Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17828 del 19/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 19/07/2017, (ud. 28/06/2017, dep.19/07/2017),  n. 17828

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23786/2011 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIA F. PAOLUCCI

DE CALBOLI 1, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA CIASCHI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI GALLI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI VARESE,

AMMINISTRAZIONE FINANZE DELLO STATO AGENZIA ENTRATE;

– intimati –

nonchè da:

AMMINISTRAZIONE FINANZE DELLO STATO AGENZIA ENTRATE in persona del

Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente incidentale –

contro

F.G., AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI

VARESE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 147/2010 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 26/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/06/2017 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

p. 1. F.G. propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 147/06/10 del 26 ottobre 2010 con la quale la commissione tributaria regionale della Lombardia, in riforma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento ed irrogazione di sanzioni notificatogli il 20 settembre 2006 dall’agenzia delle entrate per l’impiego, nel proprio ristorante, di due lavoratori dipendenti non risultanti da scritture o altra documentazione obbligatoria (verbale dell’ispettorato del lavoro 21 luglio 2005, con contestazione D.L. n. 12 del 2002, ex art. 3, comma 3, convertito in L. n. 73 del 2002).

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che: infondato fosse il motivo di appello proposto dall’agenzia delle entrate in ordine alla sussistenza nella specie della giurisdizione ordinaria in luogo di quella tributaria, posto che le sanzioni in oggetto erano state irrogate dall’amministrazione finanziaria che ne aveva ex lege il potere e, inoltre, in forza di un avviso di irrogazione che indicava il giudice presso cui impugnare l’atto; – la competenza all’irrogazione delle sanzioni in questione spettasse all’amministrazione finanziaria e non alla direzione provinciale del lavoro, posto che la competenza di quest’ultima operava per le sole constatazioni di violazioni successive all’entrata in vigore del D.L. n. 223 del 2006, art. 36 bis, comma 7, convertito in L. n. 248 del 2006; – la quantificazione delle sanzioni fosse corretta, non avendo il ricorrente fornito la prova, posta a suo carico, che l’impiego irregolare dei due dipendenti si fosse effettivamente protratto per il più breve arco temporale da lui riferito ai verbalizzanti.

Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate, la quale propone anche un motivo di ricorso incidentale in punto giurisdizione.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso principale il F. lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione o falsa applicazione del D.L. n. 223 del 2006, art. 36 biscomma 7, lett. b) e comma 7 bis, convertito in L. n. 248 del 2006 (come modificato dalla L. n. 247 del 2007); nonchè L. n. 212 del 2000, artt. 3 e 10. Per avere la commissione tributaria regionale ravvisato la competenza sanzionatoria dell’agenzia delle entrate, in luogo di quella della DPL, in forza dell’art. 36 cit., comma 7 bis, nonostante che quest’ultima norma (affermativa della permanenza della competenza dell’agenzia delle entrate) non avesse effetto retroattivo, ed operasse dunque solo per le sanzioni irrogate successivamente alla sua entrata in vigore (1 gennaio 2008), indipendentemente dalla data di constatazione dell’illecito.

Il motivo è destituito di fondamento.

La commissione tributaria regionale, nell’affermare nella specie la competenza sanzionatoria dell’agenzia delle entrate, ha fatto corretta applicazione del disposto di cui al D.L. n. 223 del 2006, art. 36 bis, comma 7 bis, conv. in L. n. 248 del 2006, secondo cui: “L’adozione dei provvedimenti sanzionatori amministrativi di cui al D.L. 22 febbraio 2002, n. 12, art. 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 aprile 2002, n. 73, relativi alle violazioni commesse prima della data di entrata in vigore del presente decreto, resta di competenza dell’Agenzia delle entrate ed è soggetta alle disposizioni del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e successive modificazioni, ad eccezione dell’art. 16, comma 2”.

Nel caso in esame, la violazione contestata (assunta dalla legge a discrimine temporale nel riparto di competenza tra agenzia delle entrate e DPL) risale ad epoca (verbale di constatazione 21 luglio 2005) antecedente all’entrata in vigore del comma 7 bis cit.; dal che si evince come – per applicazione diretta, e non retroattiva, della norma – la competenza sanzionatoria continuasse nella specie a spettare all’agenzia delle entrate, indipendentemente dalla data di irrogazione.

Nessuna violazione normativa è dunque riscontrabile.

p. 2.2 Con il secondo motivo di ricorso principale il F. lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omessa o insufficiente motivazione in ordine alla (erronea) valutazione della prova da lui fornita circa il minor arco temporale di impiego dei due lavoratori irregolari; con conseguente illegittimità delle sanzioni, perchè presuntivamente commisurate ad un rapporto di lavoro decorrente dal 1″ gennaio dell’anno di accertamento, D.L. n. 212 del 2002 cit., ex art. 3, comma 3.

Nemmeno questa doglianza può trovare accoglimento.

Il deciso della commissione tributaria regionale risulta conforme alla sentenza della Corte Costituzionale n. 144/05, la quale non ha espunto dall’ordinamento la norma che prevede la presunzione di decorrenza del rapporto irregolare dal 1 gennaio dell’anno di constatazione, affermandone piuttosto l’illegittimità – per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. – soltanto nella parte in cui non ammetteva la possibilità di provare che il rapporto di lavoro irregolare avesse avuto inizio successivamente a tale data.

Su tale premessa, il giudice di merito ha correttamente accollato al datore di lavoro l’onere probatorio di superamento della presunzione relativa così risultante dalla sentenza del giudice delle leggi.

Ciò posto quanto ad inquadramento normativo della fattispecie, la commissione tributaria regionale è poi addivenuta al convincimento di non superamento, nella concretezza del caso, di tale presunzione di decorrenza (sent. pag. 2).

Così decidendo, il giudice di merito ha, in definitiva, sinteticamente ma congruamente motivato il proprio convincimento di inidoneità della prova. Va d’altra parte considerato che il F., nel motivo di ricorso in esame, non lamenta la pretermissione da parte del giudice di appello di specifiche e pregnanti fonti probatorie da lui fornite, limitandosi a censurare il giudizio reso sul punto dal giudice di merito.

Va dunque qui riaffermato che alla cassazione della sentenza per vizio della motivazione può pervenirsi solo se risulti che il ragionamento del giudice di merito, come emergente dalla sentenza, sia incompleto, incoerente ed illogico; non quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi considerati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (Cass. 15 aprile 2004 n. 7201; Cass. 14 febbraio 2003 n. 2222; SSUU 27 dicembre 97 n. 13045). Ne deriva che il controllo di legittimità da parte della corte di cassazione non può riguardare il convincimento del giudice di merito sulla rilevanza probatoria degli elementi considerati, ma solo che questi abbia indicato le ragioni del proprio convincimento con una motivazione immune da vizi logici e giuridici.

p. 3. Con il motivo di ricorso incidentale l’agenzia delle entrate deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 – violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2; per avere la commissione tributaria regionale affermato la giurisdizione tributaria in materia nonostante che, a seguito della sentenza della corte costituzionale n. 130/08, tale giurisdizione non potesse più estendersi ad ogni genere di sanzioni amministrative comunque irrogate da uffici finanziari, essendo invece limitata alle sole sanzioni relative alle controversie di natura tributaria, pacificamente estranea alla presente.

Questo motivo di ricorso incidentale deve ritenersi assorbito dal rigetto, come testè considerato, del ricorso principale del F..

Si tratta infatti di ricorso incidentale al quale va attribuita natura sostanzialmente condizionata alla mancata conferma della sentenza impugnata; nella specie completamente favorevole alle ragioni dell’amministrazione finanziaria (rigetto del ricorso introduttivo del F.). Tanto che quest’ultima difetta di interesse alla cassazione della sentenza stessa; e ciò pur in considerazione della natura pregiudiziale (contestazione di giurisdizione) della doglianza proposta.

Va fatta qui applicazione dell’indirizzo, in termini, secondo cui (Cass. 4619/15): “Alla stregua del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, secondo cui fine primario di questo è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte; e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito. Qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione solo in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale”.

PQM

 

LA CORTE

rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale; condanna il ricorrente principale alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 28 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017

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