Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17827 del 19/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 19/07/2017, (ud. 28/06/2017, dep.19/07/2017),  n. 17827

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22665-2011 proposto da:

M.G.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIA

TUNISI 14, presso lo studio dell’avvocato RUGGIERO CAPONE,

rappresentato e difeso dagli avvocati GAETANA DANIELA LECCISOTTI,

ANTONIO LECCISOTTI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI LUCERA, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2692/2010 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

FOGGIA, depositata il 24/06/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/06/2017 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.

Fatto

RILEVATO

Che:

p. 1. M.G.G. propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 269/25/10 del 24 giugno 2010 con la quale la commissione tributaria regionale della Puglia, in riforma della prima decisione, ha ritenuto legittima la cartella di pagamento notificatagli dall’agenzia delle entrate per sanzioni amministrative conseguenti all’accertato impiego (verbale di constatazione 9 dicembre 2003) di tre dipendenti non risultanti dalle scritture e dall’altra documentazione obbligatoria (D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3 convertito in L. n. 73 del 2002).

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che il ricorso del Grazio fosse inammissibile, perchè proposto non già per vizi propri della cartella, ma per profili di affermata infondatezza, totale o parziale, della pretesa sanzionatoria non più contestabili, perchè dedotti in avvisi di irrogazione di sanzioni regolarmente notificatigli dall’amministrazione finanziaria, e da lui non impugnati.

Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso il Grazio lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 5 – violazione della giurisdizione nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sul punto. Per non avere la commissione tributaria regionale rilevato il difetto della propria giurisdizione, essendo quest’ultima devoluta al giudice ordinario a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 1, da parte della sentenza della Corte Costituzionale n. 130/08. La sopravvenuta carenza di giurisdizione doveva ritenersi qui rilevabile, in quanto riferita ad un rapporto non ancora definito e, inoltre, perchè eccepita con la prima difesa utile successiva alla suddetta pronuncia di illegittimità costituzionale (memoria difensiva in appello).

p. 2.2 Va premesso che la presente controversia, ancorchè avente ad oggetto il riparto di giurisdizione, può essere decisa dalla sezione semplice della corte di cassazione in forza di quanto disposto nell’art. 374 c.p.c., comma 1, u.p..

Ciò posto, il motivo è infondato.

In effetti, il giudice di appello non si è fatto carico del disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, così come risultante dalla sentenza della corte costituzionale n. 130/08; la quale ha ricondotto il criterio discretivo del riparto di giurisdizione, tra giudice tributario e giudice ordinario, alla natura tributaria della pretesa alla quale accedono le sanzioni amministrative irrogate, con esclusione del criterio alternativo, di natura puramente soggettiva, dato dalla natura finanziaria dell’ufficio irrogante.

Tale mancata considerazione trovava però legittimità e fondamento, nella concretezza della fattispecie, nella circostanza che le parti non avessero proposto – nè nell’atto di appello, nè in quello di appello incidentale – alcun motivo di gravame avverso la statuizione con la quale il giudice di primo grado, affrontando il merito della controversia, aveva per ciò solo implicitamente ravvisato i presupposti della giurisdizione tributaria; ritenendo di dover desumere quest’ultima proprio dalla disciplina all’epoca vigente, evidentemente da lui reputata scevra da dubbi non manifestamente infondati di legittimità costituzionale.

E’ vero che la sentenza di illegittimità costituzionale n. 130/08 è intervenuta successivamente tanto alla sentenza di primo grado quanto al deposito degli atti di gravame contro di essa proposti; e tuttavia, questa circostanza non esclude l’avvenuta formazione del giudicato implicito interno sulla giurisdizione tributaria, essendo pacifico che nessuna delle due parti appellanti (principale ed incidentale) dedusse tempestivamente la questione avanti il giudice di appello. Deduzione che ben poteva avvenire, con l’atto di gravame, anche mediante istanza volta a sollevare questione di legittimità costituzionale della norma all’epoca ancora vigente.

Il giudicato implicito sulla giurisdizione così formatosi, pertanto, ostava al rilievo d’ufficio della questione ex art. 37 c.p.c. (come stabilito da SSUU 24883/08); e ciò indipendentemente dall’efficacia ablativa retroattiva attribuibile alle pronunce di incostituzionalità, e dell’incidenza di tale efficacia sul principio generale di cui all’art. 5 c.p.c..

Si è in proposito affermato che tale principio, in base al quale i mutamenti di legge intervenuti nel corso del giudizio non assumono rilevanza ai fini della giurisdizione, “si riferisce esclusivamente all’effetto abrogativo determinato dal sopravvenire di una nuova legge, e non anche all’effetto di annullamento dipendente dalle pronunce di incostituzionalità, che, a norma dell’art. 136 Cost., della Legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, art. 1 e della Legge di attuazione 11 marzo 1953, n. 87, impediscono al giudice di tenere conto della norma dichiarata illegittima ai fini della decisione sulla giurisdizione”; precisandosi però che tale efficacia retroattiva si arresta di fronte al giudicato, anche implicito, sulla giurisdizione; sicchè, “nel caso in cui la sentenza della Corte costituzionale sia intervenuta quando il giudicato in merito alla giurisdizione si era già formato, non essendo stata impugnata sul punto (eventualmente anche sollevando questione di legittimità costituzionale) la pronunzia, è inammissibile l’eccezione di giurisdizione sollevata per la prima volta in sede di legittimità” (Cass.SSUU n. 28545/08; così, SSUU ord. 3370/06; SSUU 19495/08; SSUU ord. 3046/07 ed altre).

In termini si è espressa anche Cass. SSUU 9594/12, secondo cui “il giudicato implicito sulla sussistenza della giurisdizione, formatosi per effetto della non impugnazione sulla questione di giurisdizione della sentenza che ha deciso il merito della controversia, preclude alla pronuncia di incostituzionalità della norma, sul cui presupposto il giudice ha deciso nel merito, di produrre effetti nel processo, poichè il rilievo del difetto di giurisdizione è ormai precluso”.

In definitiva, il pur condivisibile principio di inapplicabilità dell’art. 5 c.p.c., in ipotesi di sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma sulla giurisdizione, trova limite oggettivo di applicazione proprio nell’ipotesi di giudicato, ancorchè implicito, su quest’ultima formatosi.

p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso il Grazio deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – violazione dell’art. 2697 c.c. nonchè insufficienza motivazionale. Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto inammissibile il ricorso avverso la cartella, in quanto preceduta da avvisi di irrogazione di sanzioni debitamente notificati e non opposti; nonostante che la regolare notifica degli atti prodromici, contestata fin dal ricorso introduttivo e poi con l’appello incidentale, non fosse stata provata dall’amministrazione finanziaria.

p. 3.2 Il motivo è infondato.

La CTR, nell’accogliere l’appello con il quale l’agenzia delle entrate instava per l’inammissibilità del ricorso, in quanto non proposto per vizi propri della cartella, ma per asseriti vizi attinenti al merito della pretesa sanzionatoria (come portata da avvisi regolarmente notificati e non impugnati), ha ravvisato l’effettiva regolarità di tale notificazione.

E ciò in ragione del fatto che emergevano dagli atti (indicati dall’agenzia delle entrate) gli elementi identificativi del procedimento notificatorio; nonchè della circostanza (v. sent. CTR, pag. 1) che anche il giudice di primo grado – nel riferire la mancata tempestiva impugnazione degli avvisi all’asserita legittima aspettativa, nell’intimato, di una più favorevole rideterminazione delle sanzioni conseguente alla sentenza della Corte Costituzionale (n. 144/05) in materia – aveva anch’egli dato per assodato che la notificazione degli atti prodromici fosse stata regolarmente eseguita.

Non vi sono dunque elementi per ritenere che la decisione della commissione tributaria regionale sul punto non si sia conformata alle risultanze probatorie attestanti l’effettiva regolare notificazione degli avvisi in oggetto (risultanze richiamate dall’agenzia delle entrate anche nel proprio controricorso e relativi allegati, con indicazione numerica dei plichi RR riferiti agli avvisi, notificati per compiuta giacenza); ciò anche in considerazione della genericità con la quale la parte intimata, pur a fronte della puntuale allegazione effettuata dall’agenzia delle entrate a riprova della regolare notificazione, aveva eccepito che quest’ultima non si era in realtà verificata.

p. 4. Con il terzo motivo di ricorso il Grazio deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10. Per non avere la commissione tributaria regionale considerato l’eccessività delle sanzioni irrogate in rapporto alla sua buona fede; e perchè applicate sul presupposto smentito dallo stesso verbale di constatazione – che i tre dipendenti fossero stati da lui assunti dal 1 gennaio dell’anno dell’accertamento. Ciò in forza di una disposizione, il D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3 cit., dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 144/05.

Questo motivo deve ritenersi assorbito dal rigetto del precedente.

Assodata la fondatezza della statuizione della commissione tributaria regionale in punto definitività ed intangibilità, per mancata impugnazione degli atti di irrogazione, del rapporto impositivo, non può infatti essere qui posto in discussione il trattamento sanzionatorio ad esso concretamente applicato.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00; oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione quinta civile, il 28 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017

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