Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17807 del 26/08/2020

Cassazione civile sez. III, 26/08/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 26/08/2020), n.17807

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26081/2018 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIEMONTE 39,

presso lo studio dell’avvocato MICHELE GUZZO, rappresentato e difeso

dall’avvocato MAURIZIO SAVASTA;

– ricorrenti –

contro

D.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMANUELE

FILIBERTO 166, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO CORVASCE,

rappresentato e difeso dall’avvocato PASQUALE NASCA;

– controricorrenti –

e contro

S.F.P., A.L., S.E.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 328/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 21/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/07/2020 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

udito l’Avvocato.

 

Fatto

RILEVATO

che:

D.F. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Lecce ai sensi dell’art. 30 bis c.p.c., S.A., S.F.P., S.E.M. e A.L.. Espose quanto segue: con scrittura privata del 6 giugno 2006 S.A. si era obbligato a venderle alcune porzioni dell’immobile (OMISSIS) per il prezzo di Euro 230.000,00, con previsione di ripartizione delle spese di ristrutturazione e di manutenzione, e gestione ove la masseria fosse stata adibita ad attività lucrativa; era stato versato l’importo di Euro 270.951,25, superiore al prezzo previsto; i rapporti fra le parti si erano incrinati; S.A. aveva con separati atti di donazione trasferito i diritti immobiliari al fratello ed alla sorella ed aveva altresì concesso in comodato la masseria alla cognata A.L.; in data 25 marzo 2010 S.A. aveva fatto offerta reale per l’importo di Euro 240.000,00. Propose quindi azione revocatoria delle donazioni, eseguite in data 1 agosto 2009 e 29 gennaio 2010, nonchè del comodato di data 16 febbraio 2009; chiese inoltre pronuncia ai sensi dell’art. 2932 c.c., in relazione alla promessa di vendita di data 6 giugno 2006, la condanna di S.A. al pagamento della somma di Euro 80.000,00 a titolo di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale ed in via subordinata la condanna alla restituzione della somma di Euro 270.951,25.

Si costituì S.A. eccependo preliminarmente l’incompetenza territoriale del giudice adito e chiedendo, oltre il rigetto della domanda, in via riconvenzionale la rescissione del contratto del 6 giugno 2006 per lesione ultra dimidium. Con separato atto di citazione Di.Gi., coniuge della D., propose domanda di condanna di S.A. alla restituzione dell’importo di Euro 175.194,27 ed al risarcimento del danno. Il Tribunale adito, riuniti i giudizi, dichiarò la propria incompetenza territoriale. Riassunto il giudizio, il Tribunale di Trani dichiarò inammissibili le azioni revocatorie, in quanto proposte al fine del recupero al patrimonio del S. del bene promesso in vendita, e rigettò la domanda di esecuzione in forma specifica per carenza del requisito della possibilità per essere stato l’immobile promesso in vendita già trasferito a terzi con atto previamente trascritto; rigettò inoltre la domanda risarcitoria in quanto, essendo relativa al danno da ritardo nell’adempimento del contratto preliminare, era stata proposta soltanto in conseguenza della domanda ai sensi dell’art. 2932; disattesa anche la domanda riconvenzionale e condannata la D. al pagamento delle spese processuali, separò il giudizio relativo alla domanda proposta da Di.Gi. e quello relativo alla domanda proposta dalla D. di condanna al pagamento della somma di Euro 270.951,25, precisando che tale ultima domanda “ruota intorno ad alcune questioni controverse, e cioè: l’inquadramento giuridico della scrittura privata del 6 giugno 2006”.

Avverso detta sentenza propose appello D.F.. Con sentenza di data 21 febbraio 2018 la Corte d’appello di Bari, in accoglimento dell’appello, dichiarò l’inefficacia delle donazioni e del comodato e condannò S.A. al pagamento della somma di Euro 80.000,00 a titolo risarcitorio per l’inadempimento del contratto preliminare, oltre la condanna alle spese del doppio grado.

Osservò la corte territoriale, premesso che legittimamente il contraddittorio non era stato esteso a Di.Gi. e qualificato il provvedimento impugnato come sentenza parziale, che la domanda risarcitoria non aveva ad oggetto un danno da ritardo, termine non utilizzato dall’attrice, ma il danno da inadempimento, avendo l’attrice paventato fin dall’inizio della citazione l’impossibilità giuridica di addivenire alla conclusione del contratto preliminare a causa della cessione a terzi (ed in particolare: al punto 28 della citazione si leggeva che gli atti di donazione erano stati posti in essere al solo scopo di sottrarre i beni all’azione ai sensi dell’art. 2932; al punto 58 era stato ribadito che gli atti di disposizione pregiudicavano la tutela del diritto dell’attrice perchè “si è vista sottrarre la possibilità di soddisfare il suo credito derivante dal contratto preliminare”) e che pertanto l’attrice, sul presupposto che l’esecuzione coattiva fosse divenuta impossibile, in ogni caso aveva chiesto pure il risarcimento per l’ipotesi di rigetto e la restituzione del prezzo, ugualmente subordinandola alla stessa ipotesi di impossibilità giuridica. Aggiunse che la scrittura del 6 giugno 2006, valutata dal Tribunale per rigettare sia la domanda ai sensi dell’art. 2932, per impossibilità che la domanda risarcitoria (con estensione pertanto ai sensi dell’art. 336 c.p.c., comma 2, degli effetti della sentenza di appello sulla sentenza che avrebbe definito il giudizio di primo grado pendente), era da qualificare come contratto preliminare di vendita (con l’uso di espressioni inequivoche, anche alla luce della qualità di magistrato del promittente venditore), mentre non condivisibile era la tesi dell’appellato (scrittura in funzione di garanzia della restituzione di un debito, che integrerebbe un patto commissorio vietato).

Osservò ancora, premesso che l’esecuzione ai sensi dell’art. 2932, era impossibile per la cessione a terzi con atto trascritto preventivamente e pertanto opponibile, che, mentre la funzione recuperatoria dell’azione ex art. 2901 c.c., era da escludere, come affermato dal Tribunale, l’azione revocatoria era stata proposta anche in funzione di ripristino della garanzia generica del credito risarcitorio da inadempimento e del credito per la restituzione del prezzo, avendo l’attrice al punto 57 della citazione affermato che “condizione essenziale della tutela revocatoria in favore del creditore è il pregiudizio alle ragioni dello stesso, per la cui configurabilità, peraltro, non è necessaria la sussistenza di un danno concreto ed effettivo, essendo sufficiente un pericolo di danno derivante dall’atto di disposizione patrimoniale”. Aggiunse, premesso che in generale il danno per il promissario acquirente ammontava alla differenza fra il valore del bene al momento della domanda di risoluzione ed il prezzo pattuito, che la D. aveva limitato la sua richiesta risarcitoria ad Euro 80.000,00, verosimilmente determinando la pretesa con riferimento alla perdita subita per essere stata costretta in data 19 maggio 2006 a contrarre un mutuo ipotecario per l’importo di Euro 80.000,00 per il pagamento del prezzo e che tale importo poteva essere riconosciuto in quanto in ogni caso minore della misura sopra indicata.

Osservò infine che ai fini dell’azione revocatoria era sufficiente il pericolo di danno (l’offerta reale era destinata a coprire soltanto la domanda di condanna alla restituzione del prezzo) e che “gli atti di cui è stata chiesta la dichiarazione di inefficacia sono tutti a titolo gratuito, successivi alla stipula del preliminare poi inadempiuto: conseguentemente, è sufficiente la consapevolezza di arrecare pregiudizio alle ragioni del debitore e non è richiesta per l’accoglimento la dimostrazione del consilium fraudis”.

Ha proposto ricorso per cassazione S.A. sulla base di dieci motivi e resiste con controricorso D.F.. E’ stato fissato il ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 279 c.p.c., artt. 24 e 111 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che, benchè non avesse costituito oggetto di accertamento da parte del Tribunale se vi fosse stato inadempimento del contratto preliminare, per essere stata la questione rimessa al separato giudizio, il giudice di appello ha svolto il relativo accertamento, ricadendo nel vizio di ultrapetizione, stante il carattere non definitivo della sentenza di primo grado, nè sulla questione della responsabilità per inadempimento era stato proposto appello da parte della D..

Il motivo è infondato. Come riconosciuto dalla stessa corte territoriale, la sentenza impugnata in appello era una sentenza parziale e dunque definitiva circa le domande su cui aveva statuito (provvedendo altresì sul regolamento delle spese processuali). Fra queste domande, su cui aveva statuito nel merito, vi erano quelle, per le quali era stato proposto appello, ai sensi dell’art. 2932 c.c. e di risarcimento, domande che investivano quale questione pregiudiziale la scrittura del 6 giugno 2006. Ed invero il mancato accoglimento della domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre per carenza del requisito della possibilità costituisce statuizione di merito in ordine alla domanda, e non pronuncia in rito, per cui, a prescindere dall’estensione oggettiva della statuizione (pronuncia sulla validità ed efficacia del contratto o risoluzione della controversia in base alla ragione più liquida), la scrittura del 6 giugno 2006 integrava il fatto costitutivo della domanda, oggetto di pronuncia e poi di gravame.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c., artt. 99 e 112 c.p.c., artt. 24 e 111 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che l’attrice giammai aveva chiesto il risarcimento per inadempimento per l’impossibilità di conseguire la pronuncia costitutiva a seguito del doppio trasferimento immobiliare, nè aveva mai proposto domanda di risoluzione per inadempimento, essendosi limitata a chiedere in via subordinata la restituzione del prezzo in caso di rigetto della domanda ai sensi dell’art. 2932, e che il danno richiesto era quello conseguente al ritardato adempimento. Aggiunse che la sentenza era attinta da ultrapetizione e comunque da motivazione erronea e cattiva interpretazione della domanda.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., artt. 101 e 112 c.p.c., art. 24 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che non è dato comprendere da dove il giudice di appello abbia tratto la conclusione che l’azione revocatoria è stata proposta non solo in funzione di recupero del bene, ma anche di conservazione della garanzia patrimoniale.

I motivi secondo e terzo, da valutare congiuntamente, sono inammissibili. Il giudice di appello ha interpretato la domanda risarcitoria in termini di danno cagionato dal trasferimento a terzi del bene promesso in vendita, avendo rilevato che in nessuna parte della citazione in giudizio vi fosse un riferimento al danno da ritardo nell’adempimento, e considerato così, data la dipendenza del danno dall’impossibilità della pronuncia costitutiva ai sensi dell’art. 2932, l’esistenza di un nesso di subordinazione fra la domanda di esecuzione in forma specifica e quella risarcitoria. Ha inoltre interpretato l’azione revocatoria come proposta non solo in funzione di recupero del bene, ma anche di conservazione della garanzia patrimoniale.

Rispetto all’interpretazione giudiziale della domanda è stata proposta censura sia in termini di ultrapetizione che di erroneità della motivazione. Al riguardo va rammentato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il giudice di merito, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte ma deve accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonchè dal provvedimento concreto richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta: il relativo giudizio, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità unicamente se sono stati travalicati i detti limiti o per vizio della motivazione (Cass. 21 maggio 2019, n. 13602). Nel giudizio di legittimità va quindi tenuta distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione che ne ha dato il giudice del merito: nel primo caso, si verte in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c. e si pone un problema di natura processuale, per la soluzione del quale la S.C. ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta; nel secondo caso, invece, poichè l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, in sede di legittimità va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (Cass. 21 dicembre 2017, n. 30684). Il giudizio di fatto in ordine al contenuto della domanda può essere tuttavia esaminato in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, ovviamente entro i limiti in cui tale sindacato è ancora consentito dal vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (Cass. 3 dicembre 2019, n. 31546). Resta fermo che ai fini dell’interpretazione della domanda giudiziale non sono utilizzabili i criteri di interpretazione del contratto dettati dall’art. 1362 c.c. e segg., in quanto non esiste una comune intenzione delle parti da individuare, e può darsi rilevo alla soggettiva intenzione della parte attrice solo nei limiti in cui essa sia stata esplicitata in modo tale da consentire al convenuto di cogliere l’effettivo contenuto della domanda formulata nei suoi confronti, per poter svolgere un’effettiva difesa (Cass. 9 marzo 2004, n. 4754).

Così delineato il quadro della giurisprudenza, va evidenziato che quanto alla violazione dell’art. 112 c.p.c., affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, “in primis”, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente dell’onere ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (Cass. 5 agosto 2019, n. 2924; 4 luglio 2014, n. 15367). L’onere processuale in discorso non è stato assolto, essendosi il ricorrente limitato ad una generica denuncia di ultrapetizione.

Quanto al vizio motivazionale, nei limiti in cui il vigente art. 360, comma 1, n. 5, sia applicabile al giudizio di fatto del contenuto della domanda, come si è detto, non risultano rispettate le modalità di denuncia del vizio in esame, non avendo il ricorrente specificata mente indicato la circostanza fattuale, emergente dall’atto di citazione, il cui esame sarebbe stato pretermesso dal giudice di merito.

Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1226 e 2697 c.c., nonchè vizio della motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Osserva la parte ricorrente che la D. non aveva mai fatto menzione del criterio risarcitorio rappresentato dalla differenza fra il valore del bene al momento della domanda di risoluzione ed il prezzo pattuito e che nell’atto di appello aveva specificato che il giudice di primo grado avrebbe dovuto accogliere la domanda di condanna al risarcimento nella misura di Euro 80.000,00 per inadempimento contrattuale. Aggiunge che l’appellante avrebbe dovuto provare il valore dell’immobile, non potendosi fare riferimento ad una aprioristica valutazione di Euro 80.000,00, nè poteva costituire un danno l’aver contratto un mutuo per tale importo (non vi era prova poi che tale mutuo fosse stato stipulato), e che anche per la liquidazione equitativa dovevano essere dimostrati elementi utili per la quantificazione.

Il motivo è inammissibile. La censura non coglie la ratio decidendi e quindi è priva di decisività. Il giudizio di fatto del giudice di merito è stato nel senso che il danno avesse quale riferimento non il valore del bene ma la perdita subita per avere contratto un mutuo ipotecario per l’importo di Euro 80.000,00 per il pagamento del prezzo. Del resto è lo stesso ricorrente che richiama il contenuto dell’atto di appello in cui si fa riferimento a tale quantificazione del danno. Per il resto nella censura si fa riferimento ad una questione di valutazione della prova che è profilo riservato, nel rispetto delle regole di diritto, al giudice di merito, e sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti del vizio motivazionale, nella specie non specificatamente denunciato.

Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., artt. 279,346 e 112 c.p.c., nonchè omesso esame di punti decisivi della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Osserva la parte ricorrente che la D. non ha provato l’esistenza di un credito risarcitorio, lamentando al più un danno da ritardo nel trasferimento, e che manca il pregiudizio delle ragioni del creditore. Aggiunge che, dato che il credito del primo acquirente sorge a seguito della trascrizione della seconda alienazione, l’atto da revocare è da ritenersi anteriore al sorgere del credito, per cui l’attrice avrebbe dovuto provare la dolosa preordinazione del creditore (e che l’offerta di restituzione da parte del S. dimostrava la mancanza di qualsiasi preordinazione dolosa). Osserva ancora che non era stata impugnata la statuizione del Tribunale che aveva rilevato l’inammissibilità dell’azione revocatoria in quanto promossa anche a garanzia del credito del Di. e di quello scaturente dal rendiconto della gestione della masseria, svolta da S.F.P. e dalla moglie A.L., crediti di cui la D. non era titolare.

Il motivo è parzialmente fondato. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, qualora un immobile venga alienato in tempi successivi dallo stesso venditore a due diverse persone, delle quali solo la seconda trascriva il proprio acquisto, rendendolo così opponibile anche alla prima (art. 2644 c.c.), questa ha il diritto al risarcimento del danno verso l’alienante e, per conservare la garanzia patrimoniale relativa a questo suo credito, può esercitare l’azione revocatoria della seconda alienazione dell’immobile. Poichè, però, la revocanda alienazione è anteriore al credito da tutelare (che nasce solo con la trascrizione), la revocatoria può avere successo solo se sia provata la partecipazione del secondo acquirente alla dolosa preordinazione (art. 2901 c.c., n. 2), ossia alla specifica intenzione di pregiudicare la garanzia del futuro credito (Cass. 3 dicembre 2014, n. 25614 con riferimento proprio alla fattispecie del contratto preliminare; 2 settembre 2013, n. 20118; 2 febbraio 2000, n. 1131; 9 febbraio 1982, n. 759; 1 giugno 1976, n. 1983). Il giudice di appello, reputando sufficiente la consapevolezza di arrecare pregiudizio alle ragioni del debitore, ha violato tale principio di diritto, al quale dovrà invece attenersi il giudice del rinvio. In particolare, trattandosi di atti a titolo gratuito, deve risultare la condizione che gli stessi fossero dolosamente preordinati al fine di pregiudicare il soddisfacimento del credito.

Quanto al resto con il motivo si censura un profilo attinente alla valutazione della prova, in relazione al quale vale quanto osservato a proposito del precedente motivo. Circa la denuncia di mancata impugnazione, anche qui si tratta di mancata percezione della ratio decidendi, avendo il giudice di merito posto a base dell’azione revocatoria i crediti allegati dalla D..

Con il sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 290 c.c., art. 100 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè difetto assoluto di motivazione. Osserva la parte ricorrente che è stato dichiarato inefficace anche il contratto di comodato senza alcuna motivazione e che non si comprende la ragione di revocare un contratto non comportante alcun pregiudizio patrimoniale, salvo nel caso in cui la D. avesse dovuto conseguire il possesso dell’immobile. Aggiunge che il comodato non era più efficace per essere stato risolto a seguito della cessione in locazione della masseria.

Il motivo è fondato. L’azione revocatoria delle donazioni è stata accolta sulla base del presupposto, proprio all’istituto previsto dall’art. 2901, del pregiudizio alla garanzia generica rappresentata dal patrimonio del debitore e dunque in quanto relativa ad atti di disposizione patrimoniale. Con riferimento all’accoglimento dell’azione revocatoria relativa al comodato la motivazione alla base del dispositivo è invece del tutto assente.

Con il settimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1346,1418 e 1421 c.c., artt. 279 e 112 c.p.c., nonchè omesso esame di punti decisivi della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Osserva la parte ricorrente che in base ad un salto logico la corte territoriale aveva escluso la funzione di garanzia del contratto preliminare e questo perchè sulla questione era ancora in corso l’istruttoria in primo grado sulla causa separata, nè vi era gravame sulla questione. Aggiunge che il contratto preliminare era nullo per indeterminabilità dell’oggetto, sia quanto al bene da trasferire che quanto al prezzo, come eccepito dall’appellato senza che la corte territoriale abbia sul punto pronunciato.

Il motivo è inammissibile. La censura per una parte fa riferimento al giudizio di fatto del giudice di merito, non sindacabile in quanto tale nella presente sede di legittimità, per l’altra denuncia un’assenza di gravame in ordine all’assenza della funzione di garanzia, non considerando che, a parte il mancato assolvimento dell’onere di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, quanto allo specifico contenuto dell’atto di appello, la questione dell’assenza della funzione di garanzia è parte del procedimento logico seguito dal giudice di merito per l’interpretazione e qualificazione della scrittura privata del 6 giugno 2006. Infine, quanto alla dedotta nullità del contratto preliminare, non risulta proposta rituale denuncia di vizio motivazionale per l’accertamento dei presupposti di fatto posti alla base della dedotta nullità, per cui lo scrutinio del motivo implicherebbe un sindacato di merito precluso nella presente sede di legittimità.

Con l’ottavo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 331 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che il contraddittorio doveva essere integrato con Di.Gi. per avere anche costui versato somme al S. di cui chiedeva la restituzione.

Il motivo è infondato. E’ circostanza pacifica che il rapporto processuale relativo alla domanda proposta dal Di. sia stato oggetto di separazione di cause. Con riferimento al rapporto processuale relativo alle domande proposte dalla D. non è configurabile, sulla base delle circostanze rappresentate nella censura, una forma di litisconsorzio necessario, sia pure processuale e non originario.

Con il nono motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello avrebbe dovuto disporre la compensazione delle spese stante il rigetto dell’azione revocatoria proposta in funzione recuperatoria e della domanda ai sensi dell’art. 2932.

Con il decimo motivo si denuncia violazione del D.M. n. 55 del 2014, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che il S. non è stato soccombente e che per un’istruttoria inesistente in primo grado vi è stata liquidazione di onorari per oltre Euro 10.000,00. Aggiunge che, data la natura non definitiva della sentenza di primo grado, si doveva provvedere solo sulle spese di appello.

L’accoglimento dei precedenti motivi determina l’assorbimento di nono e decimo motivo.

P.Q.M.

accoglie il quinto motivo parzialmente ed il sesto motivo, rigettando per il resto il ricorso; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Bari in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2020

 

 

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