Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1782 del 28/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 1782 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 21659-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
3556

contro

ALBUZZI ORESTE C.F. lbzrst73a15h501b, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio
dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che lo rappresenta e

Data pubblicazione: 28/01/2014

difende giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 3410/2007 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 19/09/2007 r.g.n. 3275/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

NOBILE;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega FIORILLO
LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per l’inammissibilità.

udienza del 05/12/2013 dal Consigliere Dott. VITTORIO

R.G. 21659/2008
FATTO E DIRITTO

O

Con sentenza n. 7596/2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma, in
parziale accoglimento della domanda proposta da Oreste Albuzzi nei confronti

(secondo) contratto di lavoro intercorso tra le parti dal 8-6-1998 al 30-9-1998,
per “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per
ferie” e condannava la società al pagamento delle retribuzioni maturate dal 1-51999 fino alla data di effettivo ripristino del rapporto, oltre interessi e
rivalutazione.
La società proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la
riforma con il rigetto della domanda di controparte.
L’Albuzzi si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 19-9-2007, in
parziale riforma della pronuncia di primo grado, condannava la società al
pagamento delle retribuzioni che sarebbero maturate dal 9-11-2001 alla data
della sentenza, nella misura indicata dal primo giudice, oltre rivalutazione e
interessi sulle somme via via rivalutate dalle singole scadenze al saldo.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con due
motivi.
L’ Albuzzi ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria ex art.
378 c. p. c..
Infine il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.
Ciò posto va rilevato che con il primo motivo la ricorrente, denunciando
erronea e contraddittoria motivazione, deduce che la Corte di merito, nella
1

della s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la nullità del termine apposto al

parte in cui ha ritenuto che il ceni del 1994 fosse scaduto alla data del 31-12-

oteg

2007, ha erroneamente interpretato la normativa contrattuale in particolare in
ordine all’ultrattività prevista dall’art. 87 del citato contratto, fino alla
stipulazione del nuovo ccnl, avvenuta in data 11-1-2001.

violazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, devono ritenersi
inammissibili le censure relative al vizio di motivazione nell’interpretazione di
una clausola collettiva controversa, stante l’irrilevanza della motivazione della
sentenza impugnata a fronte del potere del giudice di legittimità di leggere
direttamente il testo contrattuale e di enunciarne il significato (v. art. 360 n. 3
c.p.c., come sostituito dall’art. 2 d.lgs. n. 40 del 2006; cfr. Cass. 7-4-2010 n.
8254, con riferimento ai contratti del pubblico impiego e all’art 63 comma 5
del d.lgs. n. 165/2001).
Peraltro la illustrazione del motivo neppure contiene la chiara indicazione
del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, limitandosi la ricorrente a ribadire la propria interpretazione
dell’art. 87 citato. Anche sotto tale profilo la censura risulta quindi
inammissibile.
Con il secondo motivo la società, denunciando violazione degli artt. 1217
e 1233 c.c., lamenta che la Corte di merito non avrebbe svolto alcuna verifica
in ordine alla effettiva messa in mora del datore di lavoro e non avrebbe tenuto
“conto della possibilità che il lavoratore abbia anche espletato attività
lavorativa retribuita da terzi una volta cessato il rapporto di lavoro con la
società resistente”, disattendendo, peraltro, le richieste della società di ordine di
esibizione dei modelli 101 e 740 del lavoratore.
2

Il motivo è inammissibile in quanto, in tema di ricorso per cassazione per

La ricorrente formula, quindi, il seguente quesito di diritto:

“Dica la

Suprema Corte se per il principio di corrispettività della prestazione, il

0

lavoratore — a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del
contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni

mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel
rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206 e segg. cod. civ. “. Tale quesito
risulta del tutto generico e non pertinente rispetto alla fattispecie concreta, in
quanto si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella
materia, senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto
accertamento operato dai giudici di merito (in tal senso v. fra le altre Cass. 4-12011 n. 80).
Del resto, anche la esposizione del motivo risulta del tutto generica e priva
di autosufficienza in quanto si incentra nella doglianza circa la mancanza di
una verifica effettiva della messa in mora, senza che la ricorrente riporti il
contenuto della lettera (pervenuta alla società il 9-11-2001) che, secondo il suo
assunto, non avrebbe integrato un atto di costituzione in mora.
Del pari, per quanto concerne l’aliunde perceptum (in relazione al quale
manca del tutto il quesito), alcunché di specifico viene poi indicato dalla
ricorrente, laddove al riguardo era pur sempre necessaria una rituale
acquisizione della allegazione e della prova (pur non necessariamente
proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato cfr.. Cass. 16-5-2005 n. 10155, Cass. 20-6-2006 n. 14131, Cass. 10-8-2007 n.
17606, Cass. S.U. 3-2-1998 n. 1099 -). Del resto la ricorrente neppure tiene

3

soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in

conto che, sul punto, la Corte di merito ha respinto l’eccezione in quanto
“formulata in termini di mera eventualità dalla società appellante”.

fru

Così risultato inammissibile anche il secondo motivo, riguardante le
conseguenze economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere

dall’art. 32, commi 5°, 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183.
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di
principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di
legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva,
una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in
qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso,
in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato
dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 272-2004 n. 4070).
In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe,
anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad
essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v.
fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80 cit.).
Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile e la ricorrente, in ragione
della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese.
P. Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a
pagare al controricorrente le spese, liquidate in euro 100,00 per esborsi e euro
3.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.
4

in qualche modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato

Roma 5 dicembre 2013

A

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