Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17829 del 19/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 19/07/2017, (ud. 28/06/2017, dep.19/07/2017),  n. 17829

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27142/2011 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA VIA APPIA NUOVA

251, presso lo studio dell’avvocato MARIA SARACINO, rappresentato e

difeso dall’avvocato RAFFAELE DE SIMONE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 327/2010 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

FOGGIA, depositata il 21/09/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/06/2017 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

p. 1. C.C. propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 327/25/10 del 21 settembre 2010 con la quale la commissione tributaria regionale della Puglia, in riforma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di irrogazione sanzioni, per l’importo di Euro 42.864,72, notificatogli dall’agenzia delle entrate in relazione al verbale ispettivo 17 marzo 2003; verbale che aveva rilevato l’impiego, nel salone di parrucchiere per signora da lui condotto, di tre dipendenti non risultanti dalle scritture e dall’altra documentazione obbligatoria (D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, convertito in L. n. 73 del 2002).

La commissione tributaria regionale ha rilevato, in particolare, che: – a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 144/05, la presunzione di decorrenza del rapporto di lavoro irregolare dal 1 gennaio dell’anno di accertamento, da assoluta, era diventata relativa, con la conseguenza che spettava al datore di lavoro la prova della decorrenza del rapporto da una data successiva; – nel caso di specie, tale prova non era stata fornita, perchè dal C. basata soltanto su alcune dichiarazioni delle stesse persone assunte “in nero”, considerate non attendibili.

L’agenzia delle Entrate ed il ministero dell’economia e delle finanze hanno depositato controricorso congiunto.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso il C. lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla prova della decorrenza del rapporto di lavoro irregolare da data successiva al 1 gennaio; prova che egli aveva fornito documentalmente attraverso quanto sul punto dichiarato dalle dipendenti irregolari ai verbalizzanti, e da questi ultimi riferito.

p. 2.2 I motivo non può trovare accoglimento, risultando finanche inammissibile là dove mira, attraverso il vizio di carenza motivazionale, a suscitare nella presente sede di legittimità un vaglio di natura fattuale e probatoria della controversia, di per sè riservato alla delibazione discrezionale del giudice di merito.

Questi ha correttamente premesso che la sentenza della corte costituzionale n. 144/05 non ha espunto dall’ordinamento la norma che prevede la presunzione di decorrenza del rapporto irregolare dal 1 gennaio dell’anno di constatazione, affermandone piuttosto l’illegittimità per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. – soltanto nella parte in cui non ammetteva la possibilità di provare che il rapporto di lavoro irregolare avesse avuto inizio successivamente a tale data.

Inoltre, il giudice di merito ha correttamente accollato al datore di lavoro l’onere probatorio di superamento della presunzione relativa così risultante dalla sentenza del giudice delle leggi.

Ciò posto quanto ad inquadramento normativo della fattispecie, la commissione tributaria regionale è poi addivenuta al convincimento di non superamento, nella concretezza del caso, di tale presunzione di decorrenza. Ciò perchè l’unico elemento di prova era stato dal C. fornito nelle dichiarazioni “delle stesse persone assunte in nero che, proprio per la loro particolare posizione, non possono essere ritenute di tale valore probante da essere sufficienti a fondare un giudizio positivo in ordine alla tesi difensiva di merito prospettata”.

Con tale affermazione il giudice di merito ha, in definitiva, sinteticamente ma congruamente motivato il proprio convincimento di inidoneità della prova; in quanto limitata alle sole dichiarazioni provenienti dalle persone rinvenute sul posto di lavoro dai verbalizzanti, ritenute oggettivamente e soggettivamente non attendibili proprio per il diretto e personale coinvolgimento nell’accertamento della violazione e, segnatamente, per il rapporto di dipendenza venutosi a creare con il datore.

Va d’altra parte considerato che il C., nel motivo di ricorso in esame, non lamenta la pretermissione da parte del giudice di appello di altre e più pregnanti fonti probatorie da lui fornite, limitandosi a censurare il giudizio di efficacia dimostrativa da questi attribuita (risolvendosi proprio in ciò la riforma della sentenza di primo grado) all’unica prova allegata; appunto costituita dalle dichiarazioni delle dipendenti “in nero”.

In ragione della motivazione così resa dal giudice di merito, e della corretta applicazione dei criteri normativi di riferimento, va dunque qui riaffermato che alla cassazione della sentenza per vizio della motivazione può pervenirsi solo se risulti che il ragionamento del giudice di merito, come emergente dalla sentenza, sia incompleto, incoerente ed illogico; non quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi considerati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (Cass. 15 aprile 2004 n. 7201; Cass. 14 febbraio 2003 n. 2222; SSUU 27 dicembre 97 n. 13045). Ne deriva che il controllo di legittimità da parte della Corte di Cassazione non può riguardare il convincimento del giudice di merito sulla rilevanza probatoria degli elementi considerati, ma solo che questi abbia indicato le ragioni del proprio convincimento con una motivazione immune da vizi logici e giuridici.

p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione della normativa sanzionatoria di riferimento (D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 5, conv. in L. n. 73 del 2002; D.L. n. 223 del 2006, art. 36 bis, comma 7, lett. a) e b), conv. in L. n. 248 del 06). Per non avere la commissione tributaria regionale applicato – d’ufficio, in quanto più favorevole al contravventore la nuova sanzione amministrativa dovuta in ragione del minor numero di giornate di effettivo lavoro irregolare.

p. 3.2 Nemmeno questo motivo può trovare accoglimento.

Esso dà per scontato che il trattamento sanzionatorio in concreto applicabile debba avere riguardo ad un rapporto di lavoro irregolare che ha avuto inizio – per le tre dipendenti identificate dai verbalizzanti – nelle date indicate negli atti difensivi (dal 14 al 17 luglio 2003), e non all’inizio dell’anno 2003.

Si tratta però di una circostanza che, come detto, il giudice di merito ha ritenuto non provata; con conseguente applicabilità della sanzione a far data dall’inizio dell’anno, in forza della presunzione (non superata) di legge.

Su tale presupposto, è dunque fuor di luogo argomentare sulla asserita maggior mitezza della sanzione applicabile alla luce del D.L. n. 223 del 2006, art. 36 bis, comma 7, lett. a) conv. in L. n. 248 del 2006, (“sanzione amministrativa da Euro 1.500 a Euro 12.000 per ciascun lavoratore, maggiorata di Euro 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo”) rispetto a quella già prevista dal D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, conv. in L. n. 73 del 2002 cit., (“sanzione amministrativa dal 200 al 400 per cento dell’importo, per ciascun lavoratore irregolare, del costo del lavoro calcolato sulla base dei vigenti contratti collettivi nazionali, per il periodo compreso tra l’inizio dell’anno e la data di constatazione della violazione”).

Una volta assodato – per le ragioni svolte nel rigettare il primo motivo di ricorso per cassazione – che il C. non ha provato la decorrenza successiva al 1 gennaio, viene infatti meno lo stesso presupposto di maggior mitezza che egli invoca a sostegno dell’applicazione d’ufficio del favor rei.

Principio, quest’ultimo, che non è comunque riferibile alle sanzioni amministrative in materia; essendo stato discrezionalmente sancito dal legislatore – D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 3, comma 3 – soltanto per le sanzioni amministrative di natura tributaria: v. C.Cost. 193/16 (anche sull’interferenza della questione con gli artt. 6 e 7 CEDU), nonchè Cass. SSUU 23206/09; SSUU 356/10; Cass. 7689/13 e 13433/16.

PQM

 

LA CORTE

– rigetta il ricorso;

– condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.500,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 28 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017

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