Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17806 del 30/08/2011

Cassazione civile sez. II, 30/08/2011, (ud. 15/06/2011, dep. 30/08/2011), n.17806

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.A. C.F. (OMISSIS) anche nella qualità di

erede D.C.S. (CONIUGE), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 157, presso lo studio dell’avvocato

MURANO GIULIO, rappresentata e difesa dagli avvocati CHIULLI ANGELO,

CILIENTO LORENZO;

– ricorrente –

contro

S.D. VED. D.C.N. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TITO LABIENO 70, presso lo

studio dell’avvocato NARDELLI GIUSEPPE, rappresentata e difesa

dall’avvocato FOTI ROSARIO;

– controricorrente –

e contro

S.F., S.V., S.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 203/2005 CA. di Lecce della SEZ. DIST. di

TARANTO, depositata il 09/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;

udito l’Avvocato Chiulli Angelo difensore della ricorrente che si

riporta agli atti depositati;

udito l’Avv. Foti Rosario difensore della resistente che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L.A. e C.S. citarono in giudizio S. D. sostenendo che nell’anno 1963 avevano acquistato il fondo in agro di (OMISSIS), contrada (OMISSIS), pagando interamente il prezzo senza stipula dell’atto pubblico e, stante il possesso, chiedevano fosse riconosciuta l’usucapione. La convenuta si costituì deducendo che il proprio marito, C.N., era fratello dell’attore, ed avendolo seguito in vari paesi lontani da (OMISSIS), in quanto militare, aveva concesso il fondo in comodato gratuito al cognato.

Disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli intestatari catastali S.V., F. e C. che non si costituirono, espletata prova testimoniale, con sentenza n. 24/2003 il Tribunale di Taranto rigettò la domanda, “decisione confermata dalla Corte di appello di Lecce, sezione di Taranto, con sentenza 203/2005, che, a prescindere dalla qualificazione del rapporto, dedusse l’infondatezza del gravame sulla scorta della prova testimoniale, posto che “i lavori sul fondo non erano poi grandi lavori” (rete di recinzione, captazione delle acque, piantamento di alberi), un teste ancorchè genero della S. aveva confermato il comodato gratuito a motivo della lontananza, non era contestato che gli appellati avevano pagato le tasse e non vi era mai stata interversione nel possesso. Ricorre L.A. anche quale erede di C.S., con due motivi, illustrati da memoria, resiste S.D..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo si lamenta violazione delle regole di formazione e di interpretazione del contratto e difetto di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, extrapetizione, violazione degli artt. 2697, 2698, 2729 c.c. e vizi di motivazione perchè gli attori avevano provato il possesso uti domini mentre la convenuta non ha provato il comodato.

Col secondo motivo si deduce il vizio di attività per erronea ed omessa valutazione delle risultanze istruttorie e violazione degli artt. 2727, 2729 c.c., artt. 115, 116, 112 c.p.c., art. 2697 c.c. e difetto di motivazione per avere la Corte di appello valorizzato la testimonianza L.. Le censure sono palesemente infondate.

A prescindere dalla contestuale deduzione di vizi di violazione di legge sostanziale e processuale e di motivazione, in contrasto con la necessaria specificità dei motivi, col primo mezzo si lamentai generica violazione delle regole di formazione e di interpretazione del contratto (?!) non meglio specificato e nemmeno riportato, deducendo assiomaticamente la prova del possesso uti domini, e col secondo si critica apoditticamente l’opzione probatoria della Corte territoriale senza nemmeno contrapporre una diversa e più appropriata tesi.

Per la configurabilità del possesso “ad usucapionem” è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo, e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo all’uopo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno “ius in re aliena” (“ex plurimis” Cass. 9 agosto 2001 n. 11000), un potere di fatto, corrispondente al diritto reale posseduto, manifestato con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità e alla destinazione della cosa e tali da rilevare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria sulla cosa stessa contrapposta all’inerzia del titolare del diritto (Cass. 11 maggio 1996 n. 4436, Cass. 13 dicembre 1994 n. 10652).

Nè è denunciabile, in sede di legittimità, l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alla validità degli eventi dedotti dalla parte, al fine di accertare se, nella concreta fattispecie, ricorrano o meno gli estremi di un possesso legittimo, idoneo a condurre all’usucapione (Cass. 1 agosto 1980 n. 4903, Cass. 5 ottobre 1978 n. 4454), ove, come nel caso, sia congruamente logica e giuridicamente corretta la motivazione.

In ogni caso, appare decisiva la circostanza, per nulla smentita dalla prova testimoniale, che l’iniziale detenzione non ha dato luogo, nel tempo, ad interversione del possesso.

Alla cassazione della sentenza si può giungere solo quando la motivazione sia incompleta, incoerente ed illogica e non quando il giudice del merito abbia valutato i fatti in modo difforme dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (Cass. 14 febbraio 2003 n. 2222).

La domanda di usucapione è stata correttamente disattesa in riferimento alla mancanza del fatto “possesso”, posto che la consegna del bene da luogo a mera detenzione,presupponendo un “comodato”, come da recente decisione delle S.U. (27 marzo 2008 n. 7930).

In ogni caso non si tiene conto che un accordo verbale non può dar luogo ad effetti traslativi di un possesso giuridicamente rilevanti.

In definitiva, il ricorso va interamente rigettato, con la conseguente condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 1500, di cui 1300 per onorari, oltre accessori.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2011

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