Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17825 del 03/07/2019

Cassazione civile sez. I, 03/07/2019, (ud. 20/09/2018, dep. 03/07/2019), n.17825

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

K.F., G. e L., quali eredi di

Ko.Gi., elettivamente domiciliati in Roma, via Crescenzio 69, presso

lo studio dell’avv. Guido Ascenzi, rappresentati e difesi nel

presente giudizio, giusta procura in calce al ricorso, dagli avv.ti

Giuseppe Farina (avv.giuseppefarina.pecstudio.it) e Serena Paolini

(avv.serenapaolini.pecstudio.it);

– ricorrenti –

nei confronti di:

Comune di Lago, elettivamente domiciliato in Roma, via di Porta

Pinciana 4, presso l’avv. Fabrizio Imbardelli (studio legale

Santaroni), rappresentato e difeso nel presente giudizio, giusta

procura a margine del controricorso, dall’avv. Carlo Guarnieri che

dichiara di voler ricevere le comunicazioni relative al processo

alla p.e.c. carloguarnieri.pecstudio.it e al fax n. 0984/33697

ovvero al fax 06/4747029;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 83/2013 della Corte di appello di Catanzaro,

emessa in data 11.12.2012 e depositata in data 16.1.2013, n. R.G.

1251/2002;

sentita la relazione in Camera di consiglio del Cons. Dott. Giacinto

Bisogni.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Ko.Gi. quale titolare dell’omonima impresa ha convenuto, con citazione del 2 novembre 1990, davanti al Tribunale di Paola, il Comune di Lago chiedendo la sua condanna al pagamento del credito per l’esecuzione di lavori attinenti alla sistemazione della strada comunale (OMISSIS) appaltati dal Comune. L’impresa K. aggiudicataria dei lavori li aveva completati il (OMISSIS) e aveva chiesto il collaudo che era stato effettuato solo il (OMISSIS). Nel corso dei lavori aveva iscritto specifiche riserve esplicitate nello stato finale dei lavori sulle quali l’amministrazione non aveva inteso provvedere.

2. Si è costituita l’amministrazione comunale di Lago e ha eccepito l’inammissibilità dell’azione, proponibile entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento di diniego e nello specifico dalla data del collaudo. Nel merito ha contestato la domanda e ne ha chiesto il rigetto.

3. Il Tribunale di Paola con sentenza del 29 maggio 2002 ha accertato la fondatezza di due riserve (equo compenso per varianti approvate in corso d’opera e superiori a un quinto dell’importo dei lavori originari; revisione dell’equo compenso) respingendo le altre. Ha condannato il Comune al pagamento della somma di 95.795,96 Euro comprensiva di capitale, interessi e rivalutazione sino al 5 luglio 1994 e degli ulteriori interessi e della rivalutazione sino al saldo.

4. Ha proposto appello il Comune contestando la sussistenza del credito sulla base della consulenza di parte e degli atti di sottomissione del 29 settembre 1979 e del 10 ottobre 1980 con i quali l’impresa K. aveva accettato la esecuzione dei lavori della prima perizia di variante agli stessi prezzi, patti e condizioni del contratto originario con la sola aggiunta del nuovo prezzo NPI.

5. Si sono costituiti in appello gli eredi di Ko.Gi. disconoscendo l’atto di sottomissione del 29 settembre 1979 e eccependo l’inammissibilità e infondatezza dell’appello. Hanno proposto appello incidentale sulle statuizioni del Tribunale di rigetto delle loro domande relative alle riserve non ammesse.

6. La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n. 83/2013, ha accolto l’appello principale del Comune e ha respinto le domande proposte da Ko.Gi. e dai suoi eredi anche per ciò che concerne l’appello incidentale. Ha compensato interamente le spese dei due gradi del giudizio.

7. Ricorrono per cassazione gli eredi K..

8. Si difende con controricorso il Comune.

9. Le parti depositano memorie difensive.

10. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano vizio di ultra o extra petizione e la conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

11. Il motivo è infondato. Il Comune di Lago ha eccepito sin dalla sua costituzione in primo grado la infondatezza della pretesa avversaria di ottenere la sua condanna al pagamento di un equo compenso per i lavori eseguiti e ha fatto riferimento agli atti di sottomissione e a quello del 10 ottobre 1980 in particolare. Tale documento era agli atti sin dal primo grado per essere stato prodotto in giudizio dal K.. Con l’atto di appello il Comune di Lago ha ribadito che l’impresa non aveva diritto a un equo compenso per le opere non previste dal progetto e dal contratto e che si erano rese necessarie nel corso dei lavori per aver ridefinito il rapporto. Su tali presupposti era ovviamente nel potere del giudice verificare la fondatezza o meno della domanda sulla base delle posizioni delle parti e delle prove acquisite. Deve pertanto escludersi che vi sia stata una violazione dell’art. 112 c.p.c..

12. Con il secondo motivo si deduce, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1371 c.c. e la contraddittoria motivazione della sentenza sui criteri per l’individuazione della volontà contrattuale relativamente all’atto di sottomissione del 10 ottobre 1980 nella parte in cui si sono ritenuti rinunciati dall’avente diritto gli equi compensi.

13. La Corte di appello ha rilevato che con l’atto di sottomissione del 1980 le parti hanno raggiunto un nuovo accordo pattuendo prezzi e termini di esecuzione dei lavori e pertanto la pretesa della impresa di ottenere un equo compenso aggiuntivo non può che ritenersi infondata. E’ costante infatti l’affermazione nella giurisprudenza di legittimità (da ultimo cfr. Cass. civ. sez. I n. del 2017) secondo cui “in tema di appalto pubblico ed in applicazione della L. n. 2248 del 1865, art. 344, all. F), nonchè del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 14, qualora l’amministrazione appaltante richieda, in variante dell’opera appaltata, lavori diversi da quelli considerati in contratto, per un importo di oltre un quinto a quello stabilito, la richiesta medesima non si correla ad un potere dell’amministrazione cui corrisponda un obbligo dell’appaltatore, e, pertanto, l’accordo fra le parti per l’esecuzione di tale variante (a mezzo di atto di sottomissione dell’appaltatore alla richiesta dell’amministrazione o di atto aggiuntivo) deve parificarsi a quello che abbia ad oggetto lavori extracontrattuali in senso stretto e qualificarsi come nuovo ed autonomo contratto modificativo del precedente”. Non vi è quindi alcuna violazione dei canoni ermeneutici dato che la Corte di appello ha ritenuto definitivamente regolato il rapporto fra le parti in base al tenore letterale dell’atto del 10 ottobre 1980 e alla premessa essenziale di tale atto costituita dal rilievo della mancata approvazione da parte della Cassa per il Mezzogiorno del precedente atto di sottomissione. Di qui la sottoscrizione di un ulteriore atto di sottomissione diretto a recepire le osservazioni della Cassa e a regolare le “nuove situazione createsi a seguito di eventi franosi” che avevano imposto l’esecuzione di opere non previste nel progetto originario. A tal fine l’atto di sottomissione dell’ottobre 1980 rileva che “per i lavori di cui sopra è stata redatta la perizia suppletiva e di variante n. 1 datata 29.9.1979” e la Cassa per il Mezzogiorno con Delib. 18 settembre 1980 (n. 2834/PT) ha approvato la suddetta stima per il maggior importo netto di Lire 84.817.176. Sulla base di tale premessa l’impresa K. sottoscrisse il nuovo atto di sottomissione obbligandosi “ad accettare l’esecuzione dei lavori previsti nella perizia suppletiva e di variante n. 1 approvata da CasMez. Per come sopra indicato, agli stessi prezzi, patti e condizioni del contratto principale con l’aggiunta del nuovo prezzo NPI, da assoggettare al ribasso del 7.2% ferma restando la decorrenza revisionale prevista nello stesso contratto principale e di accettare il maggior tempo di giorni 180 da assommare alla scadenza contrattuale”.

14. Da parte dei ricorrenti si contesta l’interpretazione estensiva di tale atto del 1980 ritenendo che esso non abbia coperto l’intera materia prevista dal precedente atto del 1979 restando non rinunciati (o ridefiniti) gli aspetti di cui si era occupato l’atto del 1979 e cioè gli effetti delle nuove opere sui lavori già contrattualizzati. Ritengono pertanto i ricorrenti arbitraria l’affermazione della Corte di appello secondo cui l’atto del 1980 abbia interamente superato (o forse meglio sostituito) il precedente. Si tratta di una contestazione di merito che investe il contenuto stesso della valutazione dell’atto di sottomissione dell’ottobre 1980 operata dalla Corte di appello con argomenti logici e coerenti, se riferiti allo svolgimento della vicenda negoziale e all’incidenza su di essa del parere della Cassa per il Mezzogiorno. Deve pertanto ritenersi che la interpretazione dell’atto di sottomissione del 1980 recepita dalla Corte di appello è esente dal sindacato di legittimità. Vale rilevare piuttosto che la censura non si caratterizza per una chiara indicazione dei motivi per cui si ritengono violati dalla Corte di appello i canoni ermeneutici fissati dal codice civile. Viene piuttosto proposta una lettura alternativa dell’atto di sottomissione non priva di asserzioni che non emergono affatto dalla lettura del documento sul quale la Corte di appello ha basato la propria decisione.

15. Con il terzo motivo si deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 13, comma 5 e art. 14, comma 4. I ricorrenti ritengono inapplicabile il principio di diritto affermato dalla Corte di appello e richiamato al precedente punto n. 13 secondo cui qualora l’amministrazione appaltante richieda lavori diversi da quelli considerati in contratto, in variante dell’opera appaltata, per un importo di oltre un quinto a quello stabilito, la richiesta medesima non si correla ad un potere dell’amministrazione cui corrisponda un obbligo dell’appaltatore, e, pertanto, l’accordo fra le parti per l’esecuzione di tale variante (a mezzo di atto di sottomissione dell’appaltatore alla richiesta dell’amministrazione o di atto aggiuntivo) deve parificarsi a quello che abbia ad oggetto lavori extracontrattuali in senso stretto e qualificarsi come un nuovo ed autonomo contratto modificativo del precedente. Ciò per la diversità ontologica dei lavori variati, rispetto alla maggiore onerosità ex art. 1664 c.c., comma 2, dovuta all’aumento delle lavorazioni (pur sempre dello stesso tipo di quelle contrattualizzate), per la diversa previsione contrattuale fra le parti e per la diversità ontologica del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 13 e 14.

16. Il motivo non appare coerente alla sua pretesa e necessaria funzione di contestare la decisione della Corte di appello ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto appare formulato del tutto astrattamente rispetto alla ratio decidendi della decisione impugnata di cui contesta il riferimento alla giurisprudenza citata per poi ribadirne la necessaria applicazione. Va comunque ribadito che la Corte di appello ha chiaramente distinto fra revisione prezzi e equo compenso per opere aggiuntive rispetto al contratto, ha tenuto conto della pattuizione negoziale contenuta nell’atto di sottomissione del 1980 e ha rilevato che in base ad esso la parte appaltatrice ha sostanzialmente optato per una delle due possibilità consentite in caso di lavori aggiuntivi di valore superiore al quinto di quelli originariamente concordati e cioè quella di ridefinire il rapporto mediante un nuovo accordo negoziale.

17. Il ricorso deve pertanto essere respinto con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi Euro 6.200, di cui 200 per spese, oltre spese forfettarie e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2019

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