Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17829 del 30/08/2011
Cassazione civile sez. lav., 30/08/2011, (ud. 22/06/2011, dep. 30/08/2011), n.17829
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –
Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –
Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –
Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –
Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
M.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA DELLE QUATTRO FONTANE 15, presso lo studio dell’avvocato
CONTESTABILE GIOVANNI, rappresentato e difeso dall’avvocato MARRI
ALESSANDRO, giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS) in
persona del Presidente e legale rappresentante pro-tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso
l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli
avvocati ALESSANDRO RICCIO, NICOLA VALENTE, SERGIO PREDEN, giusta
procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 175/2009 della CORTE D’APPELLO di MILANO del
19.12.08, depositata il 25/02/2009;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
22/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA LA TERZA;
udito per il ricorrente l’Avvocato Alessandro Marri che si riporta ai
motivi del ricorso;
udito per il controricorrente l’Avvocato Clementina Pulli (per delega
avv. Alessandro Riccio) che si riporta agli scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. CARLO DESTRO
che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.
Fatto
OSSERVA
Con la sentenza impugnata depositata il 25 febbraio 2009 la Corte d’appello di Milano confermava la statuizione di primo grado con cui era stata rigettata la domanda proposta da M.M. nei confronti dell’Inps, per ottenere la differenza tra la pensione liquidata e quella spettante, assumendo che l’Inps la aveva mal calcolata, perchè aveva applicato la disposizione della L. n. 44 del 1973, art. 5, secondo cui i contributi trasferiti dall’Inps all’Inpdai (prima della soppressione del suddetto ente ed il passaggio di funzioni allo stesso Inps) non rientrano nel computo della retribuzione media settimanale pensionabile, senza però tenere conto che, ai sensi della L. n. 867 del 1953, art. 2 e del D.Lgs. n. 181 del 1997, l’importo del trattamento pensionistico complessivo liquidato dall’Inpdai non può essere comunque inferiore a quello previsto, alle medesime condizioni, dall’AGO. Avverso detta sentenza il M. propone ricorso con un unico motivo, l’Inps resiste con controricorso con cui si eccepisce l’inammissibilità del ricorso;
Con l’unico motivo si denunzia violazione della L. n. 697 del 1953, art. 2, comma 3 e del D.Lgs. n. 181 del 1997, art. 3, comma 4 e difetto di motivazione;
Letta la relazione resa ex art. 380 bis cod. proc. civ. di inammissibilità del ricorso;
Viste le memorie depositate da entrambe le parti;
Ritenuto che i rilievi di cui alla relazione sono condivisibili;
Infatti il ricorso è inammissibile per mancanza del quesito di diritto, nonostante la censura riguardi la violazione di legge;
l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, (applicabile, ai sensi dell’art. 27, comma 2, di detto decreto, ai ricorsi per cassazione proposti avverso sentenze rese pubbliche in data successiva all’entrata in vigore del decreto stesso, come nella specie) stabilisce che l’illustrazione di ciascun motivo di ricorso proposto ai sensi del precedente art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3, e 4, debba concludersi, a pena d’inammissibilità del motivo, con la formulazione di un quesito di diritto. Attraverso questa specifica norma, in particolare, il legislatore si propone l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui essi debbono corrispondere. La formulazione del quesito funge da prova necessaria della corrispondenza delle ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimità, inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati. Ne consegue non solo che la formulazione del quesito di diritto previsto da detta norma deve necessariamente essere esplicita, in riferimento a ciascun motivo di ricorso (cfr., in tal senso, Sez. un, n. 7258 del 2007, e Cass. n. 27130 del 2006), ma anche che essa non deve essere generica ed avulsa dalla fattispecie di cui si discute (cfr, Sez. un. n. 36 del 2007), risolvendosi altrimenti in un’astratta petizione di principio, perciò inidonea tanto ad evidenziare il nesso occorrente tra la singola fattispecie ed il principio di diritto che il ricorrente auspica sia enunciato, quanto ad agevolare la successiva enunciazione di tale principio, ad opera della Corte, in funzione nomofilattica.
Inoltre la Corte, con la sentenza 26 marzo 2007 n. 7258 delle Sezioni unite, ha affermato che la disposizione non può essere interpretata nel senso che il quesito di diritto si possa desumere implicitamente dalla formulazione del motivi di ricorso, perchè una tale interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma;
Nè rileva che sia stato eccepito anche il difetto di motivazione, sia perchè manca il momento di sintesi prescritto dal medesimo art. 366 bis, sia perchè, trattandosi di questione di puro diritto, non viene in realtà lamentato alcun difetto di motivazione, il quale peraltro è ammissibile solo sull’interpretazione dei fatti, di cui in questo caso non si fa questione; Non essendosi in memoria dedotte argomentazioni valide a dimostrare la avvenuta formulazione dei quesiti, il ricorso va dichiarato inammissibile;
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro trenta per esborsi e millecinquecento Euro per onorali, con accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 22 giugno 2011.
Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2011