Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17831 del 19/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 19/07/2017, (ud. 28/06/2017, dep.19/07/2017),  n. 17831

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9673/2012 proposto da:

F.F., elettivamente domiciliato in ROMA VIA SILVIO

PELLICO 36, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA FACCIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDIO SAVELLI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE UFFICIO CONTROLLI DI

MANTOVA in persona del Direttore pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 22/2011 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 25/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/06/2017 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

p. 1. F.F. propone un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza n. 22/31/11 del 25 febbraio 2011 con la quale la commissione tributaria regionale della Lombardia, in riforma della prima decisione ed in applicazione della sentenza n. 130/08 della Corte Costituzionale, ha declinato la propria giurisdizione in controversia avente ad oggetto l’opposizione ad avviso di accertamento per sanzioni amministrative conseguenti all’accertato impiego di lavoratori dipendenti non iscritti, ovvero iscritti tardivamente, nel libro matricola e nelle altre scritture obbligatorie (D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, convertito in L. n. 73 del 2002).

Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.

Il F. ha depositato memoria.

p. 2. Con l’unico motivo di ricorso il F. lamenta “violazione e falsa applicazione delle norme di diritto”, assumendo che: – non avendo la commissione tributaria regionale riformato nel merito la sentenza di primo grado, quest’ultima (di totale accoglimento del proprio ricorso in opposizione) doveva ritenersi ormai passata in giudicato; – la sentenza della commissione tributaria regionale non era ancora passata in giudicato, con conseguente illegittimità (così pare di comprendere dalla formulazione del ricorso per cassazione) dell’iscrizione a ruolo e della conseguente cartella di pagamento che l’agenzia delle entrate gli aveva successivamente notificato sul presupposto della definitività della pretesa sanzionatoria per mancata riassunzione della causa avanti al giudice ordinario; – tale sentenza era comunque illegittima per mancata indicazione del giudice competente; – quand’anche tale sentenza fosse divenuta definitiva, l’estinzione del giudizio per mancata riassunzione rendeva inefficaci, ex art. 310 c.p.c., gli atti compiuti, ma non le statuizioni di merito pronunciate nel corso del processo; con conseguente permanente efficacia della statuizione di primo grado che aveva ritenuto infondato l’avviso di irrogazione; – la sentenza della commissione tributaria regionale non gli era mai stata notificata, nonostante che egli avesse indicato in atti il proprio domicilio eletto; il che gli aveva “generato la convinzione che la sentenza tardava ad essere pubblicata” (ciò a giustificazione, come pare di comprendere dalla formulazione del ricorso per cassazione, della mancata riassunzione del giudizio avanti al giudice ordinario).

p. 3.1 Va premesso che la commissione tributaria regionale ha correttamente escluso – accogliendo, sul punto, il motivo di appello proposto dall’agenzia delle entrate – la giurisdizione tributaria in materia D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 2, come risultante a seguito della citata sentenza della Corte Costituzionale n. 130/08; esattamente disapplicando, in ciò, la regola della perpetuatio jurisdictionis di cui all’art. 5 c.p.c., in quanto non pertinente agli effetti derivanti dalla pronuncia di illegittimità costituzionale della norma presa a riferimento per determinare la giurisdizione (SSUU 15846/09; SSUU ord. 3370/06; SSUU 28545/08; SSUU 19495/08; SSUU ord. 3046/07).

Così facendo, la sentenza qui impugnata ha indubitabilmente riformato in toto la sentenza del giudice di primo grado (CTP Mantova 143/03/2008) il quale si era pronunciato sul merito della pretesa sanzionatoria ritenendo, per ciò soltanto, di avere, in materia, una giurisdizione che invece non gli spettava; con conseguente decisione presa in carenza di potestas judicandi.

p. 3.2 Ciò chiarito, il ricorso per cassazione è inammissibile.

Esso non risponde ai requisiti di chiarezza, specificità e precisa riferibílità alla decisione impugnata stabiliti dalla disciplina legale di cui all’art. 366 c.p.c., ed ormai da tempo focalizzati da una giurisprudenza pacifica e consolidata (da ultimo, Cass. 9570/17); con quanto ne consegue in ordine alla carenza del connotato fondamentale della autosufficienza, a sua volta richiesto dalla legge per porre questa corte in condizione di effettuare, con la dovuta efficacia ed immediatezza, il controllo di legittimità ad essa demandato. Al contrario, ci si trova di fronte ad un motivo che cumula in sè rilievi di ordine processuale e sostanziale, tra loro slegati e formulati in maniera tale da impedire di cogliere con chiarezza la effettiva portata di ogni singola censura (in evidente contrasto con quanto stabilito da SSUU 9100/15, le quali ammettono la deduzione di più profili di doglianza in un unico motivo, ma solo a condizione che ciò permetta di cogliere con chiarezza la censura a ciascun profilo partitamente riconducibile). Inoltre, esso è privo di puntuale ricostruzione – con relativo richiamo – al decisum impugnato; sì che esso non risulta univocamente riferibile, punto per punto, ad una determinata ratio decidendi della sentenza impugnata. Lacuna, quest’ultima, rilevante anche in presenza di un asserito vizio ex art. 360 n. 3) cit.; necessitante anch’esso della “specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza o dalla dottrina, diversamente non ponendosi la Corte regolatrice in condizione di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione” (Cass. n. 22499 del 19/10/2006; in termini Cass. n. 15952 del 17/07/2007 e molte altre). Si è inoltre stabilito che il motivo di cassazione che si risolva nella mescolanza e nella sovrapposizione di mezzi eterogenei, ancorchè unitariamente preceduti dalla elencazione delle norme e delle regole di giudizio che si assumono violate (peraltro, nella specie, nemmeno questa elencazione sussiste), è inammissibile allorquando richieda “un inesigibile intervento integrativo della Corte che, per giungere alla compiuta formulazione del motivo, dovrebbe individuare per ciascuna delle doglianze lo specifico vizio di violazione di legge o del vizio di motivazione” (Cass. n. 21611 del 20/09/2013).

Va d’altra parte considerato come il motivo di ricorso per cassazione in esame sia addirittura privo di un vero e proprio contenuto censorio, dal momento che esso: – non contrasta affatto quello che è il nucleo decisorio fondamentale della sentenza di appello, appunto concernente la giurisdizione ordinaria in materia (a nulla rilevando, diversamente da quanto vorrebbe il ricorrente, la mancata indicazione del “giudice competente” nell’alternativa fra tribunale di Rimini e quello di Mantova; trattandosi appunto di questione di competenza territoriale e non di giurisdizione, là dove non era in dubbio che l’esclusione della giurisdizione tributaria affermata nella sentenza impugnata non potesse operare che a favore di quella ordinaria, secondo quanto stabilito dal giudice delle leggi); – si sofferma sugli asseriti effetti della sentenza impugnata e della mancata riassunzione del giudizio avanti al giudice ordinario, all’apparente scopo di far valere una causa di affermata invalidità relativa ad un atto diverso tanto dalla sentenza quanto dall’avviso di irrogazione qui opposto, ed individuato (ric. pag. 5) nell'”iscrizione a ruolo” operata dall’agenzia delle entrate appunto a seguito di tale mancata riassunzione; iscrizione a ruolo eventualmente contestabile non in questa sede ma mediante separata impugnativa della cartella di pagamento ad essa relativa; – rimarca una circostanza, costituita dal mancato passaggio in giudicato della sentenza di appello, mai negata dall’amministrazione finanziaria e, comunque, nemmeno questa attinente al contenuto decisorio della sentenza in esame; così come evidentemente estranee a quest’ultimo sono tutte le considerazioni difensive miranti a giustificare e “scusare”, nella concretezza della fattispecie, la mancata tempestiva riassunzione del giudizio.

PQM

 

LA CORTE

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.000,00; oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 28 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017

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