Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1782 del 27/01/2020

Cassazione civile sez. I, 27/01/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 27/01/2020), n.1782

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27407/2018 proposto da:

A.S., domiciliata in Roma, P.zza Mazzini n. 8, presso

l’Avvocato Cecchini Cristina Laura unitamente all’Avvocato Consuelo

Feroci, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto n. 6085/2018 del TRIBUNALE di BARI, depositato il

07/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/11/2019 dal cons. Dott. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

A.S., nata in (OMISSIS), con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 impugnava dinanzi il Tribunale di Bari, con esito sfavorevole, il provvedimento di diniego della protezione internazionale in tutte le sue forme adottato dalla Commissione Territoriale.

La richiedente aveva riferito di avere assistito, quando lavorava presso una ditta albanese, ad un litigio tra il suo datore di lavoro ed un italiano per motivi commerciali sfociato in una aggressione nei confronti di questi; l’italiano le aveva poi detto di volerla chiamare a testimoniare sulla vicenda e tale motivo la aveva indotta ad abbandonare l’Albania.

Il Tribunale, nel valutare le domande, ha osservato che dal racconto non emergeva alcuna circostanza che potesse fondare il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) non ravvisandosi situazioni di persecuzione intesa come vessazione o repressione violenta implacabile ed ha, altresì, ritenuto non credibile, perchè generico e contraddittorio, il racconto sia in merito ai timori espressi.

Il Tribunale, quindi, a seguito della consultazione del sito (OMISSIS) predisposto dal Ministero degli Esteri aggiornato al luglio 2018 relativo all'(OMISSIS), ha osservato che non risultava alcuna situazione di conflitto armato o di rischio per i civili, sicchè il Paese non appariva interessato all’attualità da una situazione di violenza indiscriminata ed ha denegato anche la protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) D.Lgs. cit.

Infine ha respinto la richiesta di protezione umanitaria, rilevando che la ricorrente non aveva dedotto, nè tanto meno comprovato una specifica situazione di vulnerabilità soggettiva e che lo svolgimento di un’attività lavorativa non giustificava il riconoscimento del beneficio.

La richiedente propone ricorso articolato in due mezzi; il Ministero dell’Interno si è costituto solo al fine di partecipare all’eventuale udienza.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo si denuncia: Errores in iudicando e in procedendo – Violazione e falsa interpretazione della Convenzione di Ginevra del 28/7/1951, come attuata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,7,8 e 14.

La ricorrente si duole del mancato riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria in relazione al rischio di essere perseguitato in Patria dai creditori. Ciò fa lamentando il mancato ascolto da parte dei giudici, che avrebbe – a suo dire – consentito di spiegare meglio le sue ragioni.

Sostiene di avere richiesto l’ascolto (fol. 28 del ricorso) senza tuttavia illustrare il punto in maniera specifica ed autosufficiente e tale circostanza non risulta nemmeno dal decreto, che sembra affrontare la questione d’ufficio.

Il motivo è infondato.

Innanzi tutto va rilevato che il Tribunale ha respinto le richieste di rifugio e di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. a) e b) sulla circostanza che dalle stesse dichiarazioni si evincevano fatti di natura privatistica, non rilevanti quali presupposti per dette forme di protezione perchè non erano nemmeno dedotte situazioni di persecuzione, quale vessazione o repressione violenta implacabile (fol. 2), e non già fondandosi sulla – pur ritenuta – non credibilità delle dichiarazioni.

La censura non coglie quindi nel segno.

Ad ogni modo l’ascolto non era dovuto perchè alla fissazione dell’udienza non consegue automaticamente l’obbligo del giudice di fissare l’audizione, ove la domanda di protezione risulti manifestamente infondata (Cass. n. 5973 del 28/02/2019; Cass. n. 3029 del 31/01/2019), il linea con quanto già affermato dalla CGUE, che ha chiarito che “La direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, e in particolare i suoi artt. 12, 14, 31 e 46, letti alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, deve essere interpretata nel senso che non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione, a condizione che, da una parte, in occasione della procedura di primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale, conformemente all’art. 14 di detta direttiva, e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio, qualora quest’ultimo sia avvenuto, sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo, in conformità dell’art. 17, paragrafo 2, della direttiva medesima, e, dall’altra parte, che il giudice adito con il ricorso possa disporre tale audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto contemplato all’art. 46, paragrafo 3, di tale direttiva.” (sent. CGUE 26/7/12017 in causa C-348/16).

Nel presente caso risulta immune da vizi il decreto impugnato, il quale, nell’escludere la necessità di procedere all’audizione, ha adeguatamente giustificato tale decisione mediante la sottolineatura della sufficienza delle informazioni acquisite (Cass. n. 2817 del 31/01/2019). Inoltre la stessa censura risulta generica ed esplorativa perchè non è accompagnata dall’indicazione delle circostanze che avrebbero potuto essere illustrate.

2. Con il secondo motivo di enuncia: Errores in iudicando e in procedendo- Violazione e falsa interpretazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

La ricorrente si duole del mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

Il motivo è inammissibile.

La statuizione assunta, che fonda il diniego della protezione umanitaria sull’accertamento della mancanza di una specifica situazione di vulnerabilità personale, è conforme al principio secondo il quale, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. S.U. n. 29459 del 13/11/2019; Cass. n. 4455 del 23/02/2018), posto che si è in presenza di un racconto non circostanziato e non credibile – come da accertamento del Tribunale non impugnato – di guisa che non esiste alcuna possibilità di comparazione con la situazione in cui il richiedente aveva vissuto prima dell’allontanamento e che non è stata nemmeno ravvisata l’integrazione sociale. A ciò va aggiunto che la insussistenza dei presupposti accertata dal giudice del merito – e sostanzialmente confermata dalla ricorrente – non trova una adeguata e puntuale replica nell’illustrazione del motivo di ricorso, formulato in termini generali.

3. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

In assenza di attività difensiva della parte intimata non si provvede sulle spese.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Rigetta il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2020

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