Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17830 del 19/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 19/07/2017, (ud. 28/06/2017, dep.19/07/2017),  n. 17830

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8376/2012 proposto da:

N.P., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA

STAZIONE DELLA STORTA 2, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO

LAPENNA, rappresentato e difeso dall’avvocato VERGINE POMPEO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DI BRINDISI, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 41/2011 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LECCE, depositata il 24/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/06/2017 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

p. 1. N.P. propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 41/23/11 del 24 febbraio 2011 con la quale la commissione tributaria regionale della Puglia, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di irrogazione notificatogli dall’agenzia delle entrate per sanzioni amministrative conseguenti all’accertato impiego (verbale di constatazione 25 novembre 2002) di un dipendente non risultante dalle scritture e dall’altra documentazione obbligatoria (D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, convertito in L. n. 73 del 2002).

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che l’avviso opposto fosse fondato, stante l’avvenuta prova dell’impiego irregolare del dipendente rinvenuto dai verbalizzanti nel panificio del ricorrente.

Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso il N. lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 – violazione della giurisdizione. Per non avere la commissione tributaria regionale rilevato il difetto della propria giurisdizione, essendo quest’ultima devoluta al giudice ordinario a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 1, da parte della sentenza della Corte Costituzionale n. 130/08.

p. 2.2 Va premesso che la presente controversia, ancorchè avente ad oggetto il riparto di giurisdizione, può essere decisa dalla sezione semplice della corte di cassazione in forza di quanto disposto nell’ultima parte dell’art. 374 c.p.c., comma 1.

Ciò posto, il motivo è infondato.

In effetti, il giudice di appello non si è fatto carico del disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, così come risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 130/08 cit.; la quale ha ricondotto il criterio discretivo del riparto di giurisdizione, tra giudice tributario e giudice ordinario, alla natura tributaria della pretesa alla quale accedono le sanzioni amministrative irrogate, con esclusione del criterio alternativo, di natura puramente soggettiva, dato dalla natura finanziaria dell’ufficio irrogante.

Tale mancata considerazione trovava però legittimità e fondamento, nella concretezza della fattispecie, nella circostanza che le parti non avessero proposto – con appello principale o incidentale – alcun motivo di gravame avverso la statuizione con la quale il giudice di primo grado, affrontando il merito della controversia, aveva per ciò solo implicitamente ravvisato i presupposti della giurisdizione tributaria; ritenendo di dover desumere quest’ultima giurisdizione proprio dalla disciplina all’epoca vigente, evidentemente da lui reputata scevra da dubbi non manifestamente infondati di legittimità costituzionale.

E’ vero che la sentenza di illegittimità costituzionale n. 130/08 è intervenuta successivamente tanto alla sentenza di primo grado quanto al deposito dell’atto di gravame contro di essa proposto; e tuttavia, questa circostanza non esclude l’avvenuta formazione del giudicato implicito interno sulla giurisdizione tributaria, essendo pacifico che nessuna delle due parti dedusse tempestivamente la questione avanti il giudice di appello. Deduzione che ben poteva avvenire, con l’atto di gravame, anche mediante istanza volta a sollevare questione di legittimità costituzionale della norma all’epoca ancora vigente.

Il giudicato implicito sulla giurisdizione così formatosi, pertanto, ostava al rilievo d’ufficio della questione ex art. 37 c.p.c. (come stabilito da SSUU 24883/08); e ciò indipendentemente dall’efficacia ablativa retroattiva attribuibile alle pronunce di incostituzionalità, e dell’incidenza di tale efficacia sul principio generale di cui all’art. 5 c.p.c..

Si è in proposito affermato che tale principio, in base al quale i mutamenti di legge intervenuti nel corso del giudizio non assumono rilevanza ai fini della giurisdizione, “si riferisce esclusivamente all’effetto abrogativo determinato dal sopravvenire di una nuova legge, e non anche all’effetto di annullamento dipendente dalle pronunce di incostituzionalità, che, a norma dell’art. 136 Cost., della L. Cost. 11 marzo 1953, n. 1, art. 1 e della L. di Attuazione 11 marzo 1953, n. 87, impediscono al giudice di tenere conto della norma dichiarata illegittima ai fini della decisione sulla giurisdizione”; precisandosi però che tale efficacia retroattiva si arresta di fronte al giudicato, anche implicito, sulla giurisdizione; sicchè, “nel caso in cui la sentenza della Corte Costituzionale sia intervenuta quando il giudicato in merito alla giurisdizione si era già formato, non essendo stata impugnata sul punto (eventualmente anche sollevando questione di legittimità costituzionale) la pronunzia, è inammissibile l’eccezione di giurisdizione sollevata per la prima volta in sede di legittimità” (Cass. SSUU n. 28545/08; così, SSUU ord. 3370/06; SSUU 19495/08; SSUU ord.3046/07 ed altre).

In termini si è espressa anche Cass. SSUU 9594/12, secondo cui “il giudicato implicito sulla sussistenza della giurisdizione, formatosi per effetto della non impugnazione sulla questione di giurisdizione della sentenza che ha deciso il merito della controversia, preclude alla pronuncia di incostituzionalità della norma, sul cui presupposto il giudice ha deciso nel merito, di produrre effetti nel processo, poichè il rilievo del difetto di giurisdizione è ormai precluso”.

In definitiva, il pur condivisibile principio di inapplicabilità dell’art. 5 c.p.c., in ipotesi di sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma sulla giurisdizione, trova limite oggettivo di applicazione proprio nell’ipotesi di giudicato, ancorchè implicito, su quest’ultima formatosi.

p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso il N. deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione del D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, conv. in L. n. 73 del 2002, come risultante a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 144/05. Per non avere la commissione tributaria regionale considerato che l’amministrazione finanziaria aveva illegittimamente presunto, nell’atto di irrogazione, che il dipendente irregolare fosse stato assunto fin dal 1 gennaio dell’anno di accertamento.

p. 3.2 Il motivo è destituito di fondamento.

Con la citata sentenza n. 144/05 la Corte Costituzionale non ha affatto espunto dall’ordinamento il D.L. 22 febbraio 2002, n. 12, art. 3, comma 3, convertito in legge dalla L. 23 aprile 2002, n. 73, art. 1, limitandosi a dichiararne l’illegittimità, per difformità dagli artt. 3 e 24 Cost., “nella parte in cui non ammette la possibilità di provare che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio successivamente al primo gennaio dell’anno in cui è stata constatata la violazione”.

Ha precisato il giudice delle leggi: “premesso che rientra nella discrezionalità del legislatore l’individuazione delle condotte punibili, come pure la scelta e la quantificazione delle sanzioni, tanto penali che amministrative, salvo il limite della non manifesta irragionevolezza, tuttavia, il meccanismo di tipo presuntivo previsto dalla norma censurata, con finalità di ulteriore inasprimento della sanzione, determina la lesione del diritto di difesa; in quanto preclude all’interessato ogni possibilità di provare circostanze che attengono alla propria effettiva condotta, idonee ad incidere sulla entità della sanzione che dovrà subire, determinando, altresì, la irragionevole equiparazione, ai fini dell’applicazione della sanzione, di situazioni tra loro diseguali, con riferimento a soggetti che utilizzano i lavoratori irregolari da momenti diversi e per i quali la constatazione della violazione sia, in ipotesi, avvenuta nella medesima data”.

Su tale presupposto si è affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 24678/11) che: “in tema di sanzioni amministrative per l’impiego di lavoratori non regolarmente denunciati, il D.L. 22 febbraio 2002, n. 12, art. 3, comma 3 (conv. in L. 23 aprile 2002, n. 73), secondo il quale il rapporto di lavoro decorre dal primo gennaio dell’anno dell’accertamento fino al giorno della contestazione della violazione, instaura una presunzione legale, anche intesa ad inasprire ulteriormente il trattamento sanzionatorio, contro la quale è ammessa prova contraria a carico del datore di lavoro, non competendo alcun obbligo a carico dell’ente irrogante la sanzione di provare l’effettiva prestazione di lavoro per il detto periodo”.

La commissione tributaria regionale – il cui decisum è stato qui censurato unicamente sotto il profilo della violazione o falsa applicazione normativa, non anche sotto quello motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non si è dunque discostata da tali principi, là dove ha ritenuto che le risultanze degli accertamenti ispettivi in atti dovessero ritenersi probanti dell’illecito. Anche considerato che non aveva trovato riscontro, così da risultare “inaccettabile”, la tesi del N. secondo cui non di un lavoratore irregolare si sarebbe trattato, bensì di un “semplice cliente”.

Si verte, dunque, di un diverso problema di valutazione dei risvolti fattuali della controversia, che il giudice di merito ha – insindacabilmente – risolto nel senso del mancato superamento della presunzione legale di assunzione del dipendente fin dal 1 gennaio dell’anno della verifica. E ciò la commissione tributaria regionale ha fatto nel corretto discrimine dell’onere della prova; così come posto, dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità in materia, a carico del datore di lavoro.

p. 4.1 Con il terzo motivo di ricorso il N. deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7. Per non avere la commissione tributaria regionale considerato che all’avviso di irrogazione non erano stati allegati atti essenziali; quali il verbale di constatazione e le determinazioni Inps del costo del lavoro, preso a riferimento del quantum irrogato.

p. 4.2 Nemmeno questa doglianza è fondata.

In primo luogo, essa non specifica se ed in che termini la questione sia stata dal N. posta, quale motivo di opposizione, fin dal ricorso introduttivo, ovvero se essa sia stata dedotta (come eccepito dall’agenzia delle entrate) per la prima volta in appello; il che preclude a questa corte di legittimità il vaglio di ammissibilità stessa della questione, segnatamente sotto il profilo della possibile contravvenzione al divieto di novità in appello D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 57 e art. 345 c.p.c..

In secondo luogo, essa – palesandosi, con ciò, non autosufficiente ex art. 366 c.p.c., n. 6) – non riporta neppure, quantomeno nel suo contenuto essenziale ai fini di causa, la formulazione dell’avviso di irrogazione opposto; il che impedisce di valutare la rilevanza, ai fini della verifica di integrità ed adeguatezza della motivazione posta a fondamento della pretesa sanzionatoria, della mancata allegazione degli atti indicati.

Ciò in ragione del fatto che sulla base della norma di cui si lamenta la violazione, l’obbligo di allegazione degli atti richiamati per relationem nell’avviso non trova applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente comunicazione (com’era accaduto, nella specie, per il verbale di constatazione); nè per gli atti generali di comune accessibilità e legale conoscibilità; e nemmeno per gli atti il cui contenuto essenziale sia comunque riportato nell’avviso.

PQM

 

LA CORTE

rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.000,00; oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 28 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017

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