Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17816 del 26/08/2020

Cassazione civile sez. III, 26/08/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 26/08/2020), n.17816

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 23906 del ruolo generale dell’anno

2018 proposto da:

EUROPGROUP S.r.l., (C.F.: (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, G.P., rappresentato e difeso,

giusta procura a margine del ricorso, dagli avvocati Donato

Iacovazzi, (C.F.: CVZDNT69S03L049P) e Mauro Giovannardi, (C.F.:

GVNMRA71R16C933V);

– ricorrente –

nei confronti di:

R.T., (C.F.: (OMISSIS)), + ALTRI OMESSI, rappresentati e

difesi, giusta procura in calce al controricorso, dagli avvocati

Paolo Alvigini, (C.F.: LVGPLA49A11D969A) e Giuseppe Fornaro (C.F.:

FRNGPP43M25H501J);

CONDOMINIO (OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), in persona

dell’amministratore pro tempore 2M Amministrazioni di

M.M. & C. S.a.s., in persona del legale rappresentante

M.M. rappresentato e difeso, giusta procura in calce al

controricorso, dagli avvocati Paolo Alvigini (C.F.:

LVGPLA49A11D969A) e Giuseppe Fornaro (C.F.: FRNGPP43M25H501J);

– controricorrenti –

nonchè

COSTRUZIONI SANT’IGNAZIO S.r.l., in liquidazione (C.F.: (OMISSIS)),

in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Venezia n.

1525/2018, pubblicata in data 30 maggio 2018 (e notificata in data

31 maggio 2018);

udita la relazione sulla causa svolta alla Camera di consiglio del 9

luglio 2020 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

R.T., + ALTRI OMESSI hanno convenuto in giudizio la società Costruzioni Sant’Ignazio in liquidazione S.r.l. (loro debitrice per il risarcimento dei danni derivanti da vizi e difetti di costruzione delle rispettive unità immobiliari, site nel medesimo fabbricato in Padova, credito accertato in separato giudizio), unitamente alla società Europgroup S.r.l., per ottenere la dichiarazione di inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 c.c., dell’alienazione di alcuni immobili, effettuata dalla prima in favore di quest’ultima.

Nel corso del giudizio di primo grado è intervenuto il Condominio (OMISSIS) (fabbricato sito di (OMISSIS)), anch’esso creditore della Costruzioni Sant’Ignazio in liquidazione S.r.l. per le medesime ragioni degli attori originari, il quale ha aderito alla prospettazione di questi ultimi ed ha proposto analoga domanda.

L’azione revocatoria è stata accolta dal Tribunale di Padova, che ha dichiarato l’inefficacia dell’atto di compravendita impugnato esclusivamente nei confronti degli attori.

La Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato l’inefficacia dell’atto di compravendita impugnato anche nei confronti del Condominio (OMISSIS), rigettando invece l’appello proposto da Europgroup S.r.l..

Ricorre Europgroup S.r.l., sulla base di quattro motivi.

Resistono con due distinti controricorsi, rispettivamente: a) R.T., + ALTRI OMESSI.

Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’altra intimata. Il ricorso è stato trattato in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione eio falsa applicazione degli artt. 2901 e 2697 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c. – omesso esame di un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere la Corte d’Appello ritenuto in modo assolutamente illogico e contraddittorio che il credito tutelato con l’azione revocatoria sia insorto al momento della manifestazione esteriore dei vizi e difetti degli immobili e non dalla conoscenza della manifestazione del vizio e della sua riconducibilità causale in capo alle parti e che l’atto di compravendita in questione fosse posteriore, anzichè anteriore, al sorgere del credito, con conseguente diversa valutazione del consilium fraudis”.

La società ricorrente sostiene:

a) in diritto, che l’insorgenza della posizione creditoria tutelata, ai fini dell’azione revocatoria, sarebbe data dall’avvenuta conoscenza della sua obbligazione da parte del debitore, poichè solo con la conoscenza si avrebbe il “passaggio tra preordinazione e consapevolezza attuale del pregiudizio”;

b) in fatto, che – nella specie – la sua piena consapevolezza dell’insorgenza dei crediti dei singoli condomini e del Condominio (OMISSIS) sarebbe avvenuta solo con la denunzia, da parte loro, dei vizi e difetti di costruzione delle rispettive unità immobiliari (alla base del relativo credito risarcitorio, poi accertato con sentenza del Tribunale di Padova), denunzia avvenuta nell’agosto 2006, posteriormente all’atto di disposizione patrimoniale oggetto di impugnazione.

Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.

1.1 L’assunto in diritto sostenuto dalla società ricorrente è infondato.

Costituisce principio generale costantemente affermato da questa Corte in tema di azione revocatoria, con riguardo all’anteriorità del credito rispetto all’atto da revocare, quello secondo il quale “per l’esercizio dell’azione revocatoria è sufficiente una ragione di credito eventuale, mentre il requisito dell’anteriorità del credito rispetto all’atto impugnato in revocatoria deve essere riscontrato in base al momento in cui il credito stesso insorga e non a quello del suo accertamento giudiziale” (cfr., ex multis: Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 22161 del 05/09/2019, Rv. 654936 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1968 del 27/01/2009, Rv. 606331 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 12678 del 17/10/2001, Rv. 549698 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 8013 del 02/09/1996, Rv. 499434 – 01).

In particolare, nel caso di credito litigioso – comunque idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria – per stabilire se esso sia o meno sorto anteriormente all’atto di disposizione del patrimonio è necessario fare riferimento alla data del contratto, se di fonte contrattuale, o alla data dell’illecito, se si tratta di credito risarcitorio da fatto illecito, come correttamente statuito nella sentenza di primo grado, sul punto confermata dalla corte di appello.

Il credito avente ad oggetto il risarcimento dei danni per difformità e vizi dell’opera appaltata, di cui agli artt. 1667 c.c. e segg., deriva dall’inesatto adempimento alle obbligazioni derivanti dal contratto di appalto e, quindi, sorge con il completamento dell’opera, a prescindere dal momento in cui le parti acquisiscano concreta conoscenza dei vizi e delle difformità e ne effettuino la relativa denunzia.

E’ pertanto questo il momento rilevante ai fini della valutazione del requisito, di carattere puramente oggettivo, dell’anteriorità del credito rispetto all’atto impugnato in revocatoria, mentre la “conoscenza” in capo al committente dei suddetti vizi e delle suddette difformità e la loro relativa formale denunzia scritta all’appaltatore non può avere alcun concreto rilievo.

1.2 In ogni caso, la corte di appello ha altresì accertato, in fatto, che le difformità ed i vizi delle opere appaltate – a prescindere dalla formale denuncia scritta ai sensi degli artt. 1667 e 1669 c.c. – erano ben note all’appaltatore sin da epoca ampiamente anteriore alla data dell’atto impugnato e, quindi, questi era ben consapevole della propria responsabilità e del relativo debito.

Tale accertamento non è censurabile nella presente sede, sia perchè sostenuto da adeguata motivazione, fondata sull’esame delle emergenze probatorie acquisite (motivazione non apparente nè insanabilmente contraddittoria sotto il profilo logico, quindi non sindacabile in sede di legittimità), sia, comunque, perchè, trattandosi di un accertamento oggetto di doppia decisione conforme in sede di merito, ed essendo stato il giudizio di appello instaurato successivamente al 2012, le censure avanzate ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sono in radice inammissibili, in virtù del disposto dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5.

2. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2901,2740 e 2697 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., nonchè omessa motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver omesso di rispondere su una specifica censura in ordine alla valutazione dell’eventus damni con riferimento ad un momento successivo alla compravendita”.

Secondo la ricorrente, la corte di appello avrebbe completamente omesso la motivazione in ordine alla propria censura, formulata in sede di gravame, relativa al momento di verifica della sussistenza dell’eventus damni (verifica che, a suo dire, avrebbe dovuto essere compiuta con riferimento al momento della stipulazione del rogito).

Il motivo è inammissibile.

La censura – sebbene in rubrica sia indicata la violazione di diverse disposizioni di legge, anche sostanziali – risulta sviluppata esclusivamente in relazione all’omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c..

La ricorrente, peraltro, senza osservare il disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non richiama specificamente nel ricorso il contenuto del suo atto di appello, nella parte in cui sarebbe contenuto lo specifico motivo di gravame che assume non essere stato esaminato dai giudici di secondo grado (nè in modo diretto, mediante la trascrizione dei passi rilevanti dell’atto, nè in modo indiretto, mediante la puntuale relativa indicazione di localizzazione).

D’altra parte, le stesse censure contenute nel terzo motivo del ricorso, aventi ad oggetto la contestazione nel merito dell’accertamento in concreto svolto dalla corte di appello con riguardo alla sussistenza del requisito dell’eventus damni, dimostrano che la questione prospettata con il preteso (ma non adeguatamente richiamato) motivo di appello è stata in realtà di fatto scrutinata dalla corte territoriale.

3. Con il terzo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2901,2740 e 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè omessa motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per non aver valutato specificamente ed in concreto la sussistenza dell’eventus damni”.

La società ricorrente deduce di avere impugnato, con specifico motivo di gravame, l’affermazione del giudice di primo grado secondo cui “successivamente all’atto di compravendita… deve presumersi che il credito nei confronti della banca sia stato azzerato o ridotto entro limiti in grado di consentire una almeno parziale soddisfazione ai condomini creditori”, sostenendo che la verifica della sussistenza dell’eventus damni avrebbe dovuto essere compiuta con riferimento al momento della stipulazione dell’atto e non con riguardo ad un momento successivo.

Contesta la decisione della corte di appello sul punto (in relazione all’affermata sussistenza del requisito del cd. eventus damni), sostenendo che essa sarebbe fondata su elementi indiziari non significativi, o addirittura equivoci, e che non sarebbe stato adeguatamente dimostrato che, anche in presenza di ipoteca sugli immobili alienati, i creditori chirografari avrebbero potuto utilmente aggredirli e trovare soddisfazione.

Il motivo è infondato.

Con riguardo alla valutazione del requisito dell’eventus damni, la sentenza impugnata risulta del tutto conforme, in diritto, agli indirizzi consolidati di questa Corte, secondo i quali:

– “il presupposto oggettivo dell’azione revocatoria ordinaria (cd. “eventus damni”) ricorre non solo nel caso in cui l’atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l’onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore” (ex multis: Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16221 del 18/06/2019, Rv. 654318 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 19207 del 19/07/2018, Rv. 649739 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2336 del 31/01/2018, Rv. 647928 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 1902 del 03/02/2015, Rv. 634175 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 21492 del 18/10/2011, Rv. 619513 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 23263 del 18/11/2010, Rv. 614675 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7767 del 29/03/2007, Rv. 596081 01; Sez. 3, Sentenza n. 19963 del 14/10/2005, Rv. 584470 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 15257 del 06/08/2004, Rv. 577085 – 01);

“in tema di azione revocatoria ordinaria, l’esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo, ancorchè di entità tale da assorbirne, se fatta valere, l’intero valore, non esclude la connotazione di quell’atto come “eventus damni” (presupposto per l’esercizio della azione pauliana), atteso che la valutazione tanto della idoneità dell’atto dispositivo a costituire un pregiudizio, quanto della possibile incidenza, sul valore del bene, della causa di prelazione connessa alla ipoteca, va compiuta con riferimento non al momento del compimento dell’atto, ma con giudizio prognostico proiettato verso il futuro, per apprezzare l’eventualità del venir meno, o di un ridimensionamento, della garanzia ipotecaria” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640191 – 01; nel medesimo senso, cfr.: Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 20671 del 08/08/2018, Rv. 650481 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 25733 del 22/12/2015, Rv. 638077 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 16793 del 13/08/2015, Rv. 636390 – 01; cfr. altresì, sempre in tal senso: Sez. 3, Ordinanza n. 30736 del 26/11/2019, Rv. 655974 – 01), occorrendo quindi sempre, in proposito, un accertamento in fatto, da effettuare caso per caso, con giudizio prognostico proiettato verso il futuro e non esclusivamente al momento dell’atto.

In fatto, i giudici di merito hanno, poi, in primo luogo accertato che, in considerazione della grave situazione debitoria della società appaltatrice, sussisteva l’obiettiva condizione di maggiore incertezza e/o difficoltà nella soddisfazione del credito da parte dei committenti e non era stata fornita alcuna prova (neppure di carattere indiretto o indiziario) in ordine alla perdurante capienza della garanzia patrimoniale generica, pur a fronte della dismissione immobiliare effettuata, da parte delle debitrice.

In secondo luogo, con riguardo alla questione della sussistenza dell’ipoteca sugli immobili alienati (questione che risulta posta dalla ricorrente esclusivamente in relazione alla individuazione del momento in cui andrebbe effettuata la valutazione della sussistenza del requisito cd. dell’eventus damni), la corte di appello ha richiamato espressamente l’indirizzo di questa Corte sopra esposto in ordine al rilievo delle vicende dei crediti garantiti successive all’atto di dismissione impugnato, implicitamente confermando, sul punto, l’accertamento prognostico compiuto dal tribunale sulla presumibile estinzione o riduzione del credito della banca oggetto di ipoteca, entro limiti tali di consentire una almeno parziale soddisfazione dei condomini creditori, accertamento che peraltro non risulta oggetto di specifica contestazione.

Gli indicati accertamenti in fatto, oltre ad essere sostenuti da motivazione non apparente nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede, sono oggetto di doppia decisione conforme in sede di merito e, di conseguenza, non sono censurabili ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in virtù del disposto dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5 (applicabile nella fattispecie in ragione della data di introduzione del giudizio di secondo grado).

4. Con il quarto motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2901,2697,2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè omessa valutazione di un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver fatto discendere l’esistenza della scientia damni in capo al terzo da circostanze inconferenti ed irrilevanti”.

La società ricorrente contesta la conclusione della corte di appello relativa alla sussistenza del requisito cd. della scientia damni, sostenendo che l’argomentazione presuntiva dei giudici di merito sarebbe fondata su circostanze non significative e sarebbe sostenuta quindi da motivazione illogica e contraddittoria.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

La corte di appello ha ritenuto che la Costruzioni Sant’Ignazio S.r.l. fosse consapevole del pregiudizio arrecato ai suoi creditori con l’alienazione del proprio intero patrimonio, costituito da una pluralità di immobili, subito dopo la redazione del bilancio relativo all’anno 2005, dal quale emergeva la sua grave situazione debitoria. Ha inoltre ritenuto che tale consapevolezza fosse comune all’acquirente Europgroup S.r.l., in ragione della contiguità e vicinanza delle due società, sia con riguardo alla sede, sia con riguardo alla parziale coincidenza dei soggetti che ne avevano rivestito o ne rivestivano la qualità di soci o che comunque avevano in esse ricoperto cariche sociali.

In relazione a tali profili della decisione, le censure contenute nel motivo di ricorso in esame (in particolare quelle relative alla pretesa violazione degli artt. 115,116 c.p.c., nonchè degli artt. 2697 e 2729 c.c.) non risultano formulate con la necessaria specificità, in conformità ai canoni a tal fine individuati dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, Rv. 640829 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640192 – 01, 640193 – 01 e 640194 – 01; Sez. U, Sentenza n. 1785 del 24/01/2018, Rv. 647010 – 01, non massimata sul punto).

Si tratta di censure che, sebbene rubricate anche in termini di violazione di legge, si risolvono esclusivamente nella contestazione di accertamenti di fatto compiuti dai giudici di merito, accertamenti che – contrariamente a quanto affermato dalla società ricorrente – risultano sostenuti da adeguata motivazione, non apparente nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede. D’altra parte, i predetti accertamenti di fatto, in quanto oggetto di doppia decisione conforme in sede di merito, non possono essere impugnati ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in virtù del disposto dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5 (applicabile nella fattispecie in ragione della data di introduzione del giudizio di secondo grado).

5. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna la società ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidandole – per ciascuna delle due parti controricorrenti – in complessivi Euro 7.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2020

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