Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17815 del 19/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 19/07/2017, (ud. 14/06/2017, dep.19/07/2017),  n. 17815

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Stella – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1237-2013 proposto da:

ACCIAIERIE MEGARA SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA MARESCIALLO PILSUDSKI

118, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PAOLETTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA ZAGLIO giusta delega in

calce;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CAMPOFELICE DI ROCCELLA, in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE

22, presso lo studio dell’avvocato GUIDO MARIA POTTINO,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI SCIARRINO giusta delega

in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 127/2012 della COMM.TRIB.REG. di PALERMO,

depositata il 17/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/06/2017 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato PAOLETTI per delega dell’Avvocato

ZAGLIO che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato POTTINO per delega

dell’Avvocato SCIARRINO che ha chiesto il rigetto.

Fatto

FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

p. 1. La Acciaierie Megara spa propone sette motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 127/35/12 del 17 ottobre 2012 con la quale la commissione tributaria regionale della Sicilia, in accoglimento dell’appello del Comune di Campofelice di Roccella (PA), ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento e liquidazione da quest’ultimo notificatole per maggiore Ici 2002 e sanzioni; ciò con riguardo ad un’area in sua proprietà della superficie di circa 140.000 m2, e comprendente terreni agricoli nonchè fabbricati fatiscenti costituiti da una preesistente villa padronale, ex palazzine-uffici ed opifici industriali risalenti ad un’acciaieria da tempo dismessa.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che correttamente il Comune avesse applicato l’Ici, sulla porzione di area sulla quale insistevano i fabbricati fatiscenti (iscritti in categoria catastale F/2 – unità collabenti, e privi di rendita), secondo il criterio di determinazione della base imponibile proprio delle aree edificabili; atteso che, sulla base del PRG adottato dal Comune (rilevante D.L. n. 203 del 2005, ex art. 11 quaterdecies, comma 16, conv. in L. n. 248 del 2005; nonchè L. n. 248 del 2006, art. 36), tale area aveva destinazione urbanistica produttiva, con possibilità di interventi di manutenzione sugli opifici industriali preesistenti.

Resiste con controricorso il Comune di Campofelice di Roccella.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

p. 2. Con il primo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 nullità della sentenza; per non avere la commissione tributaria regionale esposto le ragioni di fatto e di diritto in base alle quali aveva ritenuto di attribuire ai fabbricati collabenti in questione qualifica di area edificabile ai fini Ici (art. 156 c.p.c., comma 2, art. 161 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4).

Con il secondo motivo di ricorso si deduce nullità della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c.; per non avere la commissione tributaria regionale pronunciato alcunchè sulla eccezione avente ad oggetto la violazione, da parte del Comune, del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 6.

Con il terzo motivo di ricorso si lamenta nullità della sentenza (art. 156 c.p.c., comma 2, art. 161 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4); per non avere la commissione tributaria regionale esposto le ragioni di fatto e di diritto in base alle quali aveva ritenuto di implicitamente rigettare (qualora si ritenesse di qualificare in questi termini l’omessa pronuncia) la suddetta eccezione di violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 6.

Con il quarto motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2; non potendo attribuirsi qualità di area fabbricabile a fabbricati già esistenti; i quali, nella specie, recavano una base imponibile a fini Ici pari a zero, perchè iscritti in catasto in categoria F/2 e privi di rendita.

Con il quinto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 6. Non vertendosi, nella specie, di utilizzazione edificatoria dell’area mediante opere di realizzazione, recupero o demolizione in corso; bensì di fabbricati preesistenti finiti, e già regolarmente iscritti nel catasto edilizio urbano, oltre che non assoggettati ad alcuna richiesta per interventi di recupero L. n. 457 del 1978, ex art. 31, comma 1, lett. c), d) ed e). Nè l’attività edilizia di manutenzione risultava, nella specie, concretamente attuabile, stante la situazione di totale ed irreversibile collabenza degli edifici.

Con il sesto motivo di ricorso si deduce nullità della sentenza, in relazione all’art. 112 c.p.c.; per omessa pronuncia sull’eccezione di difetto di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato.

Con il settimo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione delle norme sulla motivazione dell’atto impositivo (L. n. 212 del 2000, art. 7 e L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 3). Per non avere la commissione tributaria regionale considerato che, nell’avviso di accertamento in questione, il Comune non forniva elementi sufficienti a consentire un’adeguata difesa; segnatamente, per quanto riguarda il parametro comparativo del valore al metro cubo sviluppato da terreni compravenduti aventi caratteristiche e destinazione urbanistica analoghe, e siti nel medesimo ambito territoriale.

p. 3. Le censure di nullità della sentenza – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – per omessa pronuncia, ovvero per mancata esplicitazione delle ragioni sottese alla decisione (primo, secondo, terzo e sesto motivo di ricorso), sono destituite di fondamento.

Va infatti considerato che la commissione tributaria regionale, dopo aver ricostruito ed indicato – nella parte dedicata allo svolgimento del giudizio – i termini essenziali della controversia, nei suoi risvolti sia fattuali (tipologia del compendio immobiliare in questione; sua classificazione catastale e destinazione urbanistica), sia giuridici (verifica di applicabilità e pertinenza, nella specie, del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 2 e 5; nonchè rilevanza del criterio della destinazione urbanistica secondo quanto dettato dal D.L. n. 203 del 2005, artt. 11 quaterdecies, comma 16, conv. in L. n. 248 del 2005 e L. n. 248 del 2006, art. 36) si è poi soffermata – nella parte motiva – ad illustrare una precisa ratio decidendi. Individuabile nella ritenuta correttezza del criterio di determinazione della base imponibile ai fini Ici alla stregua dell’area fabbricabile D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 2, lett. b); e ciò sul presupposto che l’elemento dirimente di causa dovesse essere individu to nel fatto che l’area in questione era considerata edificabile dal PRG del Comune di Campofelice di Roccella (indipendentemente dall’approvazione del medesimo da parte della Regione, e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi). Tale destinazione, risultante dal programma di fabbricazione e dal decreto assessoriale citato, rilevava quantomeno sotto il profilo della possibilità di interventi di manutenzione sugli opifici industriali già esistenti; possibilità, quest’ultima, equipollente alla “edificabilità dell’area già edificata”.

Questa ragione decisoria di merito, motivata in maniera sintetica ma univoca, implicava l’implicito rigetto dei motivi di opposizione basati su argomenti incompatibili; quali, appunto, la contrarietà alle altre disposizioni di legge invocate dalla società contribuente e, prima ancora, la carenza di motivazione dell’avviso di accertamento, che proprio su tale destinazione urbanistica testualmente si basava.

Va dunque fatta qui applicazione del principio secondo cui per integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto. Il che non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi, in proposito, una specifica argomentazione; dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (tra le molte: Cass. nn. 452/15, 16254/12, 20311/11).

Principio che, nel caso in esame, ben si attaglia anche alla individuazione delle specifiche norme ritenute applicabili alla soluzione del caso; in primo luogo, nel rapporto intercorrente (preso anch’esso necessariamente in esame dal giudice di appello, in quanto posto a base di un decisum logicamente e giuridicamente incompatibile con la tesi difensiva svolta, sul punto, dalla società contribuente) tra il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, lett. b), e art. 5, comma 6.

p. 4. Parimenti infondato è il settimo motivo di ricorso, con cui si lamenta la nullità, per carente motivazione, dell’avviso di accertamento.

Oltre ad essere smentita dallo stesso tenore, quanto mai pertinente e capillare, delle difese svolte dalla società contribuente in giudizio, la tesi (correttamente disattesa dalla commissione tributaria regionale, che è entrata nel merito della pretesa) della insufficiente motivazione dell’avviso di accertamento opposto e della conseguente menomazione dei diritti del contribuente, urta con la formulazione testuale dell’avviso in questione, così come riprodotta in ricorso (pag.2-3) dalla stessa società contribuente.

Tale avviso conteneva infatti la specifica indicazione di tutti gli elementi fondamentali della pretesa impositiva, così quanto: – alla tipologia e volumetria dell’immobile; – agli estremi e contenuto essenziale degli strumenti urbanistici approvati dal Comune e del certificato di destinazione urbanistica rilasciato dall’UTC; – alla variazione catastale F/2 ottenuta nel marzo ‘99 dalla società; – alla possibilità legale, pur a seguito di tale variazione, di interventi edilizi di tipo manutentivo sugli immobili in oggetto; – ai “valori a metro cubo sviluppati da terreni dichiarati negli anni di compravendita per terreni edificabili siti nel territorio del Comune aventi caratteristiche e destinazioni urbanistiche analoghe”; – agli estremi identificativi e di consultazione degli specifici rogiti di trasferimento così presi a riferimento, relativi al periodo 2000-2004; – all’incremento dei valori venali delle aree edificabili riscontrabile, quale fatto notorio, negli anni in questione.

Va d’altra parte considerato che la ricorrente non contesta la congruità in sè del valore attribuito all’area in questione, limitandosi a far valere – come detto – la carenza di motivazione dell’atto impositivo, con riferimento alla normativa su riportata.

Orbene, in base alla previsione generale di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7 l’atto dell’amministrazione finanziaria deve essere motivato alla stregua dei provvedimenti amministrativi, L. n. 241 del 1990, ex art. 3 indicando “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che determinano la decisione dell’amministrazione”.

La giurisprudenza di legittimità si è attestata nell’affermare che “l’obbligo della motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica del valore risulta assolto quando l’Ufficio enunci il “petitum”, ed indichi le relative ragioni in termini sufficienti a definire la materia del contendere” (Cass. n. 25559 del 03/12/2014; Cass. n. 4289/15); si aggiunge che il parametro di sufficienza e satisfattività dell’obbligo di motivazione dell’atto deve essere vagliato nell’ottica del concreto esercizio del diritto di difesa del contribuente, atteso che: “in materia tributaria, l’obbligo di motivazione dell’atto impositivo persegue il fine di porre il contribuente in condizione di conoscere la pretesa, in modo da poter valutare sia l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l'”an” ed il “quantum debeatur””; sicchè tali elementi conoscitivi devono essere forniti all’interessato “non solo tempestivamente, tramite l’inserimento “ab origine” nel provvedimento, ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità idonei a consentire un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa” (Cass. n. 7056/14; così Cass. 16836/14 ed altre).

Si è inoltre osservato che la motivazione di un avviso di rettifica e di liquidazione ha la “funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ufficio dell’eventuale fase contenziosa successiva, consentendo al contribuente l’esercizio del diritto di difesa”, sicchè è necessario e sufficiente che tale motivazione enunci quantomeno i criteri astratti adottati nella determinazione del maggior valore, ancorchè non vengano esplicitati gli elementi di fatto utilizzati nella loro applicazione; posto che il contribuente “conosciuto il criterio di valutazione adottato, è già in condizione di contestare e documentare l’infondatezza della pretesa erariale” (Cass. 25153/13 in materia di valutazione aziendale).

Si è poi posto opportunamente in luce che, una volta assolto dall’ufficio l’obbligo di enunciare i presupposti valutativi adottati e le relative risultanze, esula dal tema della motivazione – per attingere a quello, tutt’affatto diverso, della prova della pretesa tributaria – ogni questione sulla idoneità in concreto del criterio applicato in sede di rettifica (Cass. 9810/14).

Atteso che l’avviso di accertamento in questione risponde ai coefficienti minimi così enucleati, non sussistono i presupposti per la richiesta cassazione – sotto questo profilo – della sentenza impugnata.

p. 5. Si ravvisa invece la fondatezza delle doglianze concernenti la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della normativa Ici di riferimento (quarto e quinto motivo di ricorso).

La tesi della società contribuente – secondo cui (ric. pag. 7) “nulla risulta quindi dovuto ai fini Ici: i fabbricati sono collabenti e privi di rendita e quindi non soggetti all’imposta, e le aree sulle quali essi insistono non sono nè agricole (stante la presenza su di esse degli ex opifici), nè edificabili (stante il dettato dello strumento urbanistico)” – deve trovare accoglimento nei termini che seguono.

In forza del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, nel caso di area edificata la base imponibile Ici è determinata dal valore del fabbricato (comma 1); per i fabbricati iscritti in catasto, tale valore è stabilito applicando un determinato moltiplicatore alla rendita catastale vigente al 1 gennaio dell’anno di imposizione (comma 2); la base imponibile è invece costituita dal valore dell’area, considerata fabbricabile, allorquando nell’anno di imposizione vi sia utilizzazione edificatoria in corso dell’area stessa, demolizione di fabbricato ovvero realizzazione di interventi di recupero ai sensi della L. n. 457 del 1978, art. 31, comma 1, lett. c), d) ed e) (comma 6).

L’applicazione di queste prescrizioni al caso di specie induce ad escludere la fondatezza dell’avviso di accertamento e liquidazione opposto; relativo a fabbricati ìn stato di rovina e, come tali, iscritti fin dal 1999 in categoria catastale F/2.

L’attribuzione di questa categoria (prevista dal D.M. Finanze n. 28 del 1998) presuppone infatti che il fabbricato si trovi in uno stato di degrado tale da comportarne l’oggettiva incapacità di produrre ordinariamente un reddito proprio; per tale ragione l’iscrizione in catasto avviene senza attribuzione di rendita, ed al fine “della sola descrizione dei caratteri specifici e della destinazione d’uso” (art. 3, comma 2 D.M. cit.).

In assenza di rendita, viene meno – secondo la su richiamata disciplina istitutiva la stessa materia determinativa della base imponibile.

Non varrebbe obiettare, con il Comune, che l’iscrizione in categoria catastale F/2 si presterebbe, secondo tale interpretazione, a facile elusione dell’imposta mediante qualificazione catastale come collabenti di fabbricati invece ancora suscettibili di apprezzabile rilievo economico ed appetibilità commerciale.

In tale situazione, certamente possibile, sussisterebbero infatti i presupposti per impugnare tale classificazione, facendone emergere la sua difformità rispetto allo stato di fatto; e ciò tenendo anche presente quanto stabilito dalla nota 29439/2013 della Direzione Centrale Catasto e Cartografia dell’Agenzia delle Entrate, secondo la quale l’attribuzione della categoria in oggetto (tanto alle abitazioni quanto ai fabbricati produttivi) “non è ammissibile quando l’unità immobiliare è censibile in un’altra categoria, o quando l’unità non è individuabile o perimetrabile”.

Ora, nel caso di specie non di questo si discute; dal momento che l’effettiva spettanza, agli immobili della ex-acciaieria, della classificazione catastale F/2 di collabenza da essi conseguita (con quanto ne deriva in ordine alla inesistenza di rendita ed alla inidoneità alla produzione di reddito imponibile) non è stata posta in discussione nemmeno dall’amministrazione comunale, così da costituire quantomeno per l’annualità Ici di riferimento – un dato obiettivo e certo di causa.

Altro è a dire che, esclusa sul fabbricato, l’imposizione Ici dovrebbe colpire l’area di insistenza del fabbricato medesimo.

Si tratta di tesi che la commissione tributaria regionale ha ritenuto di accogliere osservando come, nella specie, ví fossero gli estremi per reputare “edificabile l’area già edificata”; e ciò in forza di un programma di fabbricazione e di un decreto assessoriale “che consentono per gli opifici industriali già esistenti interventi di manutenzione”.

Questa soluzione non è giuridicamente corretta.

Va infatti considerato che gli elementi della fattispecie impositiva sono prestabiliti dalla legge secondo criteri di certezza e tassatività, e che – nel caso dell’Ici – la legge sottopone ad imposta (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1) unicamente (il possesso di) queste tre ben definite tipologie di beni immobili: fabbricati, aree fabbricabili, terreni agricoli.

Come sì è detto, il fabbricato iscritto in categoria catastale F/2 non cessa di essere tale sol perchè collabente e privo di rendita; lo stato di collabenza ed improduttività di reddito, in altri termini, non fa venir meno in capo all’immobile – fino all’eventuale sua completa demolizione – la tipologia normativa di fabbricato. Tanto è vero che la mancata imposizione si giustifica, nella specie, non già per assenza di presupposto ex art. 1 cit., ma per assenza di base imponibile (valore economico pari a zero) ex art. 5 cit..

Senonchè, esclusa la rilevanza tassabile del fabbricato collabente, l’imposizione Ici non potrebbe essere recuperata dall’amministrazione comunale facendo ricorso ad una base imponibile tutt’affatto diversa: quella attribuibile all’area di insistenza del fabbricato.

Ciò perchè quest’ultima non rientra in nessuno dei presupposti Ici, trattandosi all’evidenza di area già edificata, e dunque non di area edificabile.

L’inconciliabilità fra queste due ultime nozioni non è solo concettuale, ma anche giuridica; dal momento che, diversamente ragionando, si verrebbe ad inammissibilmente introdurre nell’ordinamento – in via interpretativa – un nuovo ed ulteriore presupposto d’imposta, costituito appunto dall’area edificata.

In tal senso si è già pronunciata questa corte di cassazione (sent. n. 4308/10) la quale – investita di una fattispecie analoga alla presente – ha ritenuto che la decisione del giudice di secondo grado, volta a consentire il ricalcolo dell’Ici sulla base del valore attribuito all’area edificabile sulla quale sussisteva un fabbricato fatiscente, non potesse ritenersi corretta; dal momento che “non sono parificabilí, per scelta del legislatore, l’ipotesi dell’area risultante dalla demolizione di un rudere e quella dell’immobile dichiarato inagibile ma non demolito; con la conseguenza che, in tale ultima ipotesi, il giudice di merito non può stabilire una categoria nuova ed ulteriore rispetto a quelle previste dal legislatore”.

Osserva il Comune che, come rilevato dal giudice di appello, l’area già sede della ex-acciaieria può essere fatta oggetto di interventi edilizi di recupero e manutenzione straordinaria, sebbene limitati alla conformazione originaria ed alla volumetria esistente; e che, in ragione di ciò, essa mantiene una apprezzabile appetibilità commerciale, tanto da poter essere destinata ad impieghi edilizi speculativi mediante, appunto, ricostituzione dei fabbricati fatiscenti.

Nel caso di specie è in effetti pacifico che i terreni dov’era situato l’opificio dismesso, ancorchè ricadenti in un più ampio ambito destinato a verde agricolo (Zona E), mantenevano, in base al PRG, la pregressa destinazione urbanistica di impiego produttivo-industriale, sebbene per la sola realizzazione di interventi di manutenzione; e tuttavia l’argomento dedotto dal Comune non può dirsi dirimente.

Va intanto considerato che la presente controversia ha ad oggetto, non già il valore commerciale ipoteticamente attribuibile all’area in questione nella prospettiva dinamica della sua futura valorizzazione edilizia ed urbanistica, ma soltanto i presupposti dell’imposizione Ici relativi ad una determinata annualità (2002). Sicchè non sembra che possa qui prescindersi dal dato oggettivo e pacifico in usa, secondo cui in tale annualità (ferma restando la riconsiderazione della fondatezza della pretesa impositiva del Comune con riguardo ad annualità successive, nel corso delle quali quella valorizzazione abbia, in ipotesi, trovato sbocco concreto), si verteva appunto e soltanto di un fabbricato collabente fatto oggetto di conforme ed incontestata iscrizione catastale; non dedotto in alcun intervento in corso, nè in alcuna convenzione o pratica amministrativa pendente di recupero e valorizzazione edilizia (con conseguente esclusione altresì dell’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 6).

Oltre a ciò, deve comunque considerarsi errato lo stesso richiamo alla edificabilità dell’area di insistenza del fabbricato fatiscente.

Soccorre, in proposito, quanto già osservato – con riguardo ad immobili della Acciaieria di Sicilia spa e siti in Campofelice di Roccella – da Cass. ord. nn.20160-3/14 (Ici 2003-2006); secondo cui “non può essere considerata edificabile l’area inserita dallo strumento urbanistico nella zona omogenea A residenziale storica di risanamento conservativo ancorchè per tale area la normativa comunale preveda solo interventi edilizi di recupero e risanamento delle costruzioni esistenti, senza possibilità di incrementi volumetrici”.

Si tratta di conclusione armonica rispetto all’indirizzo di legittimità formatosi in materia di plusvalenze reddituali realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili dí utilizzazione edificatoria, secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione stessa (art. 81, comma 1, lett. B) T.U.I.R., ora art. 67):Cass. nn. 15631/14; 4150/14; 15321/13.

I motivi di ricorso in esame vanno pertanto accolti, mediante affermazione del principio secondo cui: a, il fabbricato collabente iscritto in conforme categoria catastale F/2 si sottrae ad imposizione Ici; e ciò non per assenza del presupposto dell’imposta (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1), ma per azzeramento della base imponibile (art. 5 D.Lgs. cit.), stante la mancata attribuzione di rendita e l’incapacità di produrre ordinariamente un reddito proprio; b. la mancata imposizione Ici del fabbricato collabente non può essere recuperata dall’amministrazione comunale prendendo a riferimento la base imponibile costituita dal valore venale dell’area sulla quale esso insiste, posto che la legge prevede l’imposizione Ici (oltre che dei fabbricati e dei terreni agricoli) dell’area edificabile, non anche di quella già edificata; c. anche ai fini Ici, come in materia di plusvalenze reddituali da cessione di area edificabile, non può essere considerata tale l’area inserita dallo strumento urbanistico in zona di risanamento conservativo per la quale la normativa comunale preveda solo interventi edilizi di recupero e risanamento delle costruzioni già esistenti, senza possibilità di incrementi volumetrici.

Dall’accoglimento consegue la cassazione, in relazione ai motivi accolti, della sentenza impugnata. Poichè non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, nè sono state dedotte altre questioni controverse, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., mediante accoglimento del ricorso introduttivo della società contribuente.

Visto il consolidarsi soltanto in corso di causa dell’orientamento di legittimità in materia, si ritiene che le spese del giudizio di merito debbano essere compensate; con addebito al Comune controricorrente delle spese del presente giudizio di cassazione.

PQM

 

LA CORTE

– accoglie il quarto ed il quinto motivo di ricorso, respinti gli altri;

– cassa, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo di Acciaierie Megara spa;

– condanna parte controricorrente Comune di Campofelice di Roccella al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 7.300,00, oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge; compensa le spese del giudizio di merito.

Così deciso nella camera di consiglio della sezione quinta civile, il 14 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017

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