Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17808 del 03/07/2019

Cassazione civile sez. I, 03/07/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 03/07/2019), n.17808

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12699/2014 r.g. proposto da:

L.F., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli Avvocati Andrea

Crismani e Francesco Vetrò, elettivamente domiciliato in Roma, Via

Panama n. 58, presso lo studio dell’Avvocato Vetrò;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l., (P. IVA (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante pro tempore curatore Avv. Marco Toso,

rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta a margine

del controricorso, dall’Avvocato Giovanni Contestabile, presso il

studio elettivamente domicilia in Roma, alla Via di Villa Severini

n. 54;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Venezia, depositato in data

11.4.2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/5/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Venezia – decidendo sull’opposizione allo stato passivo avanzata da L.F. nei confronti del FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l., in relazione al provvedimento di diniego emesso dal g.d. di insinuazione al passivo in via privilegiata ex art. 2775 bis c.c. della somma corrispondente alla caparra confirmatoria versata al momento della stipulazione del contratto preliminare di compravendita immobiliare intercorso con la società poi fallita – ha confermato il provvedimento di rigetto del g.d., rigettando, pertanto, la proposta opposizione.

Il ricorrente aveva proposto opposizione, esponendo: a) di aver concluso in data 30 ottobre 2007 un contratto preliminare di compravendita, avente ad oggetto l’unita immobiliare destinata ad abitazione principale, per il prezzo di Euro 169.000 con versamento contestuale della somma di Euro 167.000, a titolo di caparra confirmatoria; b) di aver, in data 23 febbraio 2012, ripetuto il predetto contratto e prorogato gli originari termini per la conclusione del contratto definitivo, con atto ricevuto dal Notaio, debitamente registrato e trascritto in data 29 febbraio 2012; c) di aver pertanto richiesto al fallimento di subentrare nel contratto preliminare di vendita e, in via subordinata, l’ammissione al passivo in via privilegiata, ai sensi dell’art. 2775 bis c.c., per Euro 328.000 (pari al doppio della caparra confirmatoria versata) ovvero l’ammissione sempre in via privilegiata della minor somma per Euro 164.000 pagata a titolo di caparra confirmatoria.

Il g.d. aveva disposto l’ammissione del ricorrente per la minor somma sopra indicata in via chirografaria e condizionata allo scioglimento del contratto preliminare stipulato in data 23.2.2012.

Il tribunale, in sede di giudizio di opposizione, ha ritenuto inammissibile la domanda volta ad ottenere da parte del curatore il subentro nel contratto preliminare pendente tra il ricorrente e la società fallita; nel merito della domanda di insinuazione, ha ritenuto che dovessero essere distinti i due contratti preliminari succedutisi nel tempo, posto che la prima scrittura, non autenticata e non indicante la destinazione dell’immobile, era inidonea a costituire titolo per ottenere la specifica tutela prevista per legge in favore del promissario acquirente di immobile da costruire (da destinarsi ad abitazione principale), stante la non trascrivibilità del relativo negozio intercorso tra le parti; quanto al successivo contratto rinnovato innanzi al notaio, ha ritenuto la revocabilità dello stesso in quanto volto a costituire prelazione in favore del promissario acquirente a scapito degli altri creditori per un credito sorto e già scaduto.

Il tribunale ha dunque osservato che la reclamata prelazione del credito discendeva non dalla causa del credito stesso, ma dalla mera volontà delle parti contrattuali, attraverso la rinnovazione del contratto, nelle forme di legge, di un precedente contratto preliminare a termini di adempimento già scaduti, in modo non difforme, dunque, dalle ipotesi di atti costitutivi di diritti di prelazione assoggettati pacificamente dalla legge alla sanzione della revocabilità.

2. Il decreto, pubblicato l’11 aprile 2014, è stata impugnato da L.F. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui il FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l. ha resistito con controricorso.

Il controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo la parte ricorrente – lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 3 e art. 67, comma 2, – si duole dell’erroneità della decisione impugnata laddove la stessa aveva affermato che il privilegio richiesto sarebbe disceso non già dalla causa del credito, ma dalla volontà delle parti diretta al solo fine di costituire una prelazione in favore del ricorrente in violazione della par condicio creditorum. Osserva invece il ricorrente che la fattispecie negoziale conclusa tra le parti non era comunque suscettibile di essere ricondotta nell’alveo applicativo di cui alla L. Fall., art. 67, comma 1, nn. 3 e 4, in quanto la trascrizione del preliminare non costituiva in favore del richiedente alcuna garanzia in favore del promissario acquirente nei termini di diritto di pegno, anticresi o ipoteca, quanto piuttosto un mero privilegio ex art. 2775 bis c.c. non contemplato nella predetta disposizione. Si evidenzia che con la denunciata forzatura interpretativa il tribunale intendeva utilizzare la presunzione di conoscibilità dello stato di insolvenza prevista dal richiamato art. 67, art. 1 conoscenza comunque da escludersi nel caso di specie, stante la posizione non qualificata del L.. Osserva ancora il ricorrente che non era applicabile alla fattispecie in esame neanche la previsione normativa di cui alla L. Fall., art. 67, comma 2, in quanto il privilegio accordato normativamente non si riferisce ad un credito creato contestualmente al contratto, bensì, come riconosciuto dallo stesso tribunale, ad un credito sorto anteriormente alla stipula del primo contratto preliminare di vendita.

2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 72, comma 7, in relazione agli artt. 2645 bis e 2775 bis c.c.. Osserva il ricorrente come il negozio trascritto, nel rinnovare la precedente scrittura privata del 2007, presentava tutti i requisiti di forma e di sostanza di un contratto preliminare di compravendita di immobile in costruzione ad uso abitativo, con la conseguente applicabilità della reclamata prelazione sul credito nascente dal negozio.

3. Il ricorso è infondato.

3.1 Il primo motivo è infondato.

Osserva la Corte come, nel caso di specie, la rinnovazione del contratto preliminare nelle forme idonee a consentire la trascrizione del titolo negoziale rappresenti solo lo strumento negoziale per costituire un titolo di prelazione a ridosso della dichiarazione di fallimento ed in violazione della par condicio creditorum.

Sul punto occorre richiamare quella giurisprudenza di legittimità la quale ha chiarito che “in tema di azione revocatoria fallimentare, l’espressione, adoperata dalla L. Fall., art. 67, comma 2, secondo cui sono revocabili, fra l’altro, gli atti “costitutivi di un diritto di prelazione per debiti contestualmente creati”, si riferisce al caso in cui il diritto di prelazione sorga come effetto giuridico di un atto negoziale diretto a crearlo e, quindi, esclusivamente come effetto di una dichiarazione di volontà delle parti e non per diretta volontà della legge” (Sez. 1, Sentenza n. 8544 del 28/05/2003).

Ebbene, nel caso di specie la prelazione oggetto di contestazione da parte della curatela non nasce dalla fattispecie legale di cui all’art. 2775 bis c.c. tramite la stipulazione del contratto preliminare e sua trascrizione, quanto da un atto negoziale delle parti volto esclusivamente alla rinnovazione del primo contratto preliminare con le forme idonee alla trascrizione e con l’evidente volontà di frodare gli altri creditori.

Nel caso di prelazione legale, il creditore ha diritto alla prelazione sin dal momento in cui sorge il suo credito ed in virtù di una valutazione legale relativa alla causa del credito e l’attività del creditore è, dunque, soltanto diretta a rendere opponibile il privilegio legale agli altri creditori. Ed invero, in questo caso la peculiare compenetrazione fra prelazione e causa del credito esclude che l’attribuzione della prelazione possa essere investita da un giudizio di disvalore, per frode ai creditori, senza che un tale giudizio non coinvolga anche il negozio dal quale il credito deriva (v. Cass. 27 ottobre 2000, n. 14153).

Nel caso in esame non vi è dubbio che l’originario contratto preliminare stipulato tra le parti non corrispondesse alla fattispecie legale prevista dall’art. 2775 bis c.c. per il riconoscimento del richiesto privilegio speciale, atteso che il predetto contratto non era stato redatto nella forma dell’atto pubblico ovvero della scrittura privata autenticata, nelle forme, cioè, idonee all’esecuzione della trascrizione e dunque all’integrazione dello schema legale descritto dal sopra ricordato art. 2775 bis c.c..

Ne consegue che non può certo ritenersi soccorrere la valutazione legale relativa alla causa del credito per fondare un giudizio di legittima pretesa del titolo prelazionario e allo stesso modo l’attività del creditore non può certo ritenersi diretta, attraverso la rinnovazione del contratto preliminare nelle forme idonee alla trascrizione del titolo negoziale, solo a rendere opponibile il privilegio legale agli altri creditori.

Al contrario è il creditore che, volendo anche prevenire gli effetti caducatori previsti dall’art. 2645 bis c.c., comma 3 (come tali legati alla mancata trascrizione del contratto definitivo nei termini di legge), ha inteso ripetere il contratto preliminare nelle forme previste dall’art. 2745 bis c.c. per costituire, su base negoziale e superando i limiti legali, un titolo prelazionario del credito a pochi mesi della declaratoria di fallimento e, dunque, in violazione della par condicio creditorum.

Non coglie neanche nel segno l’obiezione della non contestualità del credito oggetto di prelazione in relazione al dettato normativo di cui alla L. Fall., art. 67, comma 2, (di cui deve, dunque, affermarsi l’applicabilità al caso di specie), atteso che, in assenza di un’ammissibile contestazione da parte del ricorrente della prova della scientia decoctionis ai sensi del dettato normativo da ultimo menzionato (stante la proposizione della relativa eccezione solo in questo giudizio di legittimità e la mancata indicazione della stessa negli atti difensivi dei precedenti giudizi di merito), deve ritenersi non fondata la deduzione del ricorrente in ordine al profilo temporale dell’insorgenza del credito protetto dall’invocata prelazione legale. Invero, la valutazione negativa prevista dall’ordinamento in relazione alla violazione delle regole della par condicio creditorum, già resa manifesta dal legislatore, nella L. Fall., art. 67, comma 1, in riferimento alla revocabilità di atti di costituzione negoziale di garanzie per crediti preesistenti anche non scaduti, deve valere a fortiori per la revocabilità di atti costitutivi di diritti di prelazione anche non contestualmente creati.

Deve pertanto ritenersi corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., la motivazione impugnata, nel senso sopra chiarito dell’applicabilità al caso di specie del disposto normativo di cui alla L. Fall., art. 67, comma 2, e per le ragioni indicate nella motivazione che precede.

3.2 Il secondo motivo deve ritenersi assorbito.

Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del contro-ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2019

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