Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1781 del 28/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 1781 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 21479-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
3552

contro

DELLE DONNE SARA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato RIZZO
ROBERTO, che la rappresenta e difende, giusta delega

Data pubblicazione: 28/01/2014

in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3473/2007 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 13/09/2007 r.g.n. 2263/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

NOBILE;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega FIORILLO
LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udienza del 05/12/2013 dal Consigliere Dott. VITTORIO

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R.G. 21479/2008

ko2

FATTO E DIRITTO
Con sentenza n. 5872/2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma, in
accoglimento della domanda proposta da Sara Delle Donne nei confronti della

lavoro intercorso tra le parti dal 19-12-2000 al 17-3-2001, per “esigenze
eccezionali” ex art. 8 ceni 1994 come integrato dall’acc. 25-9-97 e succ., con la
conseguente sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato dal 19-12-2000,
e condannava la società al pagamento delle retribuzioni maturate dal 27-32001, detratto quanto percepito nel successivo periodo lavorato.
La società proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la
riforma con il rigetto della domanda di controparte.
La Delle Donne si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 13-9-2007, in
parziale riforma della pronuncia di primo grado dichiarava il diritto della Delle
Donne al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni che le sarebbero
spettate dal 27-3-2001 al 17-3-2004 (scadenza del triennio successivo alla
cessazione di fatto del rapporto), oltre gli interessi sulle somme annualmente
rivalutate e detratto quanto percepito nei successivi periodi lavorati.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con tre
motivi.
La Delle Donne ha resistito con controricorso e da ultimo ha depositato
memoria ex art. 378 c.p.c..
Infine il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.

1

s.p.a. Poste Italiane dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di

Ciò posto va rilevato che con i primi due motivi la società censura (sotto i

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profili della violazione di legge e del vizio di motivazione) la sentenza
impugnata nella parte in cui ha ritenuto la nullità del termine apposto al
. contratto de quo in quanto stipulato (per “esigenze eccezionali…”) oltre il

ed all’uopo sostiene la insussistenza di tale termine e la natura meramente
ricognitiva dei detti accordi.
I motivi sono infondati in base all’indirizzo ormai consolidato in materia
dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al
ceni del 2001 ed al d.lgs. n. 368 del 2001).
Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato
che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del
1987, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli
previsti dalla legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di
considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato
del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro
diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di
lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo
indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi
specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a
condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di
procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v.
anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n.
14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei
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termine ultimo fissato dagli accordi collettivi attuativi dell’acc. az. 25-9-1997

contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi
vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste
dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale
in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre,

In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia
stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto
collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione
del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745,
Cass. 14-2-2004 n. 2866).
In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e
come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti
postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8
del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo,
sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la
sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica
dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli
assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998;
ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine
cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo
derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi
contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962
n. 230” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-11-2008 n. 28450;
Cass. 4-8-2008 n- 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

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Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In applicazione di tale principio vanno quindi respinti i detti primi due
motivi.

ou

Con il terzo motivo la società, denunciando violazione degli artt. 1217 e
1233 c.c., lamenta che la Corte di merito non avrebbe svolto alcuna verifica in

“conto della possibilità che il lavoratore abbia anche espletato attività
lavorativa retribuita da terzi una volta cessato il rapporto di lavoro con la
società resistente”, disattendendo, peraltro, le richieste della società di ordine di
esibizione dei modelli 101 e 740 del lavoratore.
La ricorrente formula, quindi, il seguente quesito di diritto:

“Dica la

Suprema Corte se per il principio di corrispettività della prestazione, il
lavoratore — a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del
contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni
soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in
mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel
rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206 e segg. cod. civ. “. Tale quesito
risulta del tutto generico e non pertinente rispetto alla fattispecie concreta, in
quanto si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella
materia, senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto
accertamento operato dai giudici di merito (in tal senso v. fra le altre Cass. 4-12011 n. 80).
Del resto, anche la esposizione del motivo risulta del tutto generica e priva
di autosufficienza in quanto si incentra nella doglianza circa la mancanza di
una verifica effettiva della messa in mora, senza che la ricorrente riporti il
contenuto della comunicazione che, a suo dire, non avrebbe integrato un atto di
4

ordine alla effettiva messa in mora del datore di lavoro e non avrebbe tenuto

costituzione in mora. Del pari, per quanto concerne l’aliunde perceptum (in
relazione al quale manca del tutto il quesito), la censura è altrettanto generica e,
peraltro, neppure tiene conto del decisum, in quanto la sentenza impugnata ha
già detratto quanto percepito nei successivi periodi lavorati”.

economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche
modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dall’art. 32,
commi 5 0 , 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183.
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di
principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di
legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva,
una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in
qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso,
in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato
dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 272-2004 n. 4070).
In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe,
anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad
essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v.
fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80 cit.).
Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.
Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente, in ragione della
soccombenza, va condannata al pagamento delle spese in favore della Delle
Donne.
P.Q.M.
5

Così risultato inammissibile il terzo motivo, riguardante le conseguenze

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare alla Delle

fria

Donne le spese, liquidate in euro 100,00 per esborsi e euro 3.500,00 per
compensi, oltre accessori di legge.

Roma 5 dicembre 2013

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