratori, ed eventualmente sovrapposti a quelli
personali, servissero a fini “igienici”, ovvero di protezione del lavoratore.
Ora, il ricorso alle nozioni di comune esperienza attiene all’esercizio di
un potere discrezionale riservato al giudice di merito, il cui giudizio circa
la sussistenza di un fatto notorio può essere censurato in sede di
legittimità solo se sia stata posta a base della decisione una inesatta
nozione del notorio, da intendersi come fatto conosciuto da un uomo di
media cultura in un dato tempo e luogo (cfr. ad es. Cass. 14 dicembre
2005, n. 27591). In proposito, sembra sufficiente richiamare i principi già
espressi da questa Corte in fattispecie analoga (Cass., 20 maggio 2009, n.
11729), secondo cui: “Il ricorso alle nozioni di comune esperienza
attiene all’esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di
merito, il cui giudizio circa la sussistenza di un fatto notorio può essere
censurato in sede di legittimità solo se sia stata posta, a base della
decisione una inesatta nozione del notorio, da intendere come fatto
conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo.
(Nella specie, la S. C. ha confermato la sentenza impugnata che, nel far
applicazione del notorio relativamente alla circostanza che gli indumenti
di lavoro forniti ai dipendenti addetti alle operazioni di raccolta dei
rifiuti abbisognino di lavaggi periodici, aveva condannato il datore di
lavoro a provvedere al lavaggio degli indumenti a sue spese).
A ciò deve aggiungersi che costituisce una questio facti l’identificazione
in concreto dei dispositivi di protezione individuale (Cass., 23 giugno
2010, n. 15202): sul punto, la motivazione della sentenza impugnata è
sufficientemente e non contraddittoriamente motivata, poiché la Corte
territoriale ha accertato in fatto la funzione protettiva svolta dagli
indumenti per cui è causa, con una valutazione in concreto che prescinde
dalla loro qualificazione o meno in tal senso da parte delle fonti
contrattuali richiamate dalla ricorrente.
In particolare, la Corte ha ritenuto che la divisa di cotone può non essere
sufficiente a proteggere il lavoratore quando si compiano operazioni di
lavaggio del sottocassa di un treno – sicché è necessario, in tal caso,
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fornire ai lavoratori altro tipo di indumento -, ma ove si provveda a lavori
di pulizia di ambienti, treni, ecc. la semplice tuta di cotone può
considerarsi un (seppur minimo) mezzo o dispositivo di protezione
individuale, e non solo strumento identificativo dell’azienda per cui si
lavora, e come tale essa deve essere fornita dal datore di lavoro e tenuta
in stato idoneo alla funzione.
Tali affermazioni appaiono congrue e logiche, a fronte di censure, come
quelle in esame, che seppure in larga parte svolte sotto il profilo della
pretesa violazione di legge e del contratto collettivo, si risolvono nella
inammissibile richiesta di un riesame di circostanze fattuali già vagliate
dai Giudici del merito, con motivazione coerente con i dati acquisiti ed
immune da vizi logici.
3. Il quinto motivo è, al pari del primo, inammissibile per la mancanza del
necessario momento di sintesi. Esso, inoltre, si fonda sull’omesso esame
di documenti che non sono stati trascritti nel ricorso, si da consentire a
questa Corte il vaglio della loro decisività e rilevanza ai fini della
soluzione della controversia. In particolare il capitolato d’appalto del
Gruppo Gorla ed il documento prevenzione rischi circa gli indumenti da
fornire ai lavoratori addetti alle pulizie dei treni risultano trascritti solo
in parte, e dagli stessi non emerge alcun dato significativo tale da
rendere viziata la decisione per omessa o insufficiente motivazione su un
fatto decisivo e controverso per il giudizio.
La circostanza, desumibile dal documento di prevenzione rischi, che i
lavoratori fossero dotati di tutte in Tyvek per certe operazioni di pulizia
(contrassegnate da un certo codice), non è posta in contestazione, né è
esclusa dalla sentenza di merito, la quale al contrario l’ha espressamente
esaminata, ritenendo – anche in tal caso con ragionamento congruo ed
esaustivo – che tale tipo di dotazione fosse necessaria per le operazioni
di lavaggio del sottocassa di un treno, ma che ciò non esclude che, per le
operazioni più semplici (quali la pulizia delle ritirate o dell’interno del
treno), la funzione di protezione potesse essere svolta, sia pure in modo
non del tutto idoneo ed adeguato alla prevenzione dei rischi, dalle tute di
cotone di cui erano dotati gli originari ricorrenti.
In realtà, con il motivo in esame la ricorrente svolge considerazioni che
impingono direttamente nel fatto, sollecitandone un riesame da parte di
questa Corte, affinché – rivedendo e ribaltando il giudizio di merito affermi l’inidoneità delle tute di cui erano dotati i lavoratori a svolgere
una qualsivoglia funzione di protezione e, dunque, la mancanza di
qualità per essere classificate come dispositivi di protezione individuale,

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con conseguente insussistenza dell’obbligo dell’azienda di ,provvedere al
loro lavaggio. Giudizio in fatto che è invece precluso a questa Corte.
4. Il sesto, il settimo e l’ottavo motivo, dei quali pure appare opportuna la
trattazione congiunta riguardando questioni inerenti alla sussistenza e
all’entità del danno subito dai ricorrenti, sono in parte inammissibili e in
parte infondati.
Essi, invero, presuppongono accertamenti di mero fatto, inammissibili in
questa sede di legittimità, inerenti ai minori costi che la parte datoriale
assume che avrebbe sostenuto in ipotesi di tempestiva contestazione
della debenza a suo carico del lavaggio, senza che, peraltro, in
violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione,
neppure siano state indicate le fonti probatorie relative agli indicati
elementi di conteggio della spesa occorrente. In particolare, con riguardo
al progetto “Brunati”, la mancata indicazione del luogo e del tempo delle
sue produzioni in giudizio, nonché del suo completo contenuto rende in
parte qua inammissibile il motivo di ricorso, peraltro nop confluito in
alcun modo nel quesito di diritto sottoposto a questa Corte.
Per completezza di motivazione deve comunque rilevarsi che i motivi
sono altresì infondati nel merito, basandosi sull’erroneo presupposto di
una liquidazione del danno da inadempimento ancorata, non già alla
perdita subita dal danneggiato, quale conseguenza immediata e diretta
dell’inadempimento (come vuole la legge: cfr., art. 122 cc), bensì ai
costi di cui sarebbe stato onerato il soggetto inadempiente se avesse
adempiuto correttamente le proprie obbligazioni.
Peraltro, l’inammissibilità rileva nella parte in cui fanno riferimento ad
un ipotetico risarcimento da lucro cessante di cui non è vi traccia nella
sentenza impugnata, nonché laddove suppongono un accertamento di
fatto sulla sproporzione del risarcimento liquidato, senza che sia neppure
fornita l’indicazione delle fonti probatorie che dovrebbero sostenere tale
assunto.
Infine deve ricordarsi che, come affermato dalla giurisprudenza di
questa Corte, i lavoratori hanno diritto alla retribuzione dell’attività
lavorativa prestata ed al rimborso delle spese sostenute, per la pulizia
degli indumenti di protezione, forniti dal datore di lavoro, risultando
affetta da nullità parziale, per contrasto con norme imperative, la
clausola, in senso contrario, del contratto collettivo che, sostituita di
diritto dalle stesse norme inderogabili, concorre a conformare i contratti
individuali di lavoro, sui quali si fondano i diritti alla retribuzione ed al
rimborso spese dei lavoratori (cfr, ex plurimis, Cass.,26 giugno 2006, n.
14712; Cass.,11729/2009, cit.; Cass., 18 novembre 2010,’n.23314; cfr.,
9

4

altresì, Cass., 5 novembre 1998, n. 11139). Ne consegue che
quand’anche la contrattazione collettiva avesse inteso addossare ai
lavoratori le spese di lavaggio dei DPI (il che nella specie deve
escludersi, perché prevedere che il lavoratore debba avere cura della
buona conservazione degli indumenti non significa di per sé che debba
provvedere al loro lavaggio), una siffatta previsione, siccome contraria a
norme imperative, non potrebbe comunque esonerare il datore di lavoro
dall’onere delle spese di cui qui si controverte.
5. È inammissibile anche l’ultimo motivo di ricorso. Esso infatti suppone
un fatto contrario all’accertamento fattuale svolto dai Giudici del merito
(ed irretrattabile alla luce del mancato accoglimento delle relative e già
esaminate doglianze), ossia che gli indumenti de quillcs non fossero
qualificabili come DPI; nella quale insussistente ipc:Asi, del resto,
difettando l’inadempimento datoriale, neppure avrebbe potuto essere
accolta la pretesa azionata.
L’esame dei motivi del ricorso incidentale.

1. L’esame del ricorso incidentale proposto dalla Pietro Mazzoni Ambiente
S.p.A. non conduce ad un risultato diverso.
I primi due motivi sono infondati alla luce di quanto sopra esposto con
riguardo al secondo, terzo e quarto motivo del ricorso principale, e ciò in
disparte l’inammissibilità del primo di essi, in quanto mancante del
necessario momento di sintesi. Le censure infatti involgono una questio
facti, quale l’identificazione in concreto dei dispositivi di protezione
individuale” (su cui v. Cass., 23 giugno 2010, n. 15202); come si è detto,
sul punto la motivazione della sentenza impugnata è adeguatamente e
congruamente motivata, avendo la Corte territoriale accertato in fatto la
funzione protettiva svolta dagli indumenti per cui è causa, con una
valutazione in concreto che prescinde dalla loro qualificazione o meno
in tal senso da parte delle fonti contrattuali richiamate.
2. In ordine al terzo motivo di ricorso esso appare inammissibile,
difettando del quesito di diritto e del momento di sintesi imposti dall’art.
366 bis c.p.c. Il ricorso invero risulta mancante in tutte le copie prodotte
nel fascicolo di cassazione delle pagine 19 e 20, che avrebbero dovuto
illustrare e concludere con i detti quesiti le ragioni del motivo di ricorso.
Ad ogni buon conto, nella parte in cui si denuncia la violazione dell’art.
1227 c.c., il motivo si profila inammissibile. L’ipotesi disciplinata dal
secondo comma dell’art. 1227 cod. civ., laddove esclude il risarcimento
del danno che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria
diligenza, costituisce oggetto di una eccezione in senso stretto (Cass., 29
luglio 2003, n. 11672; Cass., 19 dicembre 2006, n. 27123), con la

Udienza del 4 giugno 2014
Aula B (n. 16)
Presidente Stile
Retatore Doronzo
R.G. n. 15396109
Gruppo Gorla s.p.a. e./ Puggioni +2

e

conseguenza che, ove il giudice d’appello non l’abbia esaminata, come
nella specie, ovvero l’abbia ritenuta nuova e inammissibile nel secondo
grado di giudizio, in sede di legittimità il ricorrente, alla luce del
principio di autosufficienza dell’impugnazione, deve indicare le
espressioni con cui detta deduzione è stata formulata nel giudizio di
merito e quando sia avvenuta la detta deduzione, non potendo a tal fine
limitarsi ad asserire che si tratti di fatto pacifico al*rché neppure
individui l’allegazione con la quale esso sarebbe stato introdotto e
mantenuto nella controversia, posto che è pacifico soltanto il fatto che la
parte abbia allegato, in modo tale che la controparte possa arn.metterlo
direttamente ed espressamente oppure in modo indirntto, attraverso
l’affermazione di un fatto che lo presupponga (Cass., 30 »file 2010, n.
10605).
Quanto invece alla sussistenza e all’entità del danno, la Corte, nel
detenninare i danni con valutazione equitativa, ha dato atto di come
l’impossibilità di provare nel loro esatto ammontare i costi e le spese
sostenute derivi proprio dalla natura degli stessi, normalinente affrontati
nell’ambito della quotidiana economia familiare e quindi privi di ogni
riscontro documentale ed ha altresì specificato i parametri presi al
riferimento per la valutazione ai sensi dell’articolo 432 c.p.c. Siffatta
valutazione equitativa compiuta dalla Corte territorigle, in quanto
inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimatività,
attiene ad una tipica valutazione di merito non censurabile in sede di
legittimità perché motivata in termini sufficienti e non contraddittori (in
tal senso, Cass., 18 aprile 2003, n. 6333 e Cass. , 23 luglio 2004, n.
13887).
Il motivo deve dunque essere rigettato.
3. L’ineludibile opinabilità insita nelle valutazioni fattuali rilevanti ai fini
del decidere, di cui è testimonianza l’esito tra loro difforme delle
pronunce di merito, consiglia la compensazione delle spese fra le parti
costituite.

a

P.Q.M.
Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese del giudizio di
legittimità.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2014
Il Presidente

Udienza del 4 giugno 2014
Aula B (n. 6)
Presidente Stile
Relatore Doronzo
R.G. n. 15396109
Gruppo Gorla s.p.a. c/ Puggioni +2

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